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Alessandra Corona, da un’isola all’altra danzando sulle punte

La ballerina sarda si racconta: da Cagliari, dove ha calcato per la prima volta il palcoscenico, al successo a Manhattan, dove dirige una sua compagnia

Liliana RosanobyLiliana Rosano
Alessandra Corona, da un’isola all’altra danzando sulle punte

Una performance della compagnia diretta dalla ballerina Alessandra Corona

Time: 5 mins read

I primi passi a Cagliari, dove è nata, calcando il palcoscenico sulle punte. Poi gli studi a Roma, prima danza classica con Paola Leoni e poi danza contemporanea con Roberto Greco ed infine la carriera. In Italia lavora con Gino Landi a Rai 1 TV,  le compagnie Asmed, Renato Greco danza contemporanea, Vittorio Biagi, in Europa e in giro per il mondo con diversi maestri di fama internazionale.

Alessandra Corona inizia dalla sua isola a danzare sulle punte, la Sardegna, per finire in un’altra isola, Manhattan, dove oggi vive. Dopo dodici anni trascorsi come prima ballerina al Ballet Hispanico, nel 2012 fonda la sua compagnia “Alessandra Corona Performing Works” di cui è direttrice artistica. Cinque le produzioni ad oggi realizzate grazie alla collaborazione di importanti coreografi italiani, europei.

Performance al Baruch Performing Art Center, New York

L’obiettivo è lavorare in sinergia sviluppando un nuovo linguaggio frutto della multidisciplinarietà tra danza, teatro, musica, arti visive. Alessandra sarà impegnata in un nuovo progetto che presto la porterà in Italia e a chi sogna di fare la ballerina dice: “Studiate danza classica, questo è un lavoro duro che richiede fatica e disciplina ma dà tante soddisfazioni”.

Il suo sogno oggi è invece quello di creare una compagnia di danza-teatro che si ispira al musical. New York “mi ha dato molte soddisfazioni a  livello professionale anche se tornerei in Italia per il suo lato umano”.

 

Alessandra sei arrivata a New York in tournèe senza l’intenzione di trasferirti. In realtà quella famosa tappa del 1991 segna per te un grande cambiamento comportando un trasferimento…

“Ero in tour con Renato Greco, lavoravo in Italia con Gino Landi per Rai 1 e con lo stesso Roberto Greco e non pensavo ad un trasferimento oltreoceano. Durante la tappa a New York feci un’audizione con il Ballet Hispanico, senza neanche conoscere la lingua inglese. La direttrice mi chiese se avevo in programma di trasferirmi nella Grande Mela ma in realtà non erano quelli i miei progetti. Superai l’audizione e la direttrice mi chiese di rimanere per due anni ma rimasi per  dodici anni come prima ballerina del Ballet Hispanico, ballando nei teatri più prestigiosi dell’America del Nord e del Sud, inclusa la stagione annuale al Joyce Theater di New York”.

 

Alessandra Corona protagonista sul palcoscenico

 

Da allora come è cambiata la tua vita?

“Da allora vivo a New York e la mia vita professionale è cambiata tantissimo. Nel 2000 sono stata invitata personalmente da Ann Reinking a far parte per due anni del Musical “Fosse” international tour per il nord Europa e il Giappone. Con la stessa direttrice ho fatto parte del musical “No Strings” presentato nel prestigioso teatro di New York City Center durante la stagione di “Encore”. Sono inoltre stata ospite d’onore di tante altre compagnie e festival americani e italiani”.

 

Fino a quando non decidi di fondare la tua compagnia…

“Nel 2012 ho fondato a New York “Alessandra Corona Performing Works” di cui sono anche la direttrice artistica. Sino ad oggi sono state realizzate cinque importanti produzioni.“Dinner with Friends”, coreografia di Ramon Oller, “Dulcinea in Manhattan”, coreografia e direzione di Gino Landi, ‘Thorns of the Crown”, coreografia di Ramon Oller, “Amore Impossibile”, coreografia di Kristian Cellini, “Just Joy” (qui di seguito il trailer dello spettacolo, ndr.), coreografia di Guido Tuveri”.

Non è una scuola di danza ma una compagnia che ha l’obiettivo di mettere in scena produzioni attraverso la sinergia delle varie forme artistiche e di diversi artisti…

“‘Alessandra Corona Performing Works’ nasce dalla mia idea di sviluppare una collaborazione con diversi coreografi europei e americani, mettendo insieme la sensibilità artistica europea, molto apprezzata negli Stati Uniti, con la creatività e multidisciplinarietà americana. Sono diversi i coreografi italiani ed europei con i quali ad oggi ho collaborato, con l’obiettivo di creare e ricercare un linguaggio nuovo, innovativo, frutto delle diverse discipline che amo far interagire: danza, teatro, coreografia, scenografia, arti visive, musica. Un approccio multidisciplinare insomma che è tipico del modo in cui in America si intende l’arte in generale”.

 

Alessandra Corona e James Johnson (foto Natalia Bougadellis)

 

Pensi invece che in Italia ci sia meno multidisciplinarietà e più chiusura nel mondo dell’arte?

