Negli ultimi giorni la Grecia è tornata tragicamente sotto i riflettori internazionali. Al centro l’esodo dei migranti, il cui flusso ininterrotto, divenuto ormai un’emergenza nazionale, ha spinto la Commissione Europea a stanziare 12,7 mln di euro per la costruzione di strutture di accoglienza. Sul fronte economico le cose non vanno meglio, e il paese è sprofondato di nuovo in recessione: negli ultimi due trimestri il Pil è diminuito del 2%, mentre la protesta dei contadini ellenici contro l’aumento spropositato delle accise continua a paralizzare le autostrade del nord e del centro della penisola. L’incontro di poche ore fa tra il presidente del consiglio europeo Tusk e il primo ministro Tsipras è solo l’ultimo dei tentativi di conciliare la spietata rigidità delle politiche europee con le esigenze di un paese ormai allo stremo. Non bastasse, pochi giorni fa Paul Thomsen (capo economista dell’FMI) ha rievocato l’incubo della Grexit se non verrà messo sul tavolo un piano realistico per sostenere il debito.
Insomma, da questa estate a oggi la cronaca ci parla di governi fragili e incapaci di gestire le emergenze, disastrose misure di austerità, speculazioni finanziarie e commissioni internazionali costituite ad hoc per controllare i conti pubblici. Eppure la narrazione della crisi greca non è purtroppo una novità per la Storia, ma lo scenario odierno è incredibilmente simile a quello vissuto da Atene nell’Ottocento, quando non esisteva nemmeno l’idea dell’Unione europea, né tantomeno il famigerato euro.
A svelare le travagliate vicende delle finanze elleniche nel XIX secolo è stato il libro di Giampaolo Conte e Alessandro Albanese Ginammi L’Odissea del debito. Le crisi finanziarie in Grecia dal 1821 a oggi (in edibus editore). Dopo accurate ricerche tra gli archivi di Roma e Atene, i due studiosi hanno rispolverato un passato quasi sconosciuto al pubblico, ma indispensabile per comprendere a fondo le radici dell’attuale “questione greca”. Lo scenario descritto nel volume è quello dell’Europa delle grandi potenze ottocentesche. I protagonisti, più o meno, gli stessi di oggi.
Ecco come andò.
Indebitati dalla nascita
Le peripezie del debito ellenico iniziarono già tra il 1821 e il 1832, all’indomani della guerra con cui la Grecia riuscì finalmente ad affrancarsi dal giogo ottomano dopo secoli di oppressione. La lotta per l’indipendenza greca aveva entusiasmato gli intellettuali di tutta Europa e la neonata nazione era guardata con simpatia dalle potenze del vecchio continente. Dietro le ragioni ideali, però, si celavano importanti interessi geopolitici. Russia, Gran Bretagna e Francia divennero i principali sponsor di Atene, data la sua fondamentale posizione strategica nel Mediterraneo. Fu Londra, in particolare, a concedere ingenti prestiti per permettere la costruzione delle strutture burocratiche e amministrative necessarie al nuovo e fragile stato: «la Gran Bretagna permise così alla Grecia di trovare i capitali necessari sul mercato al fine di realizzare il suo progetto nazionale. La necessità fu più forte della stabilità di bilancio e il benessere delle finanze fu sacrificato sull’altare del nazionalismo e dell’espansione territoriale verso le aree limitrofe dove erano stanziate importanti comunità greche» spiegano i due autori nel saggio. Divenuta una nazione libera, infatti, la Grecia mirò fin da subito alla costruzione di una egemonia regionale investendo cifre altissime in spese militari, e i movimenti nazionalisti furono sempre forti nel paese.
Appena nato lo stato ellenico era già pesantemente indebitato e dovette fronteggiare una serie di crisi a catena. Nonostante gli sforzi di evitare il default, nel 1826 fu dichiarato per la prima volta il fallimento, mentre nel 1843 scoppiò una seconda crisi finanziaria.
Conti in sospeso
Le avvisaglie di un crescente risentimento di Londra e Parigi di fronte all’insolvenza dei governi ellenici si ebbero invece durante la guerra di Crimea, conflitto esploso nel 1853 tra la Russia e ciò che rimaneva dell’impero ottomano, appoggiato da Francia, Inghilterra e Regno di Sardegna. Data la storica inimicizia con gli ex dominatori turchi la Grecia decise di supportare la Russia, pur non entrando direttamente nel conflitto: «questa scelta costò cara ad Atene, che in questo modo offrì alla Francia e alla Gran Bretagna il casus belli per regolare le questioni finanziare in sospeso. Le due potenze occuparono così il porto del Pireo […] e se Atene non avesse acconsentito all’istituzione di una commissione finanziaria di controllo sulle proprie disastrate finanze, gli occupanti non avrebbero sgomberato il porto, con grave danno per il commercio e il prestigio ellenico» continuano gli studiosi nel libro.
Solo l’intervento russo, concluse le ostilità, scongiurò il commissariamento, relegando al ruolo di semplici osservatori i rappresentanti della commissione di controllo. A nulla valsero però le raccomandazioni degli esperti: il paese non fu in grado di ripagare tutti i debiti contratti e fallì ancora nel 1860. Solo nel 1878 si arrivò a un accordo che sembrava definitivo con i creditori internazionali, a tutto vantaggio della Grecia (grazie al benevolo intervento di Londra).
