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Fabrizio Di Michele a New York e il senso di appartenenza alla famiglia degli italiani

Intervista con il nuovo console generale d'Italia: “Mi scuso per le difficoltà di comunicazione a livelli patologici del Consolato: siamo nella tempesta perfetta”

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Fabrizio Di Michele a New York e il senso di appartenenza alla famiglia degli italiani

Il Console Generale d'Italia a New York Fabrizio Di Michele davanti al Consolato di Park Avenue (Foto di Terry W. Sanders)

Time: 17 mins read

Da circa un quarto di Secolo, ogni quattro-cinque anni,  varchiamo il portone del palazzetto signorile che a Park Avenue ospita il Consolato Generale di New York, per intervistare il nuovo “generale in capo” da poco arrivato. Prima per America Oggi, da otto anni per La Voce di New York, di consoli generali ne abbiamo visti  tanti, tutti accoglienti, bel sorriso e tante speranze.

Questa volta, dopo la visita a Fabrizio Di Michele, che è arrivato da meno di due mesi, restiamo impressionati da due fatti. Uno più personale, un altro perché proprio inedito.

Il primo è il modo di parlare del nuovo console generale, un accento che chi è cresciuto a Palermo riconosce, da bravo ragazzo che a forza di star sui libri, magari rinunciando alle uscite con gli amici a Mondello o Sferracavallo per studiare, studiare e studiare, è riuscito a centrare il suo obiettivo: vincere il concorso alla Farnesina. L’altro, quello inedito per chi scrive, di un diplomatico italiano che da poco arrivato alla guida del Consolato d’Italia più importante nel mondo, chiede scusa alla comunità per lo stato di “difficoltà di comunicazione patologica” tra l’istituzione e chi deve servire. Certo che c’entra la pandemia e quella che Di Michele chiama “tempesta perfetta”, ma un console da poco arrivato – come in partenza –  che chiede scusa, non ci era per la verità mai capitato in quasi 30 anni di giornalismo a New York.

Il Console Generale d’Italia a New York Fabrizio Di Michele (Foto di Terry W. Sanders)

Nato a Palermo 52 anni fa, studi a Firenze, Di Michele alla Farnesina ha fatto una carriera in cui si è occupato molto di Europa, con focus nei rapporti con quella dell’Est. Ora sbarca a New York e seppur immaginiamo  che forse questo potesse essere un suo sogno da bambino, siamo anche convinti che le condizioni in cui ha trovato il Consolato come anche la metropoli in cui dovrà svolgere la sua missione, non avrebbe mai potuto aspettarsele fino a poco più di un anno fa.

Lo incontriamo in una giornata piovosa, ma l’ufficio all’ultimo piano di Di Michele, quello circondato tutto da finestre, rende comunque la luce di New York accessibile per darvi questa intervista impreziosita del servizio dell’artista-fotografo Terry Sanders.

Iniziamo con una domanda un po’ “romantica”. Lei che cresce bambino in Sicilia, avrà avuto la sua prima immagine di New York: cosa coincide tra quella e la New York che poi ha trovato?

“Guardi tornando indietro da ragazzino, penso che la mia immagine di New York fosse molto legata a ciò che appariva nei film. Poi a New York ci sono venuto tante volte più da turista o in missioni brevi. Nel mio impatto con la città da residente, ho trovato l’energia, in questo periodo di riapertura, quelle vibes che conoscevo e che mi aspettavo,  quindi New York che torna una delle capitali del mondo. Quello che non mi aspettavo è la difficoltà di far funzionare alcune cose, alcuni servizi…”

Lei ora rappresenta l’Italia nella città “italiana” più importante all’estero. Arriva proprio quando ci sono le elezioni a sindaco di New York. I sindaci italoamericani  sono facilmente di casa in consolato, ma a prescindere da chi verrà eletto, che tipo di rapporto vorrebbe costruire con il governo della città?

