Sarebbe il caso di incominciare citando Charles Dickens. “Era il migliore di tutti i tempi, era il peggiore di tutti i tempi”, esordì lo scrittore inglese nel 1859 nel suo romanzo Le due città. Mi viene in mente quella citazione mentre giro per il giardino botanico di New York. Sono qui per la mostra della scultrice giapponese Yayoi Kusama. Novantadue anni suonati e un bagaglio straordinario di opere d’arte per lo più ispirate dalla natura — alberi, piante, fiori. Ed è intorno a questa tematica che c’era stato interesse da parte del giardino botanico nel Bronx per allestire una grande esposizione della Kusama.
Cosa c’entra Dickens, vi chiederete voi. Ora ci arrivo, datermi il tempo di spiegare. Ogni anno da dodici anni a questa parte il New York Botanical Garden organizza un’importante mostra che debutta in primavera e rimane aperta fino all’autunno. Solitamente la data d’apertura è a metà aprile e la chiusura avviene a fine ottobre. Uno dei più grandi successi fu la mostra dedicata all’artista messicana Frida Kahlo che nel 2015 attirò in questo splendido angolo del Bronx mezzo milione di visitatori. Un’affluenza di pubblico straordinaria che aveva ampiamente superato i numeri del 2012 quando il giardino botanico aveva aveva raggiunto un record di 373 mila visitatori allestendo un’esposizione dedicata alla pittura floreale di Monet.
Nel 2019 era stato un paesaggista brasiliano a fare gli onori di casa al giardino botanico. Bellissima allora la mostra dedicata al modernista Roberto Burle Marx, il cui nome è legato per esempio alle onde bianche e nere della passeggiata fronte-mare di Copacabana. Mozzafiato l’atmosfera carioca al Botanical Garden ma visto che il nome di Marx non è immediatamente riconoscibile di visitatori ce n’erano stati solamente 200 mila. Numeri ben più corposi invece per Georgia O’ Keefe nel 2018 o Herny Moore nel 2009.
Grande successo anche per Dale Chihuly, l’artista americano il cui cognome è diventato sinonimo con l’arte del soffiare il vetro. Sue sono le straordinarie creazioni in vetro multicolori che prima di arrivare nel Bronx erano state per esempio lungo il Canal Grande a Venezia, parte di un monumentale progetto con quattordici immensi lampadari in vetro soffiato che illuminavano le acque della Serenissima.
La Kusama era prevista per il 2020. Tutto era pronto per un grande debutto a metà aprile quando la pandemia si era abbattuta sul mondo intero e il 13 marzo New York era andata in lockdown. Tutto nel mondo dell’arte della Grande Mela si era bloccato con una brusca frenata. Teatri, musei, gallerie d’arte e naturalmente anche il Giardino Botanico. Che cosa ne sarebbe stato dell’esposizione della Kusama non era stato un punto di domanda. Inaugurazione rimandata di alcune settimane? Qualche mese? Nessuno allora poteva immaginare che il lockdown — in una forma o nell’altra — sarebbe durato per oltre un anno. Non so esattamente quando fosse stata presa la decisione di rimandare la Kusama al 2021, fatto sta che “Kusama: Cosmic Nature” ha aperto qualche settimana fa e rimarrà in esposizione fino al 31 ottobre.
Ho visitato la bellissima mostra la scorsa settimana ed è stato durante la mia visita che mi sono risuonate in mente le parole di Charles Dickens. “Era il migliore di tutti i tempi, era il peggiore di tutti i tempi”. Ho girato l’esposizione in condizioni assolutamente ottimali. Poca gente nonostante fosse una bellissima giornata d’aprile. Ampia possibilità di fermarmi indisturbato davanti a ognuna delle sue opere. Dalla grande zucca a pois agli alberi fasciati di tessuto rosso pure lui a pois. Dai coloratissimi fiori che sbocciano nel mezzo di uno stagno a un grandioso tulipano bicolore. Una situazione del tutto ideale che mi faceva sentire il privilegio di vedere questa importante mostra senza il fastidio delle folle. Per visitare il New York Botanical Garden era il migliore di tutti i tempi.
Ma il motivo di questo privilegio non è certo da celebrare. Il turismo a New York continua a essere fermo. Pochi, pochissimi i visitatori americani e ancora meno quelli stranieri con un blocco pressochè totale per il turismo internazionale. In un anno normale il giardino botanico del Bronx sarebbe pieno zeppo di gente con settimane di attesa per i biglietti a orario e code all’ingresso. Ecco perché mi era venuto da pensare che era il peggiore di tutti i tempi.
Fortunato io che per qualche ora mi stavo godendo arte e natura, ma per tutte le istituzioni culturali di New York questa è una situazione insostenibile. Per allestire grandi mostre servono soldi e ne servono tanti. Non bastano dunque i newyorkesi per sostenere la ripresa delle arti e della cultura. È in quest’ottica che in giugno l’ente del turismo newyorkese lancia una nuova campagna promozionale. Primo passo, il ritorno del turismo domestico e poi poco per volta la riapertura a quello internazionale vaccinato. Ancora per qualche settimana dunque chiudiamo un occhio sulle conseguenze negative della pandemia e godiamoci questa New York, in via eccezionale a dimensione umana. E ricordiamoci Dickens: “It was the best of times, it was the worst of times…it was the season of Darkness, it was the spring of hope”. Era la stagione delle Tenebre, era la primavera della speranza.