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Fentanyl ed eroina: la New York drogata che non fa discriminazioni di classe

Ricchi e poveri, bianchi e neri: tra Bronx e Staten Island, alla scoperta di una New York silenziosamente in ginocchio per lo spaccio di droga

Davide MamonebyDavide Mamone
Fentanyl ed eroina: la New York drogata che non fa discriminazioni di classe

Il segno delle dosi sul braccio di Julian, uno degli utenti del St Ann's (Foto VNY / D.M.)

Time: 10 mins read
Fraco, uno dei ragazzi che frequentano il St Ann’s Corner of Harm Reduction (Foto VNY / D.M.)

“Ho iniziato con l’eroina trent’anni fa. Quasi per caso. Non so nemmeno perché”. Fraco ha 53 anni. Parla con un tono di voce basso, ma chiaro. Indossa una felpa dei Chicago Bulls, la sua squadra preferita. La sua famiglia ha origini del sud America, ma non rivela di preciso dove. È nato nel Bronx, è sempre vissuto nel Bronx. Ma oggi è solo. Nel suo sguardo perso nel vuoto, nei segni sulle vene che si intravedono nel collo destro e nel braccio sinistro, c’è riassunta tutta la sua sofferenza quotidiana. Tiene tra le mani, che gli tremano, una candela. Beve caffè, in modo macchinoso. Vive una sofferenza inconsapevole, diventata routine, che non fa quasi più male. Quando ci parla, Fraco è timido. Abita in una stanza a un paio di isolati dal St Ann’s Corner of Harm Reduction (SACHR), dove trascorre molti pomeriggi. Sogna di potersela pagare tutta, un giorno, quella casa in cui vive. Compra eroina quando può, ogni volta che può: una o due “bag” al giorno, una o due dosi, ci spiega, dipende da quanti soldi ha in tasca. “La acquisto ovunque. Non c’è un posto preciso. L’eroina si trova ovunque qui. Ma la qualità è peggiore”.

Il centro del St Ann’s Corner of Harm Reduction (Foto VNY / D.M.)

Lontano dalle luci dello skyline, lontano dai tramonti su East River e Hudson River, c’è una New York che ha timore di guardarsi allo specchio. Una città fragile, impaurita, senz’anima. Sola. Che si nasconde da sguardi indiscreti. Una città silenziosamente divorata dalla droga, dove persone come Fraco sopravvivono alla loro quotidianità senza viverla davvero, in centri come il St Ann’s Corner of Harm Reduction e non solo. Il fenomeno dello spaccio e dell’uso di stupefacenti, a New York, non è nuovo, anzi. Ha radici profonde e ha vissuto alti e bassi, come tutti i fenomeni sociali. Ma il prezzo standard dell’eroina, negli ultimi quarant’anni, non è quasi mai cambiato: 8-10 dollari a dose oggi, 5-8-10 dollari negli anni ’70. Meno di un pacchetto di sigarette.

L’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani

E ora, nonostante la cura “Broken Window” dall’ex sindaco Rudolph Giuliani negli anni ‘90 – teoria che diede, in un certo senso, dei risultati seppur aspramente criticata -, nonostante il crollo dei reati di oggi, il fenomeno-eroina sta per riesplodere. Anzi, è già esploso. Nel 2016 il numero di vittime da overdose, negli Stati Uniti, ha toccato quota 64mila, di cui 1374 solo a New York City (+46% rispetto al 2015). E a prendere il proscenio, con prepotenza, è un nuovo veleno per il quale non sono stati ancora trovati antidoti: il fentanyl.