“Certamente il mio ruolo istituzionale richiede di creare una relazione strutturata, non dico personale ma sicuramente istituzionale tra il consolato e la città di New York. E’ una relazione che c’è sempre stata, ovviamente magari rafforzata in alcuni periodi in funzione del sindaco ma che immagino sia inevitabile data la rilevanza della comunità italiana in questa città. Come dice lei, la più importante ‘città italiana’ fuori dall’Italia e questo non lo sappiamo solo noi ma lo sanno anche i candidati sindaci e quindi i sindaci. Io non ho l’ambizione di rappresentare tutta la comunità italo americana ma senz’altro rappresento gli italiani e sento questo legame profondissimo degli americani di origine italiana che sono milioni e che sono una risorsa per New York e lo sono anche per l’Italia e per il suo console generale”.

Il sindaco di New York Bill de Blasio con i rappresentanti della comunità italiana sotto la statua di Dante Alighieri a Manhattan (Foto di Terry W. Sanders)

Lei qui deve essere pronto a servire le necessità dei cittadini italiani che si trovano a New York, ma NYC è particolare per l’enormità della sua popolazione italoamericana che resta molto attaccata all’Italia. Come pensa di strutturare il rapporto con la comunità italoamericana? E le chiedo questo anche pensando a come si deve comportare un console generale d’Italia a New York quando accade che la comunità italoamericana abbia un problema serio come quello di sentirsi offesa dai ripetuti attacchi alla festa del Columbus Day e il conseguente dibattito sulle statue da rimuovere… Insomma gli italoamericani posso rivolgersi per chiedere aiuto al console d’Italia o il console deve restare prudente prima di mischiarsi in queste faccende?

“Help us defend Columbus Day in NYC” rally, May 11, 2021 (courtesy of Josephine Maietta)

“È chiaro che quando in gioco ci sono temi di sensibilità politica, come il Columbus Day e tutta la questione attorno a Cristoforo Colombo lo è diventata, è necessaria cautela da parte di un rappresentante delle istituzioni italiane. Ma come dicevo prima, io come rappresentante dell’Italia mi sento legato anche alla comunità d’origine italiana e sono molto sensibile alle loro istanze. C’è un dialogo abbastanza intenso con i loro rappresenti incluso il tema di Colombo. Io posso dire con tutta franchezza che comprendo la frustrazione degli italoamericani. Forse in Italia in passato non c’è stata la stessa sensibilità sul tema di Colombo ma poi nel tempo si è andata sviluppando. Ma al di là di questo – nei limiti che dicevo, prima della non politicizzazione della questione –  Io intendo farmi portatore di certe istanze degli italoamericani. Sono qui da soli due mesi ma ho già compreso quanto questo tema sia appunto politico e ideologico e purtroppo i fatti e il buon senso non sempre si applicano. Questo rende il tema ancora più delicato. Io non ho remore a dire che Colombo per l’Italia, oltre che per gli italoamericani, rappresenta un simbolo, e che rispettiamo tutti i diversi giudizi della storia senza volere sminuire un punto di vista piuttosto che un altro. Però a me sembra che la realtà di oggi è tale che quello che per gli italo americani è importante sembra diventato un simbolo del male. Io sono cresciuto in un epoca in cui Colombo era un eroe italiano che aveva scoperto l’America, un grande esploratore, un connettore di mondi, adesso sembra che sia il padre di tutti i mali. Ecco forse un po’ più di ragionevolezza e senso della misura farebbe bene a tutti”.

Il governatore Andrew Cuomo italoamericano potrebbe dare una mano? Anche sue madre Matilda sembra affezionata al Columbus Day…

“Io sono testimone del dibattito politico e non ne sono coinvolto, però di recente in occasione della decisione improvvisa della città di New York di sospendere il Columbus Day dal calendario scolastico ho visto tra le varie prese di posizione anche quella del governatore Cuomo”.

