Ha tante anime, come New York. La prima è divertimento puro, sfrenato, senza costrizioni. È la sala al secondo piano, un ambiente rustico, ma con investimenti da milioni di dollari nelle luci e nell’acustica, capace di riunire oltre settecento persone e i migliori Dj al mondo. Sotto, poi, c’è la “Whisper Room”, un lounge intimo, dove far correre di bocca in bocca i segreti della città. Divanetti in pelle, un palco per le esibizioni di cabaret o burlesque e il lungo bancone del bar a cui affidarsi per calmare le fatiche della giornata. All’ultimo piano, il rooftop che si affaccia sull’Hudson, dove prendere una pausa dalle danze e riposarsi, chiacchierando tra amici.
“La discoteca Musica nasce in Italia, ma quando abbiamo deciso di portare questo progetto qui sentivamo che avrebbe dovuto rappresentare il più possibile la nightlife di New York, che è estrema, ma anche intima, sempre creativa. Per capirci, volevamo concentrare in un unico palazzetto i tipi di serata più in voga”, ci racconta Francesco Belcaro, che con Rocco Ancarola si è unito al Gruppo Cipriani e all’imprenditore Tito Pinton dando vita alla discoteca più grande in città.
Lo incontriamo proprio all’interno di Musica, nel quartiere di Hell’s Kitchen, sulla cinquantesima strada, dove si trova la West Side Highway. Sono le otto di sera, le porte non sono state aperte al pubblico e nella sala principale è un continuo via vai di security, bartender, manager; mentre i dj fanno le prove per la serata. Chiunque sia italiano e viva qui da un po’ di anni di sicuro avrà incontrato almeno una volta Francesco – padovano, altissimo, dai modi sempre gentili – da vent’anni anima delle notti newyorchesi tricolori.

“Sono arrivato nel 2002, ero molto giovane. Ho subito capito che il lavoro d’ufficio non faceva per me, così in breve tempo, insieme a un socio, ho creato un’agenzia di eventi”. Quella che poi sarebbe diventata la “Made in Italy”. “Peroni è stato il primo grande cliente, stava entrando nel mercato americano; con loro abbiamo organizzato molte cose”. Quando oggi Belcaro si guarda indietro, quel che vede con orgoglio sono le decine di eventi a sua firma che hanno dato vita a una solida rete di socialità per la comunità di immigrati italiani. Parliamo di serate nei maggiori club di Manhattan, quelle legate alla settimana della moda, o le cene da Armani. L’appuntamento più elegante ed esclusivo è sicuramente il ballo in maschera, che avviene a febbraio all’interno dello Standard Hotel, per ricordare il carnevale veneziano. “Quando mandiamo una email, arriva a 50mila persone. Ci sono anche tanti americani”.
Nel tempo, “Made In Italy” è diventata adulta, insieme al suo fondatore. Oggi il gruppo vanta impegni legati non soltanto all’ospitalità e al marketing, ma anche al real estate. Musica è la nuova sfida. “Avrebbe dovuto aprire qualche anno fa, poi la pandemia ha bloccato tutto. Ma non è l’ennesimo club – assicura Francesco, mentre si avvicinano le dieci, l’ora in cui le porte si spalancheranno”.

Questa è una giornata speciale, si festeggia il suo compleanno e anche l’ultima serata della stagione. “Come ho spiegato, ha varie anime – continua – si rivolge a fette di pubblico molto diverse che sicuramente ricercano un tocco di italianità. È più di una discoteca. Al centro ha la musica, ovviamente, ma c’è anche lo spettacolo. In aggiunta, è una succursale di Cipriani. Le grandi compagnie potranno rivolgersi a noi per i loro party perché, ad esempio, avranno la libertà di poter arredare le stanze come vogliono; mentre, a volte, nei ristoranti Cipriani non possono a causa delle pareti storiche”.
Francesco Belcaro ripete più volte la parola “spettacolo”. Secondo lui è questo il vero trend oggi a New York. “C’è una riscoperta del musicista, del cantante, del bassista, se vogliamo, non solo del dj. La gente ha voglia di esperienze”.
Ma c’è un’altra tendenza in atto ed è quella del ritorno delle discoteche a Manhattan. Lui la spiega benissimo: “Quindici anni fa, prima dell’esplosione dei social media, la notte newyorchese era in mano a grandi marchi, come quello, ad esempio, del Pacha. Dettavano legge, senza capire bene quale fosse lo spirito della città. Noi del settore sapevamo che senza i promoter giusti, la gente giusta, queste realtà non sarebbero durate”. E, infatti, diverse hanno chiuso. Tra il 2015 e il 2016, la scena dei club si è spostata velocemente a Brooklyn. “Cambiava il concetto. Bastava solo comprare il biglietto, non c’era selezione, neanche il lusso delle bottiglie che arrivano ai tavoli. Alcuni, come il Brooklyn Mirage, hanno fatto storia”.

Manhattan però negli ultimi anni ha ripreso a scalpitare. Ci si è accorti, infatti, che il mercato c’era ancora: rivedendo lo stile, gli incassi sarebbero stati sicuri. “Dopo il Pacha, c’è stato un gap. Oggi abbiamo invece vari club. Musica, Nebula (aperta nel 2021), Paradise Club, Marquee, sono grossi e importanti, e ospitano sempre grandi nomi alla consolle”.
Con un sindaco come Eric Adams – il primo “fruitore” della nightlife newyorchese, anzi politico convinto che la ripartenza dell’economia passi anche da questo settore – Belcaro crede davvero che nei prossimi anni sarà approvata una legge che permetterà a chi detiene una licenza per la vendita di alcool di operare tutta la notte. “Allora Manhattan diventerà un rave senza pause”.
Prima che la notte entri nel vivo a Musica, spinta dal ritmo e dalle note del famoso dj Sasha Barbot, Maurizo Marchiori, che cura il brand, ci fa uscire fuori, dove ancora c’è una lunga fila di gente in attesa di entrare. Ci mostra una porticina decorata ogni quattro mesi da un artista diverso. “Questo palazzetto ha l’obiettivo di diventare una community – ci spiega Marchiori, che con Annalisa Menin ha creato l’azienda Octonano – Così abbiamo avuto l’idea di dare le “chiavi” (un codice, in realtà) a 50 personaggi-influencer che cambiano ogni volta.
Queste persone potranno accedere quando vogliono in discoteca, senza dare il nome all’ingresso o aspettare in fila. Magari dopo essere state a cena con amici, per chiudere la serata come se fossero a casa loro”. O da Musica, la dimora di chi ama fare le ore piccole.