L’eroina tagliata con questo oppioide sintetico, cento volte più potente della morfina, è infatti diffuso ovunque nella città che non dorme mai. Arriva da Cina, Messico, Colombia. Si insidia tra Avenue e Street. E la sorpresa è che le sue vittime a New York sono eterogenee, di ogni estrazione sociale. Il fentanyl lo si trova infatti in ogni dove: per strada, nei negozi usati come copertura, nelle case, nel dark web. E colpisce tutti: gli uomini e le donne, i giovani e i meno giovani, i poveri dei quartieri degradati e i benestanti delle suburbs di Long Island e New Jersey, i neri di Harlem e i ricchi bianchi di Westchester County. La sua tenaglia stringe silenziosamente da nord, nel Bronx, e da sud a Staten Island. Passando per Brooklyn e Queens. E ovviamente Manhattan.

Il St Ann’s Corner of Harm Reduction, situato nel cuore del South Bronx (uno degli storici epicentri newyorkesi dello spaccio di stupefacenti) e fondato dalla coraggiosa e solare Joyce Rivera, accoglie 8mila utenti unici all’anno. Circa 120, 130 persone al giorno. È uno dei principali centri ricreativi di New York che supportano i tossicodipendenti nella loro difficile quotidianità.

L’ingresso del St Ann’s Corner of Harm Reduction, all’886 di Westchester Ave, Bronx, New York (Foto VNY / D.M.)

Si rivolge però, soprattutto a chi è meno abbiente: offrendo un pasto caldo, un caffè, del latte. Permettendo a chi non può di farsi una doccia. Educando i tossicodipendenti a utilizzare i kit anti-fentanyl, per scoprire prima di assumere una dose se al suo interno c’è l’oppioide che potrebbe ucciderli o meno. Dando loro il Naloxon, per scongiurare l’overdose, al bisogno. C’è chi ci torna ogni giorno, al St Ann’s, chi invece ci passa un pomeriggio e poi torna nell’anonimato. Le persone che lavorano qui lo fanno a testa bassa, con pochi strumenti ma con tanta umiltà, con un sorriso nonostante tutto: “Questa esperienza è nata nel 2002, ma è da tanti anni che lottiamo contro questo fenomeno terribile”, spiega Joyce Rivera a La Voce di New York, accogliendoci nel suo ufficio.

Joyce Rivera, fondatrice del St Ann’s Corner of Harm Reduction (Foto da Youtube)

Le fasi della diffusione di eroina a New York, lei, le ha vissute tutte: quando negli anni ‘90 lo spaccio avveniva esplicitamente in pubblica piazza e “io convinsi uno degli spacciatori di zona più potenti qui nel Bronx di smetterla, facendogli notare che per colpa sua le persone morivano di AIDS, persone che anche lui magari conosceva”, fino a oggi, “dove il nemico numero uno è il fentanyl e la vendita è diventata più privata che pubblica: ma noi non ci arrendiamo”.

Con il fentanyl, il mercato nero della droga va a gonfie vele. Sul territorio, ma anche online. È un oppioide dagli effetti devastanti che non si vede, non si sente e non odora, e che porta all’overdose senza che chi lo assume se ne accorga in tempo. Viene mischiato con l’eroina, ma anche con la cocaina e con oppiacei come lo xanax. Secondo le autorità, il numero di vittime per fentanyl, dal 2013 al 2015, negli Stati Uniti è cresciuto del 73%.

Julian, durante la nostra conversazione al St Ann’s (Foto VNY / D.M.)

Chi vive la strada sa che a parità, o quasi, di prezzo, la qualità della droga è diminuita di molto nell’ultimo trentennio. Fraco è uno dei tanti a lamentarsene, ma non è il solo. Anthony (nome di fantasia) frequenta anche lui il St Ann’s da tempo. Indossa un cappello e una polo sgualcita, ha profonde occhiaie e ci chiede di non farsi fotografare: “Ho iniziato quarant’anni fa, ne ho 55 ora. La qualità del prodotto è peggiorata, ma non sono mai andato in overdose. Mio fratello sì, lui era più debole di me”. A Julian, invece, dell’anonimato non interessa. Parla in spagnolo e si fa tradurre in inglese da un suo vicino di casa, anche lui frequentatore del St Ann’s: “Sono nato nel ’61 e vengo dal Porto Rico, dove ho scoperto l’eroina e la cocaina. Nel quartiere dove sono cresciuto si facevano tutti, era inevitabile che iniziassi anche io. Mi sono trasferito a New York nel ’97 e per lungo tempo ho proseguito”. Julian, nella sala spoglia del centro, è uno dei pochi che ce l’ha fatta a smettere, anche se i segni che mostra, sulle sue braccia, sulle sue gambe, sul corpo, sono vivi testimoni del suo passato: “Sto provando a curarmi, ma nemmeno sotto metadone i miei valori stanno tornando normali. Sto cercando una nuova cura, ma è difficile”.

