Mentre ad Amsterdam la sindaca ambientalista Femke Halsema minaccia di bandire i turisti dai coffee shop, dall’altra parte dell’oceano lo Stato di New York discute una legge che legalizza la marijuana. Il 24 marzo 2021 il governatore democratico Andrew Cuomo e i leader dei legislatori dello Stato sono giunti ad un accordo. Probabilmente anche in un tentativo di oscurare le accuse di molestie sessuali e lo scandalo sui conteggi dei morti da Covid nelle case di riposo, Cuomo riesce a strappare il consenso dei suoi colleghi su una proposta di legge già da tempo in discussione. Il “Marihuana Regulation and Taxation Act (MRTA)” o “Cannabis Law” legalizza la cannabis per gli adulti a partire da 21 anni di età. Il testo prevede anche una tassazione sulle vendite del 13%, il 9% dei quali andrà allo stato e il 4% alle autorità locali.
Le motivazioni del testo di legge spiegano che “La proibizione della marijuana ha compromesso migliaia di newyorchesi col processo di giustizia penale per reati non violenti, negando a molti il diritto fondamentale di partecipare al sistema democratico ed elettorale, nonché inibendo la capacità dei cittadini – altrimenti rispettosi della legge – di accedere ad alloggi, prestiti per gli studenti, opportunità di lavoro e altri servizi vitali”.
Sono un po’ le stesse motivazioni che nel 2017 hanno portato il Canada a legalizzare la cannabis, facendola diventare il secondo paese al mondo, dopo l’Uruguay. Il Primo Ministro canadese Justin Trudeau raccontava di come suo fratello, Michel, fosse stato colto in possesso di alcune canne e di come suo padre, l’ex Primo Ministro Pierre Trudeau, fosse intervenuto in suo soccorso: “Siamo stati in grado di farlo perché avevamo risorse, mio padre aveva un paio di contatti ed eravamo fiduciosi che mio fratello non sarebbe stato gravato da precedenti penali a vita”.
Ma non tutti hanno i contatti e le risorse dei Trudeau. Un rapporto del servizio di polizia di Toronto che analizza le disparità razziali, afferma che, nel periodo novembre 2013-luglio 2017, “le persone di colore erano ampiamente sovrarappresentate nelle accuse di possesso di cannabis. Sebbene costituiscono solo l’8,8% della popolazione di Toronto, le persone di colore rappresentano il 37,6% di coloro che sono accusati per possesso di cannabis”.
Negli Stati Uniti, l’uso e il possesso della marijuana sono illegali ai sensi del “Controlled Substances Act” del 1970, il quale definisce la sostanza ad alto potenziale di abuso e nessuno scopo terapeutico. Ma nel corso degli ultimi cinquant’anni, gli stati americani hanno progressivamente allentato le norme. Il primo a decriminalizzarla è stato l’Oregon nel 1973. Oggi si fanno prima a contare gli stati in cui la droga leggera è totalmente illegale: Idaho e Nebraska. Mentre quelli in cui l’uso ricreativo è legale sono decisamente molti di più: Alaska, Arizona, California, Colorado, Illinois, Maine, Massachusetts, Michigan, Montana, Nevada, New Jersey, Oregon, Vermont, Washington, District of Columbia, nonché in tutte le riserve dei nativi americani.
Anche l’ONU ha modificato lo status della cannabis. Il 2 dicembre 2020, i 53 stati membri della Commissione Narcotici hanno approvato la rimozione della sostanza dalla Scheda IV di una convenzione che risale al 1961 e che ne limitava l’uso a scopo terapeutico. Con 27 voti a favore, 25 voti contrari e un’astensione, la Commissione ha riconosciuto l’interesse per l’uso terapeutico della marijuana, benché il suo uso per scopi al di fuori della sfera medica e di quella scientifica continueranno ad essere illegali ai sensi della convenzione.
Negli Stati Uniti è in corso risveglio dell’interesse per l’uso delle droghe in campo scientifico. Il 3 novembre scorso (lo stesso giorno delle elezioni presidenziali), l’Oregon – pioniere della legalizzazione di sostanze illegali – ha approvato l’uso controllato della psilocibina, il principio attivo contenuto nei funghi psichedelici. Alcuni ricercatori, tra cui la Johns Hopkins University e l’Università della California, sostengono che in alcuni casi l’uso di queste sostanze possa fornire un contributo nella cura di ansia, depressione, tossicodipendenze e disturbi post traumatici da stress (PTSD).
Ma per tornare alla marijuana, il suo uso in forme attenuate è già consentito nello Stato di New York. I prodotti contenenti cannabidiolo (CBD) – il componente chimico che si trova in natura nelle piante di canapa e che ha poteri antinfiammatori – si trovano regolarmente alle casse dei supermercati. “Caramelle gommose alla canapa – si legge su alcune etichette – Ti aiuteranno in caso di: sistema immunitario indebolito, depressione, ansia, insomnia, nausea, spasmi muscolari, infiammazioni, dolori”.
Una delle storie che meglio racconta degli effetti terapeutici della marijuana è quella di Charlotte Figi. Nata nel 2006 in Colorado, a soli tre mesi di vita manifestò il suo primo attacco di convulsioni, della durata di ben 30 minuti. Le venne diagnosticata la sindrome di Dravet, una grave forma di epilessia che le causò problemi di linguaggio e, all’età di 5 anni, la costrinse ad usare una sedia a rotelle. Era arrivata a sperimentare 300 crisi epilettiche alla settimana. Su richiesta della madre, i medici cominciarono a prescriverle olio di cannabidiolo per alleviare le sue convulsioni, che passarono dall’essere 300 a settimana fino a un minimo di 2 o 3 al mese. La sua storia ha segnato un cambio di passo nell’uso terapeutico della marijuana. Charlotte è morta il 7 aprile 2020 e il governatore del Colorado, Jared Polis, ha proclamato il 7 aprile “Charlotte Figi Day”.
La legalizzazione della marijuana nello stato di New York non solo potrebbe attenuare disparità razziali di lunga data, ma potrebbe anche alleviare Amsterdam da un intasamento provocato dal turismo delle droghe leggere, dirottare quest’ultimo verso NYC e dare un impulso alla ripresa turistica, una volta finita la pandemia. D’altronde è anche vero che la città che non dorme mai, prima di essere rinominata dagli inglesi New York, era stata battezzata New Amsterdam!