I leader dei paesi aderenti all’Unione Europea si sono riuniti la scorsa settimana a Malta in un vertice “informale” per discutere formalmente di diversi temi caldi.
“Uniti si vince, divisi si perde” ha detto il presidente del Consiglio d’Europa Donald Tusk.
Primo punto all’ordine del giorno i rapporti con la Libia e le misure da adottare per cercare se non di arrestare almeno di rallentare il flusso di migranti che cercano di entrare in Europa salpando dalle coste libiche (alla vigilia del vertice si parlava di cercare una soluzione “turca”) . Un fenomeno sul quale parrebbe non esserci uniformità tra i dati del Consiglio d’Europa e le Nazioni Unite.
Secondo il rapporto sottoscritto dai leader europei al termine dei lavori, “nel 2016 gli arrivi [di migranti n.d.r.] sono scesi a un terzo dei livelli del 2015. Sulla rotta del Mediterraneo orientale, nell’ultimo quadrimestre del 2016, nonostante il persistere delle pressioni, gli arrivi sono diminuiti del 98% rispetto all’anno precedente”. Di parere esattamente opposto UNHCR e OIM che invece parlano di un aumento dei flussi
E con loro è aumentato il numero di quelli che hanno perso la vita nel tentativo di arrivare nella “terra promessa”: lo scorso anno 4.579 persone sono morte lungo la rotta del Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Italia dalla Libia. Solo negli ultimi tre mesi, nel mar Mediterraneo, sono morti almeno 1.354 migranti, dei quali circa 190 bambini (dati Unicef). “Il crescente numero di bambini dispersi in mare sottolinea il grande pericolo rappresentato dal viaggio dal Nord Africa all’Italia, insieme alla pressante necessità per i Governi di entrambe le sponde del Mediterraneo di fare di più per salvarli”, ha dichiarato Justin Forsyth, vice direttore generale dell’Unicef, aggiungendo che le decisioni prese al vertice di Malta potrebbero fare la differenza fra la vita e la morte per migliaia di bambini che transitano o che sono bloccati in Libia”. Intanto le previsioni parlano di un ulteriore aumento degli sbarchi nel 2017: sono già circa diecimila i migranti giunti sulle coste italiane dall’inizio dell’anno, 2.500 sono arrivati negli ultimi due giorni).
I leader riuniti a Malta, tuttavia, hanno convenuto che “gli sforzi tesi a stabilizzare la Libia sono ora più importanti che mai e l’UE farà tutto il possibile per contribuire a tale obiettivo. In Libia lo sviluppo di capacità è fondamentale affinché le autorità possano acquisire il controllo delle frontiere terrestri e marittime e contrastare le attività di transito e di traffico. L’UE mantiene l’impegno a favore di una soluzione politica inclusiva nel quadro dell’accordo”.
Una soluzione che dovrebbe attuarsi grazie a diverse misure: da fornire “formazione, equipaggiamento e supporto alla guardia costiera nazionale libica e altre agenzie pertinenti” a compiere “ulteriori sforzi intesi a smantellare il modello di attività dei trafficanti attraverso un’azione operativa rafforzata, nel quadro di un approccio integrato che coinvolga la Libia, altri paesi situati lungo la rotta”. Ma anche fornendo “sostegno, se possibile, allo sviluppo delle comunità locali in Libia, in particolare nelle zone costiere e presso le frontiere terrestri libiche lungo le rotte migratorie” e molto altro. Il tutto per una previsione di spesa intorno ai 200 milioni di Euro.
L’attenzione dei leader è stata rivolta anche alla necessità di identificare i potenziali ostacoli per i ritorni e alle questioni relative alle proposte di riforma del “Sistema comune europeo di asilo”. È questo, infatti, uno dei maggiori problemi. Come è noto da anni, la maggior parte di quelli che attraversano il Mediterraneo sulle “carrette del mare” non sono profughi né rifugiati. Lo dimostrano i numeri. La percentuale di quelli che hanno ricevuto il riconoscimento di richiedenti asilo in Italia è molto bassa (intorno al 5%).
Altro obiettivo è “assicurare adeguate capacità recettive per i migranti in Libia assieme a UNHCR e IOM” e il “sostegno allo Iom per aumentare significativamente le attività dei ritorni volontari”. Proprio lo IOM dell’UNHCR aveva lanciato un appello ai paesi riuniti a Malta: “Chiediamo sforzi concertati per garantire che i sistemi di migrazione e asilo sostenibili messe in atto in Libia, quando la sicurezza e la situazione politica permessi, e nei paesi vicini”.
Come è avvenuto negli incontri precedenti in cui si è parlato dello stesso problema, però, sono state poche anzi pochissime le decisioni definitive: i leader europei, su proposta della presidenza maltese, hanno “deciso di non decidere” e di rimandare alle riunioni di marzo e giugno 2017 quando il Consiglio europeo dovrà “esaminare, sulla base di una relazione della presidenza maltese, i progressi conseguiti relativamente all’approccio globale”.
Nessuna menzione al memorandum firmato pochi giorni prima dal capo del governo italiano Paolo Gentiloni con il premier libico Fayez al-Serraj sul contrasto al traffico di esseri umani. Il quinto firmato da un premier italiano negli ultimi cinque governi (nel 2008, Berlusconi; nel 2012, Monti; nel 2013, Letta e, infine, il “nuovo che avanza”).
Ma nel corso dei lavori del vertice informale si è parlato dei rapporti tra UE e Stati Uniti d’America. Oggetto della discussione non solo le sue dichiarazioni nei confronti dell’UE e gli accordi di libero scambio, ma anche la richiesta avanzata dal presidente Donald Trump di aumentare gli investimenti nell’organizzazione transatlantica sino al 2 per cento del Prodotto interno lordo. I paesi che oggi contribuiscono di più alla NATO sono gli Stati Uniti (con il 3,61% del Pil), la Grecia (nonostante la crisi versa alle casse del Patto Atlantico ben il 2,38% del Pil), il Regno Unito (2,21%) l’Estonia (2,16%) e la Polonia (2,00%). Solo questi paesi “rispetterebbero” l’impegno di destinare al Patto Atlantico il 2% del proprio Pil. Tutti gli altri versano meno. Paesi come Lussemburgo (0,44%), Belgio (0,85%), Spagna (0,91%), Slovenia (0,94%), Ungheria (1,01%), Repubblica Ceca (1,04%), Repubblica Slovacca (1,16%), Danimarca e Paesi Bassi (1,17%), Germania (1,19%), Francia (1,78%). E, naturalmente, l’Italia che contribuisce alle spese della NATO con l’1,1% del proprio Pil. Una somma comunque ragguardevole se si pensa che ammonta a circa 20, 4 miliardi di euro all’anno, circa 57 milioni di euro al giorno.