La gamba mostrataci da Julian, con ancora i segni del suo passato (Foto VNY / D.M.)

Gli effetti del fentanyl sono devastanti, ma rappresentano l’ultima tappa di un circolo vizioso più articolato e complesso, che parte indirettamente da molto lontano. Dalla medicina legale. “Ci sono 11 milioni di prescrizioni di oppiacei negli Stati Uniti oggi, all’anno”, spiega a La Voce di New York Van Asher, Syringe Access Program Manager al St Ann’s. Dalla metà degli anni ’90, l’idea che auto-medicarsi fosse legittimo ha preso piede. E per impasticcarsi è bastato a milioni di persone andare dal medico e farsi prescrivere le proprie medicine preferite: “Penso allo xanax, ad esempio, di cui molti hanno abusato a lungo”. Negli ultimi anni, però, qualcosa è cambiato: “Dai vertici hanno chiesto ai medici di smetterla di prescrivere pillole come caramelle” racconta a La Voce di New York Bart Majoor, olandese di 65 anni, pragmatico e appassionato Deputy & Clinical Director al St Ann’s. Una scelta, questa, che ha trascinato molte persone in crisi. A gente comune abituata a usare pasticche ogni giorno, infatti, è stato detto da un momento all’altro che farlo a quel ritmo fosse sbagliato: “Hanno anche sviluppato dei database per permettere ai medici di sapere quante volte un paziente ha chiesto, ad esempio, lo xanax o altre pastiglie. In questo modo ogni singolo dottore può dire no a chi glielo richiede con troppa frequenza, vedendo con un semplice click il resoconto personale del paziente” spiega Joyce Rivera. Un fatto di per sé positivo. Ma con effetti collaterali forti. La dipendenza da pasticche è infatti sfociata, sempre di più, nel rafforzamento del mercato nero, dove le pillole legali sono vendute a New York fino a tre volte il prezzo di mercato reale.

Van Asher, Syringe Access Program Manager, nel suo ufficio al St Ann’s (Foto VNY / D.M.)

Il ragionamento è semplice: se non me le prescrive il dottore, le compro dalla strada. Un ragionamento però pericoloso: chi è assuefatto da oppiacei, infatti, non può pagare così tanto e a lungo per comprarli e il passaggio dalle “pillole legali” alla “droga illegale” si inizia a concretizzare proprio in questo momento. Un meccanismo che porta soprattutto i giovani a essere vittima: “Comprare del xanax nel mercato nero può venire a costare fino a 30 dollari”, spiega Van Asher. Una dose di eroina, invece, ne costa appena 10. “Non mi sento di dire che le giovani generazioni della middle-upper class bianca newyorkese si facciano di eroina: sarebbe una generalizzazione”, dice Bart Majoor.

Bart Majoor, Deputy & Clinical Director, nel suo studio al St Ann’s (Foto VNY / D.M.)

“Certo però  – conclude – è che molti giovanissimi di famiglie per bene, soprattutto nelle periferie, quelli che magari sono isolati perché passano molto tempo a giocare ai videogame e non hanno bisogno di alcun contatto col mondo esterno oltre alla loro stanza, iniziano a intossicarsi prendendo delle pastiglie che trovano in casa, regolarmente prescritte dai medici. Lo fanno quasi per gioco in un primo momento. Quando poi ne diventano dipendenti e non se le ritrovano più per casa, perché quel medico ha deciso di non venderne più alla famiglia, si vedono costretti a cercare altro. E l’eroina è lo step successivo per tanti, troppi ragazzi”.