Governi inefficienti
Una pesante responsabilità nei numerosi collassi finanziari fu da attribuire alla classe politica ellenica. Allora, come oggi, i governi che si susseguirono alla guida del paese furono deboli, inefficienti e incapaci di utilizzare la spesa pubblica e i prestiti internazionali per modernizzare il paese. Al contrario, questi finirono per foraggiare clientele o per coprire le sempre ingenti spese militari: «una pubblica amministrazione ipertrofica era una caratteristica della Grecia ottocentesca. Infatti, la media borghesia degli impiegati pubblici, dotata di influenza politica, rendeva certo il fatto che le spese statali sarebbero difficilmente diminuite», precisano Conte e Albanese Ginammi. Tuttavia, almeno in parte, gli errori della classe dirigente furono dovuti alla volontà di mettere il loro piccolo paese al passo con gli altri stati europei. È questo un fattore che ritroviamo durante tutto il corso della storia della Grecia moderna. In fondo, anche dietro l’ingresso nell’euro, unione monetaria di per sé anomala, ci fu la volontà della classe dirigente di non rimanere esclusa dalle scelte delle grandi nazioni europee.
Il grande fallimento del 1893
L’odissea del debito non era ancora terminata. Nonostante l’accordo del 1878 avesse temporaneamente stabilizzato i bilanci ellenici, i 13 anni successivi videro il ripetersi degli stessi errori già commessi in precedenza: i prestiti esteri divennero sempre più consistenti, il debito salì e nel 1893 nemmeno un consistente aiuto concesso dalla banca londinese Hambro & Sons riuscì a evitare la totale bancarotta. Le ragioni del nuovo terremoto finanziario, a dir la verità, furono questa volta dovute anche a una inaspettata crisi dell’economia reale: «dopo la ridistribuzione delle terre ad opera della riforma agraria del 1871, l’agricoltura greca cominciò a specializzarsi nella coltivazione di pochi prodotti destinati alle esportazioni; uno di questi era l’uva sultanina, che rappresentava la metà del valore dell’export ellenico. La crescita delle esportazioni, tuttavia, era da imputarsi al calo della produzione di uva nella Francia meridionale, dovuta alla diffusione di un parassita (la fillossera)» spiegano gli autori. In breve, quando i francesi ripresero a pieno ritmo la produzione, l’economia greca ricevette una durissima batosta.
Vittime e carnefici
Iniziò allora un lungo periodo di trattative, fatto di promesse, minacce e tira e molla infiniti tra i governi greci e le potenze europee, alle quali si era aggiunta da poco una nazione la cui severità risultò subito evidente: la Germania.
Quest’ultima aveva raggiunto da poco l’unificazione nazionale, ma i tedeschi influenzavano già da tempo politica ellenica, dato che il primo (e non amatissimo) re di Grecia era il bavarese Ottone di Wittelsbach.
Così, approfittando della sconfitta militare subìta dalla Grecia contro la Turchia (che aggiunse ai debiti di pace ulteriori debiti di guerra), nel 1898 si arrivò al definitivo commissariamento, con l’invio di una vera Troika ante litteram: «dopo decenni di minacciato intervento, la Grecia subiva l’umiliazione del controllo internazionale sulle proprie finanze, rinunciando a buona parte della propria sovranità a vantaggio delle potenze decise a ottenere, anche forzatamente, la restituzione dei propri crediti» continuano gli autori.
Se era indubbia la responsabilità di Atene, non mancarono le speculazioni selvagge: «buona parte dei prestiti contratti servì per foraggiare la spesa improduttiva dello stato, con il connubio tra i grandi istituti bancari che permisero di alimentare la spesa pubblica in deficit» precisa il saggio. Insomma, le grandi banche guadagnarono ingenti somme contribuendo alla rovina del paese, mentre i soliti noti, ovvero i piccoli risparmiatori, furono le prime vittime dei giochetti dei potenti.
Si decise così che la commissione internazionale fosse composta dai rappresentanti di Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Austria – Ungheria e Russia. I più duri furono, al solito, i tedeschi, mentre la nazione che ebbe tra tutte un atteggiamento passivo fu l’Italia (anche perché non esposta economicamente quanto le altre).
Berlino però faceva il doppio gioco. Se da un lato si dimostrava inflessibile umiliando la Grecia e compromettendo qualsiasi serio dialogo con i partner europei, dall’altro lucrava sulle commesse di armi al governo greco, spingendolo a indebitarsi ancora di più. I tedeschi però non terrorizzavano solo i greci: «considerato il rigore delle richieste tedesche vi era la concreta paura che si potesse rompere il fronte compatto del “concerto europeo” e nessuna potenza era intenzionata a mettere in discussione tale ordine per salvare la Grecia» rivela il saggio.
Vecchi e nuovi problemi
L’Ottocento si chiudeva quindi in modo drammatico per la giovanissima nazione ellenica, mentre in Europa grandi e funesti eventi si intravedevano all’orizzonte. Oggi, dopo più di un secolo, l’unione monetaria ha complicato i rapporti tra i paesi europei, fomentando l’ingordigia degli stati più forti e indebolendo la politica, costretta a soccombere di fronte agli interessi della finanza e di organismi non democratici come la BCE. Ciò nonostante, le similitudini sono numerose, e inquietanti: le ambizioni, spesso esagerate, di un piccolo e orgoglioso stato (strategicamente importantissimo per la sua posizione geografica) che aspira legittimamente a imitare i suoi vicini continentali; le speculazioni bancarie che lucrano sulle inefficienze di Atene alle spalle dei risparmiatori e infine l’arrogante testardaggine teutonica, triste costante della nostra storia recente. L’attuale crisi greca ha radici lontane nel tempo e i drammi del passato dovrebbero essere il primo passo per evitare di imboccare nel presente strade senza uscita.