Coraggioso e avido. Curioso e brutale. Brillante esploratore. Ma anche conquistatore spietato. Per alcuni distrusse ogni cosa, per altri scoprì un nuovo mondo. Il più potente, nel giro di qualche secolo. Un eroe, per molti, un navigatore fortunato per altri. Di certo figlio della sua epoca, spietata con i più deboli e fragile nella costruzione dei valori morali. Eppure, la sua scoperta sancì l’inizio della storia moderna. Perché nell’ottobre del 1492, Cristoforo Colombo riuscì a dimostrare di poter raggiungere quello che nessuno aveva mai sfiorato. Ciò che si celava dietro i confini d’Europa, dove ancora i conflitti tra i vari stati insanguinavano i regni e dove le conquiste rendevano grandi gli imperi.

A poche ore dalle celebrazioni del Columbus Day 2017, lunedì 9 ottobre, la polemica sull’eventualità di rimuovere le statue che ritraggono Colombo in giro per la città di New York non si placa. Un dibattito che si è trasformato, soprattutto nelle ultime settimane, in uno scontro ideologico. Tra chi stava dalla parte del navigatore genovese, percepito da alcuni come simbolo dell’italianità sparsa in tutto il mondo. E chi riconosceva in lui l’unico responsabile del genocidio dei nativi americani. Quelle statue vanno tolte, quelle statue devono rimanere dove sono. Per alcuni soltanto simboli d’odio, per altri emblema di un’identità, quella italo-americana, per anni calpestata.
Appelli, proclami, dichiarazioni. Da più parti. Che hanno alimentato confusione e che hanno fatto sì che molti contenuti venissero travisati. Come, per esempio la posizione del Sindaco Bill De Blasio, il quale non ha mai chiesto la rimozione della statua al Columbus Circle, ma si è limitato a inserirla in una lista ben più ampia che sarebbe stata esaminata, in seguito, da una commissione specifica.
La Voce di New York, che nelle ultime settimane si è occupata in varie circostanze del tema, ha chiesto l’intervento di tanti accademici del panorama newyorkese, in particolare docenti universitari, per indagare l’immagine storica di Cristoforo Colombo e il suo impatto sociale tra le comunità italo-americane negli Stati Uniti. Soprattutto a New York. Qui, di seguito, le voci di coloro che sono riusciti a rispondere entro la deadline alle nostre domande.

“È comprensibile che alcune associazioni italo-americane difendano e, in un certo senso, ‘proteggano’ la figura di Colombo, ma questa posizione necessita di essere riesaminata”, ha spiegato Stanislao Pugliese, Professore di Storia della Hofstra University. “Per gli italo-americani, che hanno subito discriminazione e pregiudizio, questa figura è vista come un’icona di compensazione e di riscatto. Ma questa mentalità può facilmente degenerare, come rivela un adesivo su un paraurti che ho visto una volta: ‘Italians and America: We found it; we named it; we made it’ (Italiani e l’America: l’abbiamo trovata; le abbiamo dato un nome; l’abbiamo creata, ndr)”. Gli italo-americani e Colombo, fusi insieme da una tradizione storica piuttosto recente, corrono dei rischi, secondo Pugliese: “Sono così intrecciati che una giustificata critica storica alla figura di Colombo viene interpretata come un attacco a tutti gli italo-americani. Queste comunità dimostrerebbero grande onore e dignità se potessero semplicemente riconoscere che si tratta di una figura moralmente e storicamente complicata”.
Raccontando poi di un episodio avvenuto con alcuni dei suoi studenti, Pugliese ha poi fatto notare come, nel 1892, Colombo venisse considerato un grande eroe, oggetto quasi di celebrazione e venerazione. E che soltanto cento anni dopo, nel 1992, venisse invece riconosciuto come imperialista e commerciante di schiavi, con pesanti accuse di genocidio alle spalle. “Cambiò lui o la nostra concezione di passato? Ovviamente quest’ultima. Come storico devo riconoscere i documenti e l’evidenza: Colombo fu accusato di terribili azioni contro le popolazioni indigene e di politiche fallimentari. Ma allo stesso tempo ebbe più grande influenza negli ultimi cinquecento anni di qualsiasi altra singola persona. Non dovrebbe essere impossibile accettare entrambe le posizioni”, ha dichiarato Pugliese. Ma secondo il professore della Hofsra University, la controversia potrebbe rivelarsi utile e servire a tutti, italo-americani compresi, se permettesse di pensare al passato in modo più approfondito e sofisticato. E aggiunge: “I difensori di Colombo rifiutano di accettare la testimonianza storica; così come i suoi detrattori, che non vogliono riconoscere in lui una figura iconica per gli italo-americani. Io, personalmente, non ho alcun problema con l’Indigenous Peoples Day e preferirei cambiare il Columbus Day in una festività che celebra gli italiani, la storia degli italo-americani e la loro cultura. Qualcosa di simile al ‘Puerto Rican Day parade’”. E sul dibattito politico, chiarisce: “Penso che i media abbiano travisato la posizione di De Blasio: per quanto ne so lui non ha sostenuto la rimozione della statua o la fine della sfilata. Ha nominato una commissione per esaminare la questione, in generale. Andrew Cuomo, un politico più astuto, si è reso conto che criticare Colombo poteva essere un rischio. Una posizione suicida per molti politici”.