De Blasio e Cuomo durante una parata del Columbus Day (wnyc.org)

Dal sindaco Bill de Blasio cosa si aspettava?

“Non posso dire cosa mi aspettavo da de Blasio, sono qui da troppo poco tempo e non spetta certo a me giudicarlo. Penso soltanto che, nel rispetto delle sensibilità di tutti, apprendere in questo modo della soppressione in calendario di una festività chiave, simbolica per tutti gli italiani e italoamericani qui, e scoprire che nello stesso giorno adesso si festeggia a New York l’Italian Heritage Day e l’Indigenous Heritage Day, è stata una sorpresa. Ripeto comprendo la frustrazione degli italoamericani e mi chiedo se questa scelta sia di soddisfazione per qualcuno. Anche nei confronti della sensibilità dei popoli indigeni unificare in questo modo una festività…”

La rimozione della statua di Christopher Columbus a Hartford, Connecticut (Immagine da youtube)

Da molti anni, anche tra gli intellettuali italoamericani, si dice che il loro sia rimasto l’unico gruppo etnico-culturale negli USA che si possa attaccare senza suscitare scandalo…

“Ho già sentito questo punto di vista. Non sono in grado di fare una analisi comparativa con altri gruppi etnici. Sono qui da poco tempo, però questo è il sentimento di molti italoamericani. E’ però positivo vedere adesso uno sforzo della comunità italoamericana nel Tristate e di New York, ma anche nazionale, di rendere più coordinato e coeso il mondo dell’associazionismo. E’ ovvio che quando quel mondo  riesce a parlare con una voce sola e a promuovere iniziative non solo a New York, ma su scala nazionale si ha un peso diverso”.

Quindi la Niaf con i Sons of Italy…

“Se c’è questo sentimento da parte della nostra comunità, credo sia importante che questa sia in grado di reagire in maniera coesa, facendo passare i messaggi chiari su quello che sono le proprie sensibilità, le proprie aspettative e le proprie istanze. Questo nel rispetto delle esigenze di tutte le altre comunità. Non dovrebbe essere un gioco a somma zero”.

Stefano Vaccara e Fabrizio Di Michele durante l’intervista nell’ufficio del Console Generale d’Italia a New York (Foto di Terry W. Sanders)

Passiamo ai cittadini italiani di New York. Lei è arrivato da poco ma da abbastanza settimane per capire cosa sta succedendo al consolato. Ma parliamo prima delle cose positive: quale realtà della comunità degli italiani di New York le ha fatto una migliore impressione e che magari non si aspettava?

“Malgrado si tratti di un gruppo estremamente eterogeneo di altissimo livello, e anche ciascuno impegnatissimo nel rispettivo lavoro ho trovato finora, non credo di esagerare, ma un senso di famiglia. Forse me lo aspettavo di meno a New York, che è una città enorme, dove da sempre convivono tante Italie e dove non sempre c’è un legame con le istituzioni. Io sto incontrano tantissimi italiani dal background più disparato, dal business, dai ricercatori e professori universitari, e in tutti questi casi vedo una grande volontà di lavorare insieme, di rapportarsi al consolato generale e anche di promuovere l’italianità nel senso lato. Parliamo di interessi in diversi settori ma che se sono unificati da questo senso di appartenenza… E’ questo che mi ha colpito, il loro senso di appartenenza. Qui ci sono grandi manager e businessman che magari non lavorano neanche per imprese italiane, però percepisco un filo molto forte che li lega. Credo che questo sia merito degli italiani e anche di chi mi ha preceduto e che ha cercato di coltivarlo e svilupparlo”.

