La Russia se lo ricorderà a lungo, questo 24 febbraio 2022. Nella storia rimarrà la decisione di Putin di iniziare le operazioni militari in Ucraina, ma anche gli amanti dello sport, e in particolare del tennis, avranno qualcosa da imprimere nella memoria.
Dopo due anni di dominio incontrastato, Novak Djokovic, perdendo a Dubai contro il qualificato Jiri Vesely (numero 123 del mondo) per 6-4 7-6, scende dal trono del ranking ATP. Al suo posto, a 21 anni dall’ultima volta quando quel posto fu di Marat Safin, ci sarà un russo: Daniil Medvedev.
Ventisei anni compiuti da qualche giorno, un titolo Slam all’attivo e tre sfumati per poco (due persi in finale contro Nadal) agli Us Open 2019 e agli Australian Open 2021 e 2022.
È il più forte della sua generazione, nonostante sia scoppiato dopo Alexander Zverev, che agli esordi sembrava essere un predestinato e Dominic Thiem, ormai schiacciato dagli infortuni. Ha vinto 13 titoli ATP su ventitré finali disputate e l’unico Slam che per ora ha in bacheca, US Open 2021, l’ha ottenuto battendo all’ultimo atto proprio Novak Djokovic, impedendogli di completare l’agognato Grande Slam.

Da lunedì 28 febbraio, quando le classifiche verranno aggiornate, guarderà tutti dall’alto: sarà il primo tennista a infrangere il dominio di Federer, Nadal, Djoković e Murray, che a turno avevano occupato ininterrottamente la prima posizione dal 2004.
Era solo questione di tempo prima che anche lui facesse il suo ingresso trionfale nel club d’élite di chi il circuito lo ha guidato. Ci arriva con merito e anche grazie all’assenza di Djokovic dal primo Slam dell’anno, quello in Australia, saltato per non essersi vaccinato dopo una lunga controversia con il governo di Canberra.
E dire che, quando ha fatto le sue prime apparizioni nei tornei che contano, nessuno sembrava scommettere su di lui. Aveva già buoni colpi, ma un pessimo carattere che troppo spesso lo portava alla sconfitta. Nel 2017 scelse Gilles Cervara come allenatore, un francese all’epoca appena trentaquattrenne che di esperienza con i grandi non ne aveva mai avuta. Medvedev si affidò a lui e fu la scelta migliore: in poco tempo, gli costruì attorno una squadra solida che lo aiutò in un percorso di crescita nel quale il tennis fu solo una delle tante parti.

Certo, la tempra rimane quella e probabilmente, anche con il passare degli anni, il russo non riuscirà mai a farsi amare dal pubblico con cui spesso, durante i match, se la prende. Troppo diverso, schietto e senza peli sulla lingua per poter essere amato in un modo, il tennis, dove domina con forza il politicamente corretto.
Ma Medvedev, a differenza di Djokovic, l’amore del pubblico non lo ha mai cercato. Lui gioca a tennis, anche se con uno stile che non piace a molti. È un ragazzo enorme, 1.98 centimetri di altezza per 83 chili, ma si muove talmente bene da non farlo notare.
Una perfetta macchina, che all’estetica ha sempre preferito il risultato. Quando colpisce la palla viaggia parecchio e non importa che sia di dritto, rovescio o servizio. Ciò che conta è non sbagliare e, se arriva il rimbalzo buono, metterla negli angoli dove è impossibile arrivare.
Sul cemento americano non può permettersi passi falsi: gli occhi saranno tutti su di lui e, se vorrà rimanere al vertice, dovrà raccogliere più punti pussibili, prima dell’inizio della stagione su terra rossa. Lì, dove i colpi si arrotano e le traiettorie si alzano, farà più fatica ad esprimere i suoi schemi e dovrà guardarsi le spalle dagli attacchi di chi, su quella superficie, è uno specialista.
Intanto, dal Messico, si gode il successo. Che quel torneo lo vinca o meno, poco importa: questa settimana il traguardo è già raggiunto.
Il popolo russo può festeggiare. Uno di loro che il mondo è riuscito a conquistarlo lo hanno finalmente trovato.