William J. Connell, professore di Storia alla Seton Hall Univerisity, che con Stanislao Pugliese ha scritto “The Routledge History of Italian Americans”, per spiegare la vicinanza che la comunità italo-americana sente nei confronti di Colombo, ha fatto invece un parallelo sportivo contemporaneo: “È come essere un fan, un tifoso di una squadra di calcio. Vorresti sempre che la tua squadra facesse bene. Ti senti orgoglioso quando vince o quando a uno dei suoi giocatori viene riconosciuto un premio. Si apprezza lo sport che coinvolge l’etnia, la nazionalità. Non ti dispiace che altri facciano cose simili e spesso, anzi, si applaudono anche i loro successi e si partecipa alle loro manifestazioni. Ciò che non ti piace è quando ci sono sforzi per fare in modo che tu non possa godere dei tuoi festeggiamenti. Quindi credo sia perfettamente comprensibile e prevedibile che le organizzazioni italo-americane oppongano questa resistenza alla possibile rimozione di qualcosa che li riguardi”. E sulla figura di Colombo, che secondo il professore è interessante perché in continua evoluzione, aggiunge: “Negli Stati Uniti i primi a criticare Colombo, anche se lui stava diventando un eroe nazionale, furono gli italo-americani. Erano anarchici che lo attaccavano per aver portato la schiavitù nel Nuovo Mondo. A essere onesto, poi, mi interesserebbe molto di più l’investigare come sia stato possibile l’incontro di questi due mondi”.

E alla domanda se sia utile, ogni anno, parlare di Colombo, Connell non ha dubbi: “Assolutamente sì. Il suo arrivo nel Nuovo Mondo è da considerare il momento più importante nella storia dell’umanità, dall’invenzione dell’agricoltura. E a proposito: la festa celebra il contatto tra i due emisferi, non il suo compleanno (come avviene invece per Martin Luther King) o la data della sua morte (come per i santi cristiani)”.
Per Connell, la proposta di commissionare i monumenti in città ha aperto “un incredibile vaso di Pandora”. “Il sindaco De Blasio avrebbe dovuto dare inizio a uno sforzo per creare più arte pubblica, specialmente nei quartieri periferici. Perché è questo ciò di cui New York ha bisogno. E per quanto riguarda il Governatore Cuomo, capisco che si opponga. Ma potrebbe fare qualcosa di veramente positivo, specialmente alla luce dell’atmosfera divisiva che attraversa il Paese in questo momento, se potesse raggiungere le tribù dei Nativi, al nord, e stabilire con loro canali di contatto per il dialogo con le associazioni italo-americane”. Connell, poi, ricorda come nel 1992, la parata per il Columbus Day a Chicago, incluse tra i partecipanti nativi americani, con un ampio riconoscimento della tragedia e il tasso di mortalità che colpì le popolazioni. “Colombo credeva di essere stato scelto da Dio per trovare le Americhe e non c’è dubbio che i suoi comportamenti verso i nativi furono crudeli e brutali. Ma si tratta di un grande capitano in un periodo in cui la pirateria era comune, gli equipaggi venivano regolarmente schiavizzati e mandati alle galere da aggressori ostili. Il commercio degli schiavi era una pratica accettata, soprattutto a Genova, che aveva il più alto numero di schiavi pro capite di qualsiasi altra città europea. La disciplina del mare era brutale: all’interno di quel mondo, Colombo fu efficace e coraggioso, facendo del suo meglio per preservare l’equipaggio”, ha concluso Connell.
“I gruppi che protestano contro le ingiustizie sociali lo fanno per buone ragioni, non ci sono dubbi a riguardo. Oggi, ogni gruppo vorrebbe la sua giustizia per gli abusi storici. Ma bisogna considerare anche che un gruppo che ha la sua giustizia, farà sì che un altro subisca un disprezzo. Non c’è modo di assicurare che ognuno abbia il proprio riconoscimento e che ne venga fuori soddisfatto”, ha spiegato la professoressa Grace Russo Bullaro, Professor & Co-Director of Graduate Studies a Lehman College CUNY, a proposito delle proteste di chi vede in Colombo una figura controversa. “Penso che questo clima di ‘iper politicamente corretto’ ci stia avvicinando più alla frammentazione sociale”, ha aggiunto Bullaro. Per la professoressa la stessa definizione di società implica che ci siano dei “compromessi, perché ogni beneficio che si ottiene dovrà cedere una certa misura di controllo”.
“L’immagine di Colombo è stata adottata dalla diaspora italo-americana nel mondo occidentale come simbolo di italianità, ma non è necessariamente quello che dovrebbe rappresentare o rappresentare altrove”, ha chiarito l’accademica. In Italia, spiega lei, il navigatore genovese non rappresenta l’italianità: “Secondo il mio punto di vista, Colombo rappresenta l’età dell’esplorazione, un movimento umano, non semplicemente italiano, per vedere che cosa c’è dall’altra parte dell’orizzonte. Sfortunatamente, quel viaggio ha incluso anche arroganza, avidità e crudeltà, nel nome del servizio alla Patria e a Dio”. Sulla politica, Bullaro ha posizioni più nette: “Dispiace ammetterlo, ma penso che i politici agiscano principalmente per i loro interessi”. E paragonando il sindaco di New York Bill de Blasio a Ponzio Pilato, che si lava le mani riguardo a una decisione diretta e lasciando che una commissione offra la soluzione, sottolinea invece le origini italiane di Cuomo, che chiariscono bene la sua posizione.