Il Console Generale Fabrizio Di Michele al lavoro nel suo ufficio (Foto di Terry W. Sanders)

Adesso passiamo a quello che riguarda il lavoro del consolato. Noi come giornale siamo spesso il collettore di lamentele da parte degli italiani che vivono nel Tristate che sono frustrati dalla difficoltà di riuscire a stabilire un contatto col consolato per ricevere dei servizi, soprattutto per quel che riguarda passaporti e altri documenti.  Ora c’è stata una pandemia e quindi si comprendono certe difficoltà, ma dobbiamo anche dire che certe lamentele dai nostri lettori arrivavano ancor prima del suo scoppio. Diciamo che le sentiamo da tanti anni, che si riassumono nel sentimento comune di sentire il consolato come un bunker difficilmente accessibile per quanto riguarda certe pratiche da sbrigare. Ci chiedono: ma perché non rispondono al telefono? Perché è così difficile prendere un appuntamento? Queste le domande più ricorrenti che rimbalzano al giornale. Lei è arrivato da poco, ma ecco cosa c’è secondo lei di vero su certe disfunzioni del consolato di New York? Sono forse lamentele esagerate? Insomma lei si è fatto un’ idea dove si debba subito intervenire?

“Appena arrivato il mio primo obiettivo è stato di cercare di capire la nostra capacità di dare servizi e la percezione della comunità italiana di questa capacità. Ovviamente mi ero confrontato col mio predecessore, con gli uffici e i colleghi e anche con quelli competenti a Roma. E’ chiaro che New York da sempre fa fronte ad una domanda di servizi molto importante, sopratutto dopo il trasferimento delle competenze dal New Jersey a New York. So che ci sono state alcune difficoltà che però mi pare di intendere che siano sempre state fisiologiche. Cioè consolati come questo, con quasi centomila cittadini, per forza di cose non possono essere capaci di reagire in una settimana e di dare servizi a tutti agli italiani che lo chiedono. Questi aspetti e ritardi fisiologici con la pandemia sono diventati patologici. Il problema maggiore con cui si stanno confrontando gli italiani è anche quello maggiore per il console generale: cioè il problema di comunicazione, tra utente e consolato. E’ dovuta a tante ragioni questa difficoltà di comunicazione. La prima banalmente è che con la pandemia abbiamo dovuto fare le rotazioni e tenere in alternanza il 50% del nostro personale a casa. Questo ha significato sopprimere il centralino e trasferirlo sui telefoni privati del nostro personale a turno. Il paradosso di questa situazione è che quando uno parla col centralino normalmente le linee sono occupate, parte il nastro e ti dice che le linee sono occupate e ti da anche una serie di possibilità di scelta o di attesa. Col sistema che abbiamo avuto nell’ultimo anno e mezzo, invece, se la linea era occupata sul piano tecnico le linee erano sistematicamente occupate. Tanto più nel periodo di pandemia e di emergenza se la linea era occupata sul piano tecnico ciò che sentiva l’utente era una linea libera. Quindi mentre tutti stavano al lavoro, chi da casa chi in ufficio, la sensazione dell’utente era: ma questi che fanno, non lavorano? Questo è un problema che stiamo risolvendo perché in occasione dell’avvio delle ferie estive, abbiamo deciso di sopprimere quelle rotazioni. Quindi da inizio giugno il nostro ufficio è funzionante di nuovo al cento per cento, salvo coloro in ferie, e stiamo ripristinando e aggiornando il centralino. Ci sono stati problemi tecnici ma tutto dovrebbe presto funzionare.

