Scopriamo che cambiava i finali dei suoi romanzi assecondando gli editori, che i suoi libri venivano pubblicati prima in francese e tedesco e poi in italiano (comunque in parte lingua di traduzione dal sardo), che conosceva Freud e la psicoanalisi e la usava nelle sue storie, scopriamo insomma che Grazia Deledda era una donna moderna, forte, determinata, una femminista a suo modo rivoluzionaria. Questo e altro nel convegno “Liberty meets Italian Grace” che si è tenuto alla Casa Italiana Zerilli Marimò e all’Istituto Italiano di Cultura: due giornate di studio concluse con la proiezioni di un film, “Grazia Deledda the Revolutionary” della documentarista Cecilia Mangini.
L’evento è stato l’ultimo del calendario delle celebrazioni per i 150 anni della nascita della scrittrice che sono iniziate a Nuoro e, nelle intenzioni del direttore artistico Anthony Muroni, non si concluderanno del tutto il 31 dicembre. “Continueremo nel lavoro di studio di questa grande autrice” promette, cedendo la parola a Dino Manca, linguista e filologo dell’Università di Sassari, che ricorda come la Deledda fu la prima donna in Italia, e la seconda al mondo, a vincere il Nobel nel 1927. Cominciò a scrivere a 17 anni per una rivista popolare il racconto “Sangue sardo” e continuò tutta la vita: la sua ultima opera, “Cosima”, uscì postuma nel 1936. Quello che la animava era la “pietas” verso l’umanità e le sue fragilità ed in questo senso le sue storie, pur svolgendosi in Sardegna, avevano sempre e comunque risonanza universale. Manca cita Giuseppe Dessì che diceva “a parlare di se stessi si può essere universali, a parlare di altri si diventa provinciali”, per spiegare come la letteratura della Deledda proprio guardando il particolare riuscisse a raggiungere il cuore del resto del mondo.
E il suo fu un successo, per i tempi planetario. Ce lo racconta Angela Guiso, critica letteraria e saggista, che ricorda come la Deledda venisse tradotta in America già agli inizi del secolo scorso. Il suo romanzo “Dopo il divorzio” fu pubblicato da Holt nel 1907, non senza difficoltà. Il finale originale non piacque all’editore che ne chiese uno diverso. La Deledda lo scrisse pensando desiderasse un finale tragico, ma anche questo fu respinto, lei allora gli diede il desiderato lieto fine. Senza discutere, calandosi nelle attese dell’editore. In quegli anni la letteratura si accompagnava al disegno, i romanzi erano illustrati, e la Deledda era abituata a collaborare con gli illustratori, non le sembrava quindi inopportuno farlo anche con l’editore.
Eppure nonostante questi esordi promettenti, la Deledda è rimasta poco conosciuta in America. Poche le traduzioni dei suoi libri. Mary Ann Witt e Martha Witt intendono colmare questo vuoto: nel 2019 è uscito “Ivy” nella loro traduzione e la prossima primavera uscirà “La danza della collana”. Mary Ann Witt ricorda le difficoltà della Deledda a Roma: “I suoi colleghi la prendevano in giro per il suo rapporto con il marito che vedevano subalterno e chiamavano scherzando Grazio Deleddo”. Pirandello scrisse il romanzo “Suo Marito” ispirato proprio al coniuge della scrittrice, Palmiro Madesani che si era dedicato completamente a sostenere l’attività della moglie. L’editore Treves non lo pubblicò per rispetto alla Deledda. Il romanzo uscì poi con Quattrini, ma dopo la prima edizione Pirandello lo ritirò dal mercato. E’ stato tradotto in inglese proprio da Mary Ann Witt.
I lavori sono proseguiti con altri interventi, un incontro con insegnanti e studenti delle scuole superiori per la presentazione della funzione di Alexa, “Parole di Grazia”, con contenuti audio su Grazia Deledda. Gli appuntamenti di New York, promossi dal Comitato Istituzionale composto da Provincia e Comune di Nuoro, il Museo MAN, UniNuoro e Fondazione Banco di Sardegna, sono stati curati da Valeria Orani che ha sottolineato “come l’autrice abbia saputo superare i recinti della cultura maschilista. Il suo percorso creativo di artista e di donna attinge direttamente all’importanza del ruolo femminile nella radice culturale sarda”.