Stapeltom House, Staten Island

Staten Island, l’isola nell’estremo sud di New York, conosce bene questo problema: è uno dei centri più in affanno nella lotta all’eroina e al fentanyl. E si che a vederla dall’esterno, non lo si direbbe: bagnata dall’acqua, all’ombra della Statua della Libertà, Staten Island sembra un posto tranquillo costruito per famiglie benestanti. All’apparenza, infatti, lo è. Ma i numeri raccontano un volto ben diverso, più oscuro dell’isola: nel 2015 infatti sono state 69 le persone morte di overdose. Un numero in crescita nel 2016, 116. Nel 2017, fino ad ora, i casi sono stati invece 83. Secondo le cifre del Department of Health di New York City, dei cinque borough, Staten Island è quello che ha una percentuale più elevata di overdose involontaria in tutta New York, ogni 1000 abitanti. “Il problema è che non esistono aree più pericolose o meno pericolose, né a North Shore né a South Shore: lo spaccio, la vendita e l’uso di eroina sono essenzialmente privati, il che rende più difficile intercettarli”. A parlare a La Voce di New York è Andrew Crawford, Director of the Community Powership Unit del District Attorney Michael E. McMahon.

Il District Attorney di Staten Island, Michael E. McMahon

McMahon, insediatosi nel 2015, ha fatto della lotta contro gli stupefacenti e nella prevenzione all’uso dell’eroina, uno dei principali cavalli di battaglia del proprio mandato. Oltre alla lotta contro chi spaccia, l’ufficio di McMahon ha promosso parallelamente un programma di educazione e di prevenzione. Uno dei pochi, in un Paese come gli USA dove si pensa più a punire la punta dell’iceberg – chi viene colto in flagrante mentre usa la droga – che evitare che quell’iceberg cresca: “Dal gennaio 2017 abbiamo intrapreso un programma di educazione molto mirato – racconta Crawford. Chi viene arrestato e trovato in possesso di una dose, quindi non chi spaccia ma chi la droga la utilizza, ha la possibilità di entrare nell’ambito di un programma promosso dall’ufficio del District Attorney”. Un programma in cui la persona arrestata, attraverso incontri e laboratori, capisce il significato e la gravità di ciò che stava per fare a sé stesso. “Se l’imputato accetta e completa il programma – spiega Andrew Crawford –, quando dopo 37 giorni dall’arresto torna davanti al giudice, gli viene dato atto del percorso che ha fatto e il suo reato non viene inserito in fedina penale”. Un programma che per ora sta pagando, e in positivo: “Solo il 16% degli arrestati, che ha accettato di effettuare il programma, è stato arrestato di nuovo”.

Nonostante questo, però, la diffusione dell’eroina e del fentanyl a Staten Island è in silenzioso aumento. E gli arresti non si fermano. In estate, l’operazione “Final Kut” coordinata dall’ufficio di McMahon ha permesso di mettere in manette 15 spacciatori, considerati tra i più pericolosi dell’isola all’ombra della Statua della Libertà: “Non c’è un profilo-tipo per chi spaccia – spiega ancora Crawford a La Voce di New York. Ed è questo il problema. Possono essere bianchi e neri, giovani e persone di mezza età, abbiamo messo in manette anche donne. È un’epidemia contro la quale ci scontriamo ogni giorno e il fenomeno è sempre più volubile, perché è diventato privato”.