L’altro problema è che con la pandemia tutto si è concentrato sulle questioni di emergenza, magari a discapito di altri servizi. Questo ha agevolato un accumulo di arretrati o di difficoltà. Quella maggiore, e non lo scopriamo adesso, è quella dei passaporti. Noi siamo nel mezzo di una sorta di tempesta perfetta e questo è un messaggio importante a costo di essere lunghi. Il consolato si è ritrovato a far fronte all’aumento fisiologico delle richieste prima dell’estate, come ogni anno, venendo da un periodo non fisiologico, né normale di aumento esponenziale delle richieste da parte di cittadini italoamericani che non potendo viaggiare in Italia con il passaporto USA, hanno chiesto quello italiano, il rinnovo o addirittura il passaporto per la prima volta. Il terzo elemento della tempesta perfetta sono le rotazioni che hanno dimezzato la nostra capacità di processare richieste ed emettere passaporti. Il quarto elemento della tempesta perfetta è che siamo in una transizione su tutta la rete diplomatico consolare, tra un vecchio sistema di prenotazione on line e uno nuovo.    In attesa che quello nuovo (che dovrebbe entrare in funzione tra pochi giorni) sia operativo noi non abbiamo più potuto aprire il sistema vecchio con gli appuntamenti on line. Ciò ha caricato di richieste le caselle email, e li si è creato un enorme livello di traffico. Con un consolato con una comunità così grande, problemi di comunicazioni ci saranno sempre, ma i livelli a cui siamo arrivati oggi sono patologici e ci stiamo lavorando. Io non posso che scusarmi con gli italiani che incontro per strada, mi scrivono, e che so che al telefono non riescono a parlare alle email non c’è risposta per settimane, e così anche in casi particolarmente urgenti noi non sempre siamo in grado di individuarli perché si perdono tra centinaia di altri…”

Il Console Generale Fabrizio Di Michele (Foto di Terry W. Sanders)

Ma un numero solo per le emergenze? Non funziona?

“Il numero per le emergenze vere esiste ed è sempre esistito sul nostro sito e sui social media. Per  emergenze parliamo di arresti, situazioni gravi, incidenti, con i turisti quel numero è sempre stato sollecitato. Ma questo numero negli ultimi mesi è diventato quello utilizzato per i servizi ordinari ma così non dovrebbe essere. Ma questo è anche il risultato della nostra incapacità di gestire i canali di comunicazione ordinari. Abbiamo anche  messo un numero straordinario di cellulari solo per i passaporti ma con l’incremento esponenziale delle richieste c’erano giornate in cui si riempiva la segreteria telefonica…”

Tempesta perfetta quindi. Ma dopo la tempesta arriva la quiete? Insomma il consolato di New York ha  quasi 100 mila iscritti aire, ma poi se si contano gli italiani non iscritti all’aire eppure residenti nel Tristate, poi i turisti e chi di passaggio per affari, degli americani con doppia nazionalità… diciamo che da una cittadina come Trapani o Siracusa, gli italiani di New York diventano Catania o Palermo. Allora, non so come funzioni tra diplomatici quando dovete interloquire con la Farnesina per far capire le vostre esigenze, ma lei è pronto a farsi sentire per ovviare a certe mancanze fisiologiche del consolato? Pur sapendo che quando arriva la tempesta perfetta non si può far nulla, ci sembra che anche al tempo della quiete il consolato non sarebbe in grado di servire una comunità così vasta… Non diciamo di batter i pugni sul tavolo perché magari poi la trasferiscono e non si è risolto nulla, ma lei cosa intende fare per farsi aiutare da Roma per far funzionare meglio il consolato di New York?

“Lei tocca un punto dolente, però voglio essere molto franco. Qui il problema non riguarda solo New York. Non è che il ministero ce l’ha con New York e quindi ci dice ve la dovete cavare da soli, la realtà è una carenza generalizzata  negli organici che è il frutto, e non sto confidando nessun segreto, di un paio di decenni di concorsi bloccati. Per cui i nostri impiegati amministrativi andavano in pensione e non venivano sostituiti. E’ chiaro che questo ha gradualmente condotto ad una situazione di grave carenza che viene sofferta soprattuto all’estero e non solo a New York. Tanto nei nostri consolati come nelle nostre ambasciate. Quando i posti vengono pubblicati non ci sono le domande. Perché abbiamo un numero di impiegati molto basso e l’età media ormai è alta. A Roma c’è perfetta consapevolezza delle esigenze tanto di New York quanto in altre sedi. E si fanno molti sforzi per cercare con risorse scarse di coprire le diverse esigenze. La buona notizia è che quest’anno, con un concorso che era stato rinviato per colpa di Covid già l’anno scorso, c’è stato un ingresso di quasi 300 cancellieri…”

