Contrariamente alla maggior parte delle isole minori del Mediterraneo, popolate da marinai o pescatori che vivono del mare che li circonda, gli abitanti di Pantelleria sono contadini che hanno sempre vissuto dei prodotti della loro terra.
Questa caratteristica ha radici storiche e morfologiche.
Le prime sono legate alle ripetute invasioni e saccheggi da avventurieri battenti bandiere diverse a caccia di Ossidiana, mentre le seconde derivano dal fatto che l’accesso al mare fosse impossibile per ben due terzi delle sue coste.
Il risultato è che i panteschi hanno per secoli guardato al mare come a una fonte di pericolo, preferendo costruire i loro villaggi in cima alle colline e vivere dei frutti delle loro campagne.
Ma se nel 1960, gli agricoltori di Pantelleria producevano più di 300,000 quintali di uva zibibbo, e oltre 20,000 quintali di capperi, già nel primo numero de “Il Panteco” nell’agosto 1974, si lamentava il calo del raccolto dell’uva a 270,000 quintali, e quella dei capperi a meno di 15,000. Da allora, la produzione agricola dell’isola e’ drasticamente diminuita e, oggi l’isola produce meno di 30.000 quintali di uva e circa 1.000 quintali di capperi.

“E’ una vergogna che questo territorio, così ricco di prodotti agricoli di qualità, non sia stato capace di valorizzarli adeguatamente” – si lamenta Giovanni (vedovo inconsolabile di Francesca), uno dei coltivatori locali che ancora vende direttamente i suoi prodotti da un garage di Rekhale.
“Pantelleria profuma di aromi e produce prodotti di qualità superiore alla concorrenza, tra cui l’uva zibibbo, un’uva dolce che non ha uguali nel mondo”.
“Non ha uguali nel mondo? – gli chiedo con un ombra di incredulità – e, perché?”
“Perché questa qualità deriva dalla natura vulcanica del sottosuolo, e contribuisce non solo a intensificare i sapori, ma anche arricchire la nostra frutta e le verdure di minerali preziosi”.
“La ragione – aggiunge – è che la crosta vulcanica del sottosuolo di Pantelleria trattiene umidità, per cui sotto due o tre metri di terra c’è una fascia d’acqua che consente la crescita di uva, capperi, patate, zucchine, pomodori, melanzane, zucche, meloni, eccetera, senza quasi bisogno di innaffiamenti”.

“Ma quale è, dunque, la causa del calo di produzione?” – domando.
“Una delle cause principali è la Mafia palermitana” – mi confida Battista, un altro produttore diretto.
“Fino alla metà degli anni ‘70, oltre un terzo della produzione di uva dell’isola veniva venduta al mercato generale di Palermo, controllato dalla Mafia; poi, da un giorno all’altro, lo zibibbo scomparve, sostituito dall’Uva Italia”, un prodotto della zona di Agrigento, a sua volta controllato dalla mafia. Questo cambiamento infierì un colpo mortale alla distribuzione del nostro zibibbo”.

Pasquale, un giovane contadino che ha scelto di lavorare le campagne dell’isola, attribuisce la colpa del crollo di produzione ai “malfattori, imbroglioni e incompetenti gestori della ex-Cantina sociale”.
“Dopo aver accudito direttamente per secoli alla distribuzione dei loro prodotti agricoli” – mi spiega Pasquale – “gli agricoltori di Pantelleria decisero di consorziarsi, creando due cooperative, la prima per vendere l’uva, e la seconda per vendere i capperi. Mentre la cooperativa dei capperi ha funzionato abbastanza bene nel corso degli anni, quella dell’uva fu un vero albatros!”.
“E perché?”- gli chiedo,
“Per incompetenza e per malafede”- risponde Pasquale.
“Mentre i miei nonni consegnavano ogni anno tutto il raccolto di uva alla cooperativa, i politicanti disonesti che la dirigevano presero l’abitudine di non distribuire tutti i proventi delle vendite ai contadini, adducendo perdite amministrative”.
“Il colmo di questa storia è che la cantina sociale, malgrado avesse ricevuto anche sussidi e contributi governativi per oltre 15 miliardi di lire, finì per fallire con più di nove miliardi di debiti”.
“Questa bancarotta penalizzò finanziariamente gli agricoltori dell’isola e molti di loro, sfiduciati, abbandonarono le campagne”.
E’ una storia comune a molte altre iniziative del genere in Italia, e Giovanni mi conferma che, al momento del fallimento, la cantina gli era debitrice di oltre cento milioni di lire.
Salvatore Gabriele, Direttore di Pantelleria Internet, mi precisa che solo un terzo della produzione degli anni 60 era uva zibibbo, un terzo uva passa e il rimanente passito.
“La verità è più complessa”- mi dice Salvatore, -“E per quanto sia vero che il boicottaggio degli elementi mafiosi del Mercato Generale di Palermo causò un calo della domanda del nostro zibibbo, altri fattori contribuirono al crollo di produzione dell’uva passa e del moscato passito”.
“Per esempio, all’inizio degli anni ‘80, la nostra uva passa era acquistata quasi esclusivamente dai produttori di Panettoni. Ma l’uva secca di Pantelleria, per quanto dolcissima, aveva i semi, mentre altre produzioni provenienti dalla Turchia e dal Medio Oriente erano senza semi; e questa è la ragione per cui i produttori di panettoni decisero di cambiare fornitori, causando una notevole diminuzione della domanda della nostra uva passa”.
“E, per quanto riguarda il passito di Pantelleria, una volta eravamo tra i pochissimi a produrlo. Ma, con il passar degli anni e il contributo degli enologi, la qualità dei vini moscati e passiti migliorò dovunque in Italia, creando valide alternative al nostro ‘nettare’ da dessert”.