“In Italia c’è una bellissima realtà se si pensa alla danza classica e a quella contemporanea. Io mi sono formata in Italia e l’America apprezza moltissimo la scuola e la sensibilità artistica europea. Di certo, è una caratteristica tipica degli Stati Uniti questo approccio multidisciplinare nella musica, nella danza, nel teatro. Il musical ne è un esempio evidente: mettere insieme teatro, musica, danza. Il  musical mi affascina moltissimo ed è il mio sogno quello di creare una compagnia di danza-teatro che si ispira al musical. Una compagnia di repertorio dove ospito diversi coreografi per lo stesso spettacolo”.

 

Quando hai mosso i tuoi primi passi sulle punte?

“A nove anni ho iniziato a studiare danza classica a Cagliari, dove sono nata. Poi però mi sono trasferita a Roma dove ho studiato danza classica con Paola Leoni, docente dell’Accademia di danza a Roma, e le tecniche della danza moderna nella scuola di Renato Greco, insieme a maestri di fama internazionale. Sicuramente la danza classica è la base di tutto ma poi mi sono innamorata della danza contemporanea”.

 

Alessandra Corona

La prima volta sul palco e le emozioni della danza…

“Il debutto a Cagliari con la compagnia di Paola Leoni e poi ogni volta che sostenevo gli esami per l’Accademia era sempre un’emozione pura. La cosa più bella della danza è questo contatto con il pubblico, riuscire a sentire le loro emozioni, sentire le loro reazioni. E’ anche bello ed emozionante il momento di preparazione e la convidivisione di tutti questi attimi con gli altri colleghi artisti”.

 

A chi ti sei ispirata nella tua carriera di ballerina?

“Non ad una figura in particolare ma a diverse. Ho sempre apprezzato il mondo della danza contemporanea italiano, francese, spagnolo. Mi piace molto il lavoro di Pina Bausch perchè si basa molto sull’interazione danza-teatro”.

 

C’è un progetto importante a cui stai lavorando e che ti porterà in Italia ad agosto…

“Abbiamo vinto, grazie ad un bando dell’UNESCO,  un importante finanziamento per realizzare uno spettacolo ad agosto che verrà presentato prima in Italia (Cagliari e Roma) e dopo a New York a settembre. Lo spettacolo Let me Try, di cui io curo le coregrafie, vedrà la partecipazione della mia compagnia, della compagnia Kataclisma di Roma e della compagnia L’Effimero di Sinnai (Cagliari).  E’ un progetto interessantissimo che prevede il coinvolgimento di due direttori di scena, le musiche originali di Thomas Lentakis, che tra l’altro è mio marito, la sinergia tra Europa e America. Lo spirito è quello di tradurre in danza la riflessione sulle realtà giovanili in diversi contesti territoriali: gli Stati Uniti d’America, la Sardegna, il quartiere Pigneto di Roma dove la compagnia Kataclisma ha sede. Si inizia ad agosto con il lavoro in residence”.

 

Da un’isola all’altra. La tua Sardegna e Manhattan, dove vivi…

“Amo la Sardegna, sono profondamente legata alla mia terra. Da lì tutto è cominciato. Sono molto forti i miei ricordi e il legame con la mia isola. Anche nello spettacolo “Just Joy” ho chieso al coreografo Guido Tuveri, sardo anche lui, di fare un pezzo che si ispirasse alle atmosfere gioiose delle sagre in Sardegna. Per me è una gioia ritornare in Sardegna mentre New York mi ha dato moltissimo a livello professionale. Mi ha dato molte soddisfazioni. Tornerei a vivere in Italia per la profondità delle relazioni umane che invece spesso sono un disastro a New York”.

Performance al Baruch Performing Art Center, New York

 

Pensi che fare la ballerina sia ancora il sogno di molte bambine?

“Questo è un lavoro molto faticoso che richiede molta preparazione. Oggi forse vedo nelle nuove generazioni meno concentrazione sugli obiettivi e sugli studi. Chi vuole fare danza deve partire dalla danza classica, inevitabilmente. Tanto studio, tanto lavoro. Dico ai ragazzi di studiare, l’Italia ha delle ottime scuole, e di prepararsi al mondo della danza con molta passione e determinazione. Oggi anche la danza si è evoluta abbracciando diversi stili ma la base rimane la rigida disciplina, utilissima, della danza classica”.

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Liliana Rosano

Liliana Rosano

Sono nata a Catania, dove sono sempre tornata dalle mie peregrinazioni che mi hanno portato prima in Grecia, poi a Parigi. Con la mia laurea in Scienze Politiche, sognavo di lavorare nella cooperazione internazionale, ma sono finita a fare la giornalista, prima nella redazione di Telecolor poi del Quotidiano di Sicilia. ll mio ponte con l’America è iniziato grazie a un tirocinio per le Nazioni Unite a New York. Sono una freelance e collaboro con diverse testate e magazine nazionali. Vivo a Fairfield, nelle praterie sperdute dell’Iowa, in una comunità alternativa ed eco friendly e sono sempre alla ricerca di storie di italiani all’estero da raccontare.

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