Nonostante i colloqui dei giorni scorsi, gestiti dall’inviato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, la situazione in Libia non sembra migliorare. Nell'annunciare gli incontri (che si svolgono in un Paese neutrale, il Marocco) i responsabili della Missione di supporto dell'Onu per la Libia hanno riferito che oggetto degli incontri sarebbero stati, tra l’altro, il "ritiro scaglionato di tutti i gruppi armati" dalle città e "accomodamenti preliminari sulla sicurezza".
Un invito che pare non essere stato accolto. In Libia e nei Paesi confinanti, sicurezza e disarmo continuano ad essere mere chimere. Truppe tunisine, nei giorni scorsi, hanno sequestrato “un'ampia quantità di fucili d'assalto, granate a razzo ed esplosivi nella città meridionale di Ben Guerdan", come ha riferito il portavoce del ministero dell'Interno tunisino, Mohamed Ali Aroui. Armi che, secondo i responsabili tunisini, sarebbero state spostate proprio in vista dei colloqui.
Intanto, l’Isis ha intensificato gli attacchi nelle zone in cui si trovano i pozzi petroliferi. E lo ha fatto, come di consueto, in modo cruento: nei giorni scorsi, i terroristi dell’Isis si sono impadroniti di un altro campo petrolifero libico, quello di El Ghani, nella zona a sud di Sirte. Qui sono stati rapiti nove dipendenti stranieri (tra cui un austriaco e un ceco) e sono state uccise undici guardie. Otto di loro sono state decapitate in pieno stile jihadista.
Dopo questi eventi i colloqui sono stati interrotti (ufficialmente solo per consentire alle squadre negoziali di consultarsi con Tobruk e Tripoli). La situazione in Libia si fa sempre più incandescente anche per un altro motivo. Da anni il governo italiano denuncia l’aumento del flusso di immigrati clandestini che, approfittando della vicinanza delle coste siciliane, scappa dall’Africa per cercare di entrare in Europa attraverso la Sicilia e l’Italia.
Una situazione che, fino ad ora, ha provocato migliaia e migliaia di morti (come denunciato anche da Amnesty International) e per la quale non è stato possibile trovare una soluzione diplomatica. Né durante la dittatura di Gheddafi, ma neanche dopo. Anzi, negli ultimi anni il flusso di migranti (che, è bene ricordarlo, solo in una minima percentuale sono rifugiati politici, per la stragrande maggioranza sono destinati ad essere classificati come “immigrati clandestini”) è sensibilmente aumentato.
Una situazione che, con l’acuirsi degli scontri di questi giorni, potrebbe degenerare fino a diventare insostenibile. Ciò anche a causa del nuovo “strumento” comunitario Frontex, da molti ritenuto assolutamente insufficiente. A lanciare l’allarme è stato proprio il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri: "Nel 2015 dobbiamo essere preparati ad affrontare una situazione più difficile dello scorso anno. A seconda delle fonti – ha aggiunto – ci viene segnalato che ci sono tra i 500 mila ed un milione di migranti pronti a partire dalla Libia".
Un problema estremamente difficile da gestire sia in mare che sulla terraferma: se in mare i mezzi a disposizione per arginare il flusso dei migranti o per intervenire in caso di naufragio delle carrette del mare sono insufficienti, la situazione non è migliore sulla terraferma, dove i centri di accoglienza sono pieni all’inverosimile e ormai prossimi al collasso. L’impossibilità di gestire opportunamente il gran numero di immigrati clandestini potrebbe far aumentare anche il rischio di attentati nel Belpaese a causa delle infiltrazioni terroristiche: "Non ho niente per dire se fossero terroristi. C'è preoccupazione tra gli Stati. Perché se questo non accade ora potrebbe accadere in futuro", ha detto Fabrice Leggeri.
Intanto, in Libia sono riprese anche le azioni di distruzione del ricchissimo patrimonio storico-archeologico per mano dei terroristi dell’Isis (nonostante alcune incertezze sulla fondatezza delle fonti dopo la diffusione di un video sulla rete). Sono moltissimi i siti della Libia ad essere presenti nell’elenco dell’Unesco e dichiarati ‘Patrimonio dell’Umanità’. E molti di questi sono esposti a seri rischi. Recentemente, il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, ha detto che “il patrimonio della Libia rappresenta l'espressione di una memoria condivisa del Paese, e il suo rispetto rappresenta una pietra miliare per la lunga riconciliazione nazionale”. Ad correre i maggiori rischi sarebbero l'antica città di Gadames, i siti rupestri di Tadrat Acacus e quelli archeologici di Cirene, Leptis Magna e Sabratha.
Un appello che è stato condiviso anche dalla responsabile Unesco per la Libia, Chiara Dezzi Bardeschi, che dal Cairo ha detto: “Non possiamo più entrare in Libia e la preoccupazione è che si disintegri quella rete di controllo di molti siti che faticosamente abbiamo contribuito a costruire, come Agenzia delle Nazioni Unite ma, soprattutto, con il programma finanziato dal governo libico e italiano”.
Appelli che, però, fino ad ora sono stati come cenere al vento sia per le principali organizzazioni internazionali, sia per i gruppi che mirano ad assumere il potere in Libia.