Il Professor Richard Curtis, John Jay College

Il mercato, in effetti, si è radicalmente modificato. E a confermarlo a La Voce di New York è anche Richard Curtis, Professor and Chair of the Anthropology Department al the John Jay College of Criminal Justice di New York. “Sono lontani i tempi in cui gli incroci del Bronx, di Brooklyn, del Queens erano pubblici punti di riferimento per la compra-vendita di stupefacenti”, spiega. “Fino alla prima metà degli anni ’90 c’era una piramide gerarchica molto rigida: ogni mattonella di ogni incrocio apparteneva a uno spacciatore che lavorava direttamente per conto di qualcuno sopra di lui e vendeva un determinato prodotto nel modo in cui gli veniva chiesto”. Nel Bronx, uno dei centri più famosi era ad esempio quello tra 138th St e Brook Avenue, dove passa la linea 6 della Subway. “Un tempo era il regno di George Calderon”, ci racconta il Professor Curtis.

L’incrocio oggi tra 138th St e Brook Ave, in passato celebre punto di riferimento dello spaccio all’aria aperta nel Bronx ( Foto VNY / D.M.)

A passeggiarci oggi, invece – e lo abbiamo fatto, dopo la chiacchierata con il professore – sembra un incrocio come tanti altri. E lo stesso vale per una delle aree più pericolose del Bronx fino ai primi mesi del 2017: lo spazio soprannominato “The Hole“, sede a cielo aperto di spaccio e di assunzione di eroina, chiuso al pubblico a maggio, su decisione del sindaco Bill de Blasio.

“The Hole” il 2 dicembre 2017: si tratta dello spazio chiuso nel Bronx tra St Ann’s Ave e 159th St, dalla NYPD, dove fino a maggio 2017 vivevano tossicodipendenti e spacciatori (Foto VNY / D.M.)

Ovviamente però lo spaccio di stupefacenti c’è ancora, in entrambe le aree, così come in molte altre. Ed è più subdolo: “Dopo le maxi-operazioni di polizia della seconda metà degli anni ’90, tutto è cambiato, anche nelle modalità di vendita. Le principali organizzazioni malavitose sono state smantellate. Era troppo pericoloso rimanere in strada, per cui chi oggi vende eroina o fentanyl lo fa sempre per contro di altri, ma come se avesse un lavoro in subappalto: decide lui cosa vendere, quanta venderne e le modalità con cui farlo. È stata privatizzata la piramide e questo rende la lotta alla vendita più difficile”, racconta Richard Curtis.

La struttura, quindi, è oggi meno rintracciabile. Ma la platea di aspiranti acquirenti è in aumento: “Le periferie sono a rischio e quando parliamo di giovani è bene che si faccia chiarezza: ci riferiamo anche ai 14-16enni, ragazzi delle high school che la provano per noia o perché isolati”. Una piaga che accomuna anche “il New Jersey a New York, attraverso il Washington Bridge”, che colpisce Harlem e Washington Heights a Manhattan e il quartiere di Bedford-Stuyvesant a Brooklyn, e su cui la città dovrà trovare il proprio antidoto: “Non c’è semplicemente modo di risolvere completamente il problema, non c’è mai stato e non ci potrà essere mai. È un fenomeno che dura da decenni. Ma credo che lo Stato di New York, così come la città di New York debbano continuare a imboccare la strada della prevenzione, prima che quella della punizione verticale”, ci dice Richard Curtis. Una strategia per evitare di rimettere sotto il tappeto, dopo anni, un problema che riemerge sempre e che sta per riesplodere. Uno spiraglio di speranza per far sì che i tanti giovani Fraco di New York possano uscire dalla morsa dell’eroina, prima che sia troppo tardi.

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Davide Mamone

Davide Mamone

Davide Mamone è un giornalista freelance di base a New York. Cresciuto a Milano, di origini palermitane, collabora con Radio Popolare, ha scritto reportage per testate italiane come L'Espresso, Panorama e InsideOver e per testate americane come Market Watch del gruppo Dow Jones Newswires. Ha coperto le Nazioni Unite per La Voce di New York.

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