“L’ulivo si è adattato al territorio, quando fa le olive, l’erba diventa gialla, secca, poi quando si raccolgono i frutti e la pianta riposa l’erba ricomincia a crescere a dimostrazione che la pianta ha un equilibrio perfetto, naturale senza antagonismi”.
Così inizia il suo racconto Nicola Clemenza, imprenditore agricolo che alcuni fa a Partanna, paese di Rita Adria e limitrofo a Castelvetrano, ‘patria’ di Matteo Messina Denaro, decise mettere insieme gli agricoltori per realizzare delle ‘economie di scala’ per migliorare il reddito dei coltivatori di queste contrade trapanesi.
“Io iniziai a puntare il dito sul fatto che la mafia gestiva i prezzi, che le parole cooperativa, consorzio, comunione erano parole da tenere lontano – racconta sempre Clemenza -. Decisi di mettere insieme 170 agricoltori coinvolgendoli in un gruppo di acquisto per risparmiare sui prezzi delle materie prime. Riuscimmo a ottenere economie del 30%. Subito dopo costituimmo il consorzio Tutela Valli Belicine. Tre consonanti, TVB, che oltre a indicare il nostro luogo d’azione sono le iniziali della sigla Ti Voglio Bene. Forse c’era già questa magica intenzione. Il giorno della inaugurazione del consorzio bruciarono la mia macchina e parte della mia casa”.
“Immediatamente capii cosa era successo – prosegue – ma nessuno attorno ebbe il coraggio di dire come stavano le cose.
Fui chiamato dal capo della squadra mobile di Trapani, che era allora il dottore Linares, grande cacciatore di latitanti, e mi disse la mano è mafiosa, è quella di Matteo Messina Denaro. Amici e parenti mi sconsigliavano di andare avanti. Dopo ci furono gli arresti dell’operazione Golem e la decisione, in assoluta solitudine, di costituirmi parte civile. Questo per la mafia fu un grave affronto. La gente iniziò a isolarmi. Il Comune di Partanna non si dichiarò parte civile, anzi con una delibera dell’assessorato alla famiglia decise di deliberare un contributo alla moglie di chi mi aveva fatto l’attentato”.
“Non potevo andare al Tribunale da solo – racconta sempre Clemenza – . La gente qui attorno non era solidale per diffidenza, paura. Arrivarono molte solidarietà da tutta Italia e soprattutto da Libero Futuro, così in Tribunale mi presentai con loro. A chi mi diceva: ritirati, pensa alla famiglia, hai una bimba piccola, io risposi che la mia unica paura era rivedere mia figlia a venti anni con l’idea di avere un padre che avesse mollato. E questa ancora oggi è la motivazione maggiore. Da allora decisi che il mio tempo doveva essere impiegato in modo diverso. Iniziai ad affrancare altri imprenditori e circa un anno fa abbiamo fondato l’associazione ‘Libero Futuro Castelvetrano’ con i primi otto imprenditori. Abbiamo iniziato un percorso assistendo, insieme a Libero Futuro Palermo, circa 200 imprenditori. Vi sono quasi trecento mafiosi alla sbarra grazie alla collaborazione dei nostri associati. Oggi quando ci presentiamo agli inquirenti la battuta è: questi ci portano più clienti di quanto ne prendiamo noi”.
“Dell’associazione – dice Clemenza – fanno parte imprenditori, non ci sono forze dell’ordine o politici. Perché dietro quella politica, spesso marcia, si nasconde la mafia dei colletti bianchi, degli appalti, quella che lottiamo quotidianamente. Un nostro associato ha subìto un incendio della sua impresa, quasi a voler dissuadere gli altri ad avvicinarsi a noi. E allora abbiamo lanciato l’idea della denuncia preventiva che è efficace e forte. Ognuno dei mafiosi deve sapere che, se si avvicineranno, saranno denunciati. Perché questa zona non si affrancherà se si rimarrà in silenzio. E se la battaglia antimafia resterà solo fatta da una dieci o più mafiosi che tentano di imporsi con la violenza e e la paura e dieci-quindici imprenditori che resistono, con attorno migliaia di indifferenti, perderemo. Il percorso di liberazione è fatto di azione. Se qualcuno si nasconde dietro un dito dicendo: io non ho fatto niente, noi rispondiamo: sei colpevole perché non hai fatto niente”.
“Collaboriamo con il Tribunale di Trapani nella gestione dei beni confiscati alla mafia dicendo: non è possibile che beni confiscati per milioni di euro siano abbandonati. In questo momento abbiamo cento operai che raccolgono olive e lavorano su beni confiscati e stiamo producendo un olio che abbiamo chiamato Extra etico. L’anno scorso l’etichetta è stata dedicata a Giuseppe Montalto, una vittima di mafia. Ma quello che conta e che riportiamo alla dignità quei terreni per non abbandonarli. Spesso dal periodo del sequestro alla confisca arrivano terreni distrutti. Noi evitiamo che vi arrivino degradati e salvaguardiamo la dignità dei lavoratori di questi terreni. Realizziamo produzioni garantite in tutta la filiera produttiva. Abbiamo incontrato i responsabili nazionali delle Coop e di Eatitaly chiedendo loro di non fare chiacchiere e, se convinti della bontà del nostro prodotto, del suo valore aggiunto, di comprarlo. Perché dell’antimafia di facciata, dell’antimafia delle chiacchiere, non sappiamo cosa farcene. Il sindaco con la fascia tricolore alle manifestazione antimafia è routine, è come dire alla mafia: sai, lo dobbiamo fare. La mafia ha bisogno delle parrocchie compiacenti, delle scuole compiacenti e anche di chi fa antimafia. Un perfetto equilibrio sul territorio. Come dire: non c’è spazio libero da occupare e tutto si tiene”.
“Abbiamo invece bisogno di verità – dice sempre Clemenza – cercando di portare sugli scaffali del consumo un prodotto, in questo caso un olio, che ha una vitamina in più. La vitamina L che sta come Legalità e libertà. Così se le economie in questo territorio passano dalle lobby dei grandi commercianti, dalle tangenti per favorire l’acquisto, puntando su consumo e sulla produzione libera e consapevole, beh, qualcosa potrà cambiare. Se gli agricoltori iniziano ad affrancarsi si faranno venire la voglia di combattere e potranno dire: non è vero che la mafia dava lavoro, la mafia rubava il futuro.
La lotta alla mafia può dare veri segni. Da noi l’agricoltura biologica è quasi naturale. Una volta liberata dal ricatto può dare grandi soddisfazioni agli agricoltori e a tutta la società. Ma ancora temo sempre l’indifferenza e l’isolamento. A un mafioso so come rispondere, a un codardo non saprei cosa dire”.
Sotto la video intervista nella Valle del Belice con Nicola Clemenza realizzata da Wolfgang Achtner nel 2010