“Unrelenting” by Francesco Simeti, projected onto the walls of the Italian Consulate in NYC. (Photo by Terry W. Sanders)

Speriamo che ne mandino tanti qui…

“C’è stato un nuovo concorso – io non ne ricordo da quando sono in carriera  di concorsi per impiegati amministrativi-. Non ricordo di altri concorsi, a parte che per figure commerciali e figure professionali come informatici. Certo,  c’è quello dei diplomatici quasi ogni anno …. Ora abbiamo finalmente avuto un nuovo afflusso di impiegati amministrativi e un ulteriore concorso è già previsto…”

Quindi c’è già stato: arrivano i rinforzi?

“Ecco, non parlerei di svolta, però di cambiamento di rotta e con un altro concorso in arrivo.  Ovviamente ci vorrà un po’ di tempo perché i nuovi arrivati vengano messi a disposizione delle sedi, e poi le sedi competeranno tra loro per averli. Allora sì, il Ministero dovrà cominciare nelle realtà più in difficoltà …”.

Diciamo che il consiglio agli italiani di New York è di stringere i denti perché i rinforzi stanno arrivando…

“Vorrei anche dire, visto che abbiamo parlato di questa tempesta perfetta, il mio obiettivo è quello, con le risorse a disposizione, di tornare a chiamarli ritardi, difficoltà fisiologiche. In primis della comunicazione, perché su quella non abbiamo attenuanti. Quello che vorrei dire agli italiani è che però, con altrettanta franchezza, è che noi qui lavoriamo tutto il giorno, con uffici piccoli ma con gente motivata, e date le persone a disposizione, con il massimo dell’organizzazione possibile, massimo dell’impegno possibile. Dai passaporti, allo stato civile, alle iscrizioni AIRE. Gli italiani devono sapere che qui si fa tutto il possibile e direi anche un po’ più del possibile per erogare i servizi. Ma se la macchina ha quelle capacità, è difficile produrre più di quell’output. L’obiettivo è di fare il massimo possibile per dare all’auto il massimo possibile. Ma mentre sulla comunicazione, io posso soltanto chiedere scusa agli italiani, sui ritardi di certi servizi, è bene che comprendano che hanno a che fare con una struttura che sta facendo il massimo. Questo è il mio obiettivo da Console Generale. È difficile da dimostrare; bisogna starci dentro per capirlo…”

Il Console Generale d’Italia a New York Fabrizio Di Michele alla sua scrivania (Foto di Terry W. Sanders)

Tra 4 anni, quando tornerò per farle l’intervista, vedremo i risultati…

“In realtà con la riapertura post COVID, e tutti i problemi che le dicevo, sapevamo che sarebbe arrivato un momento veramente difficile…”

Ma si è forse pentito già della sede di New York?

“No, quello che volevo dire è che forse, tutto sommato, va bene così”.

Ah, sì, certo, peggio di così…

“Perché è facile migliorare”.

Appunto, peggio di così…

“La riapertura post COVID, con le risorse che abbiamo, la domanda che c’è, per quanto fosse…”

Ma rimpiange forse un’altra sede, che so, in Svizzera…

“Assolutamente no!”

Manhattan vista da Roosevelt Island in una giornata di primavera, April 2021. (Photo: Terry W. Sanders)

“New York era quella dove volevo andare… Tra 4 anni le dirò se ho rimpianti o no. Io ce la sto mettendo tutta, ho l’entusiasmo, l’energia e la voglia di fare – con realismo, e quindi senza nascondermi. Tanto quando dico che nella comunicazione siamo arrivati a livelli patologici, non accettabili, mi scuso con gli italiani….“

Io ne ho intervistati tanti di Consoli Generali in 25 anni e non ne ricordo uno che chiede scusa alla comunità. Chiedere scusa è un atto non solo di coraggio, ma di realtà cioè di far capire in questo momento che c’è stata una mancanza ma lei si prende le responsabilità di petto anche se è arrivato da poche settimane. Gli americani dicono, “the buck stops here”, lo diceva un certo presidente Truman…

“La responsabilità ce l’ho…”

Beh, è appena arrivato…

“Lo so, però ci sono tante ragioni attenuanti, ripeto, c’è la riapertura post-COVID, la tempesta perfetta come dicevamo, ma non posso non riconoscere i problemi che ci sono”.