“Gli italiani dall’altra parte dell’Oceano credo riconoscano il peso della discriminazione che i nostri hanno subito e non solo per le leggi che miravano, principalmente, a controllare l’emigrazione italiana (1919, 1921, 1924). Gli italiani, qui, hanno subito il più alto numero di linciaggi dopo gli afroamericani”, ha spiegato Mario Mignone, direttore del centro per gli Studi italiani, della Stony Brook University, che recentemente era intervenuto, con un articolo su Cristoforo Colombo su La Voce di New York. “Gli anglosassoni al potere dicevano che gli italiani non appartenevano a questo continente. Con Colombo gli italiani rispondevano che noi arrivammo qui prima di loro. Ecco perché l’esploratore genovese è più significativo di qualsiasi altro italiano. Oggi, purtroppo, non vogliamo tenere conto della storia nella sua totalità: la consideriamo come un’arancia, amiamo focalizzarci sullo spicchio marcio”. Mignone ha poi aggiunto che, per secoli, “Colombo e le sue esplorazioni erano considerate tra i momenti più signficativi della sua epoca”. Eventi unici nella storia umana. “Molti di noi sono cresciuti credendo nella convinzione che Colombo fosse un uomo del Rinascimento per eccellenza, un uomo che ha affermato i valori dell’indipendenza umana e della dignità, insieme alla volontà di essere l’unico, autentico fautore del proprio destino” ha spiegato Mignone nel suo precedente intervento.
Anche Joseph Sciorra, direttore del programma accademico al John D. Calandra Italian American Institute al Queens College, è intervenuto in questo dibattito sulla figura di Colombo: “Perché gli italo-americani si sentano ancora molto legati a questa figura nel 2017? Per la sua storia qui”. L’accademico, delineando i tratti di questa tradizione sempre in bilico tra due mondi, spiega: “Anche se l’immagine di questo personaggio è stata creata più qui che in Italia, perché tanti emigranti italiani lo conobbero una volta arrivati negli Stati Uniti e non avevano dunque necessariamente dei sentimenti forti verso di lui, divenne un’icona qui, cento anni prima che arrivassero in America. I prominenti videro in Colombo una buona occasione di riscatto. Fu un’opportunità e la colsero”. E alla domanda se a essere più vicini alla figura dell’esploratore genovese siano i più anziani, rispetto ai giovani magari di nuova generazione, il docente non ha voluto dare una risposta netta: “Se è una questione generazionale? È una bella domanda, ma non so rispondere e non lo so. E non ho modo di saperlo, in realtà. La domanda è ottima. Potrei immaginarlo, ma, mi creda, non lo so”.