Percorrendo la strada che separa Palermo dall’aeroporto Falcone-Borsellino la prima cosa che si nota è il mare. Una linea blu, se la giornata lo consente, dove si intravedono vele bianche e voli di uccelli. Ma quando lo sguardo abbandona il mare e scruta la terra, una fitta di rammarico e indignazione ci travolge. La cortina di brutte abitazioni edificate senza piani regolatori e l’immancabile e putrescente presenza di cumuli di rifiuti che accompagnano il viaggiatore per kilometri è un’escrescenza orrida, manifestazione oscena di come il malgoverno possa ridurre una terra altrimenti bellissima.
Riempiti di personale in esubero gli Ato rifiuti (sigla che sta per Ambiti territoriali ottimali, in pratica, società per azioni costituite tra Comuni), pagati profumatamente gli amministratori di tali Ato, si è sempre tralasciato, tranne rarissime eccezioni, di provvedere al fine per cui sono nati: smaltire i rifiuti e, ove possibile, trasformarli in risorsa. Gran parte delle innovazioni legislative, in Sicilia, si trasformano, diventando la negazione del fine per il quale sono stata pensate. Un miracolo al rovescio. Concepite per semplificare, complicano; scritte per razionalizzare, ingarbugliano; applicate per migliorare un servizio, lo rendono pessimo.
Soprattutto nella Sicilia occidentale, con una sovrapposizione inquietante con il radicamento mafioso, si è prodotta una commistione tra appetiti di certa burocrazia, vero perno della classe dorata, la politica dissipatrice, l’imprenditoria protetta e nutrita con “latte” pubblico e la criminalità, a volte in affanno a tenere il passo con gli altri soggetti del malaffare.
Si parla di rifiuti ed ecco che, invece di potenziare la raccolta differenziata (in Germania si avvicinano all’80%), si progettano giganteschi inceneritori e si lasciano crescere le oramai desuete, inquinanti discariche. Si parla di difficoltà nell’approvvigionamento idrico e invece di sanare le reti di distruzione (come poi un commissario straordinario ha fatto) si progettano 100 dissalatori, nuove torri della vergogna. Si parla di scambi euromediterranei e subito nasce una società pubblica con cospicue dotazioni per gli amministratori e nessuna idea di cosa occuparsi. Il cimitero delle società pubbliche inutili è affollato. Sono lapidi dello sperpero, di un’etica pubblica smarrita al cui posto è cresciuta a dismisura l’occupazione senza quasi nessuna differenza per i colori degli occupanti (con lodevoli e rare eccezioni). E come nei cimiteri dell’orrore, sotto le lapidi si celano zombie. Società chiuse e senza personale che pagano ancora laute parcelle ad amministratori, liquidatori, curatori. Una perdita senza fine di risorse finanziarie che non conduce al collasso solo per l’effetto domino che avrebbe sull’economia nazionale.
Di molti Paesi africani si racconta che potrebbero essere ricchissimi per le immense risorse naturali di cui sono dotati e solo una classe dominante rapace, litigiosa e perpetuatrice delle enormi differenze sociali ne impedisce il rigoglio, la rinascita. Ecco: cambiate il termine risorse naturali con risorse culturali e paesaggistiche e le somiglianze con la Sicilia saranno impressionanti.