Il Console Generale Fabrizio Di Michele davanti al Consolato d’Italia a New York (Foto di Terry W. Sanders)

Comunque, lei come Truman, “the buck stops here” : lei si prende la responsabilità, quando tra 4 anni se questo Consolato funzionerà meglio diremo che lei è il boss! Se non sarà così…

“Non può che essere così. Sono pagato per questo!”.

Adesso per l’ultima parte dell’intervista, parliamo invece del futuro, nel senso che sì, ci sono tanti problemi, però ci sono anche delle opportunità. Qual è qualcosa che Lei ha già pensato che vorrebbe organizzare, di fare – i contatti, per esempio con le istituzioni, che possano essere altri sedi diplomatiche, di altri Paesi, oppure pensa anche a grandi istituzioni culturali di New York. Noi abbiamo già parlato con il nuovo direttore dell’Istituto di Cultura Fabio Finotti. Di solito c’è la tradizione che il Consolato e l’Istituto di Cultura lavorano in simbiosi. Ecco, c’è qualche cosa che Lei già pensa come obiettivo – non dev’essere immediato – ma qualcosa che vorrebbe fare per il futuro del suo mandato?

“Penso onestamente che di idee ce ne sono tante, ne ho tante io, ne ha tante il Professor Finotti. Siamo entrambi dei newcomers, quindi ci sono tante energie ed idee, e c’è anche una situazione di rinascita e col potenziale che ci dà la riapertura dopo una lunga pausa. In genere, chi arriva qui trova un “treno in corsa”, poi ci sale su e poi piano piano scegli le fermate, se rallentare, cambiare direzione , perseguire degli obiettivi diversi. Qui, siamo in una fase in cui stiamo riavviando una programmazione che era completamente ferma. E questo, dà una potenziale, ma anche delle difficoltà, perché fin quando, per esempio, non abbiamo la certezza di quando gli italiani potranno arrivare negli Stati Uniti, alcuni progetti che erano già in essere vengono sospesi o vengono messi in quel limbo che io chiamo “il webinar in digitale” di cui però la gente è estremamente stanca e che non è ovviamente l’obiettivo ideale — bisogna ricreare quindi eventi fisici, di cui le condizioni ci sono già, per fortuna, sul piano della sicurezza. Quindi, io vedo un potenziale di ripartenza enorme che potrebbe anche consentirci di pensare in modo diverso e al tempo stesso, però, quello delle attività – chiamiamole promozione integrata del Consolato, dell’Istituto di Cultura, dell’ICE – è un, come dire, un ambito in cui i miei predecessori, in particolare, Francesco Genuardi, hanno fatto un lavoro eccelso. A me sarebbe piaciuto prendere la scia del treno in corsa, perché funzionava, e, quando il treno è in corsa ogni iniziativa produce nuovi contatti, nuove idee e nuove iniziative. Fare ripartire il treno da fermo, secondo me, chiederà di più, ma se tutto va bene con questo COVID, uscendo da questo tunnel, saremo presto in grado di fare delle cose e rimettere insieme gli italiani. Ecco, penso che questo sia uno dei miei compiti principali…”

E su questo suo staff – perché lei ha altri diplomatici, altri consoli che l’affiancano in questo lavoro –  ecco qui ci sembra abbastanza coperto. Ci siamo, o no?