Ninuzzo, uno dei produttori vinicoli locali, aggiunge che “una delle cause principali della crisi dell’agricoltura a Pantelleria è dovuta all’ingerenza di alcune grandi compagnie vinicole siciliane e continentali nei meccanismi di marketing e distribuzione dei nostri prodotti”.
“Queste grandi società vinicole mischiano le nostre uve con altre provenienti dalla Sicilia o dal continente, e questo processo diminuisce l’unicita’ e la qualità dei nostri vini, abbassando i prezzi all’origine per massimizzare i profitti dei distributori”.
Faccio presente che la colpa è anche dei giovani panteschi che hanno abbandonato il lavoro dei padre, con conseguente riduzione della mano d’opera locale. “Non sarebbe forse il caso” – domando – “di puntare sugli immigrati per sopperire alla carenza di mano d’opera agricola?”
Il mio accenno agli immigrati gela improvvisamente il dibattito. L’isola ha appena eletto una nuova Giunta Comunale che rappresenta il movimento politico schierato contro le “frontiere aperte”.
Cerco di riportare il discorso su come riavviare la produzione:
“Dal momento che la qualità dell’uva, dei capperi, e di tutti gli altri prodotti agricoli di Pantelleria è fuori discussione, perché i Panteschi non creano un marchio di qualità dell’isola con conseguenti maggiori incentivi economici per gli agricoltori, imbottigliando in-situ i loro vini e passiti, e cercando di controllarne direttamente la distribuzione come avveniva cinquant’anni fà?”

“Questo processo sta avvenendo”- mi risponde Salvatore Gabriele -“negli ultimi anni c’è stata una riscoperta di tutti i prodotti gastronomici dell’isola, non solo dell’uva e dei capperi, per cui si spera che questo sia l’inizio di una inversione di tendenza”.
“Oggi”- conclude Salvatore -“un discreto numero di piccoli produttori locali ha anche cominciato a vendere direttamente al pubblico via Internet, creando nuove nicchie di mercato”.
Uno di questi piccoli imprenditori è Gigino Dello Iacono, un napoletano trapiantato sull’isola da più di 35 anni. All’inizio, Gigino faceva pesca subacquea ma, ben presto, il suo DNA contadino lo spinse ad occuparsi di agricoltura. Comprò un ettaro di terreni sotto il monte Gibele e cominciò a piantare uve diverse dallo zibibbo.

“La qualità della terra di Pantelleria è tale da assicurare prodotti agricoli superiori”- mi conferma Gigino,-“per cui mi sembrava logico tentare di diversificare la produzione. Mi sono quindi chiesto perché limitarsi allo zibibbo e non sperimentare con uve nere, e ho cominciato a piantare uve Syrah, Grenage e Nerello Mascalese”.
Oggi Gigino produce, secondo me, i migliori rossi dell’isola, vini interamente biologici e al 100% panteschi, che distribuisce direttamente.
L‘esempio più clamoroso di questo nuovo corso sembra essere quello del “Sangue Nero”, il Passito prodotto dall’attrice francese Carole Bouquet.

Carole Bouquet e Gérard Depardieu arrivarono insieme sull’isola negli anni ’90 e se ne ‘inebriarono’, col risultato di acquistare più di 10 ettari di vigneti abbandonati nella Valle del Monastero da destinare a produzione vinicola.
Gérard era un grande bevitore, e la sue frequenti visite alle campagne e cantine dell’isola entusiasmavano i locali.
Racconta Salvatore Gabriele che, una sera, Gérard bevve più del necessario e Carole tentò ripetutamente di limitarne gli effetti. A un certo punto Gérard, esasperato, le mollò un cazzotto in un occhio, e questo causò la fine del loro amore e del comune business vinicolo.

Carole si tagliò i capelli a zero, un atto di ostilità e di rifiuto per Gérard che li aveva accarezzati con tanto amore per anni, rifiutò le sue scuse, e pubblicizzò senza alcuna timidezza per molte settimane il suo occhio nero.

La coppia si separò, Gérard abbandonò Pantelleria e Carole sviluppò da sola il suo “Sangue d’oro” che viene oggi apprezzato nei migliori ristoranti di Parigi.
Carole Bouquet venne poi nominata dal Sindaco “Ambasciatrice dei Vini di Pantelleria nel Mondo”, un incarico diplomatico per cui non si sarebbe potuto trovare miglior messaggero.
(Segue)