Di Michele con alla sua destra la Console Generale Aggiunta Silvia Limoncini e i vice consoli Irene Asquini e Riccardo Cursi (Foto da Facebook @ItalyinNY)

“Dei funzionari, c’è la Console Generale Aggiunta Silvia Limoncini, che è in partenza e sarà sostituita a fine agosto, che ha fatto un lavoro eccezionale in questi 4 anni, sia dentro che fuori il Consolato. E poi ci sono i due giovani vice consoli:  Irene Asquini che segue più il business e Riccardo Cursi la cultura.

Ma nel complesso, la mia idea è quella, già da settembre fondamentalmente, di ripartire dagli incontri per permettere agli italiani di ritrovarsi, perché c’è grande fame di ritrovarsi – nel mondo del business, sia nel mondo dell’università, dalla ricerca al mondo della cultura e dell’arte. È chiaro, non parlo di tutti gli italiani che vorremmo portare qui dall’Italia, ma di quelli che già sono qui, e quindi si tratta di facilitare nuovi networking tra chi magari è partito e chi è rimasto, chi è rimasto isolato, chi ha comunicato  soltanto per via digitale. Questo secondo me è l’obiettivo più semplice e più immediato per i prossimi mesi”.

Giulio Picolli al Consolato Generale d’Italia a New York l’11 settembre 2020, davanti alla scultura dedicata ai caduti italiani e italoamericani dell’11 settembre (Foto VNY)

Aveva detto da settembre. Siccome il primo appuntamento è il 9/11, quest’anno è il 20esimo anniversario – tra l’altro qui al Consolato c’è anche il ricordo delle vittime italiane. Ecco, pensato di fare qualcosa di speciale, qualcosa per il 9/11?

“Assolutamente sì. Quest’anno, insieme alle associazioni, stiamo preparando un evento che mi auguro sia molto nutrito — sia perché non ci sono più le restrizioni, sia perché è il ventennale – sarà particolarmente sentito, quindi stiamo anche aiutando le associazioni a raggiungere i familiari delle vittime che magari, nel frattempo, si sono trasferiti altrove, e l’obiettivo è di fare una celebrazione speciale”.

Ha conosciuto già Giulio Picolli?

“Sì, sì. È proprio lui che stiamo aiutando; ci siamo messi a disposizione per raggiungere più italiani possibili”.

L’ultima cosa che riguarda gli italiani in Italia che fremono per venire a New York: non parliamo soltanto di turisti, di studenti, chi fa training, chi per lavoro… mentre l’Italia, l’Europa, hanno aperto, gli Stati Uniti agli italiani ancora non hanno aperto. Lei – ovviamente non è la sua responsabilità – ma delle notizie che ha, ha buone notizie per gli italiani che fremono… Per esempio, ci scrivono al giornale e dicono: “al Consolato nessuno ci risponde. Ci dite quando possiamo andare a New York?”. Noi non sappiamo rispondere. Lei cosa prevede?

Fabrizio Di Michele, Console Generale d’Italia a New York (Foto di Terry W. Sanders)

“Questa è una domanda da un milione di dollari, e che riceviamo spesso. In realtà…”

Biden è in Europa ora, magari annuncia qualcosa…

“Questi sono giorni importanti. Oggi c’è il vertice NATO e domani il vertice Stati Uniti-Unione Europea. Questo tema delle riaperture è sul tavolo, insieme a quello dei vaccini, del rilancio economico, sono quelli principali. Ed è chiaro che l’Italia, come la maggior parte dei Paesi europei, ha riaperto senza reciprocità, ma la pressione è fortissima, e si giustifica sempre meno, come dire, una chiusura solo per Schengen, tanto che ormai gli italiani, anziché aspettare, viaggiano tramite via Croazia, o Messico. Direi che è difficile per me fare previsioni, ma il buon senso mi dice che stiamo andando verso la riapertura del turismo. Se sarà imminente oppure bisognerà aspettare la fine dell’estate, questo non mi sento ancora di dirlo”.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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