Pierre de Coubertin, si dice di discendenti italiani, – un Felice de Fredis nel 1506 avrebbe ritrovato il simplegma del Laocoonte – era nato da gens fortunés. Dai viaggi e dagli studi di pedagogia anglosassone era giunto alla convinzione che lo sport potesse essere di supporto ed elemento di educazione per preparare fin dalla scuola ad affrontare le lotte della vita (teorie del rettore del Collegio inglese di rugby Thomas Arnold). Accusava gli intellettuali francesi di «sedere troppo spesso sul proprio cervello», dimentichi del fisico, Era la ripresa dell’antico consiglio latino, mens sana in corpore sano (Giovenale, Sat., X, 356).
La scoperta di Olimpia da parte di Ernst Curtius tra il 1875 e il 1881 lo portarono alla convinzione nel 1888 che «niente nella storia dell’antichità mi aveva fatto sognare più di Olimpia». L’anno dopo a 26 anni pensò alle Olimpiadi, anche se la “immaginazione creativa” si palesò nell’anniversario del novembre 1892 della Union de sociétés francaises de sport athlétiques (Mémoires olympiques).
Dal congresso alla Sorbona del 1894 (79 delegati e 49 società) nacque il Comitato Internazionale Oimpico (CIO, 11 nazioni) e i primi giochi dal 5 al 15 aprile 1896, Pasqua greca, allo stadio Panellenico di Atene con 241 atleti. Ai giochi di Londra del luglio del 1908 de Coubertain disse, «Domenica scorsa il 24 luglio, durante una cerimonia in onore degli atleti tenuta qui nella Cattedrale di San Paolo il vescovo della Pennsylvania si è espresso in termini molto appropriati: l’importante in queste Olimpiadi non è vincere ma prendervi parte». Secondo Ture Wiklund e John Lucas il vescovo fu Ethelbert Talbot, episcopale della Central Pennsylvania e la frase esatta fu: «Nei Giochi uno solo può cingersi della corona d’alloro, ma tutti possono provare la gioia di partecipare alla gara». I primi giochi si erano svolti ad Olimpia nel 776 a.C. Erano in onore di Zeus, la cui statua era nello stadio, cominciarono con la corsa e raggiunsero negli anni venti gare su più giorni. Erano sospese le guerre per tregua olimpica.
L’ossequiente cristiano Teodosio, su spinta del protettore di Milano vescovo Sant’Ambrogio il 393 le abolì dopo mille anni. Erano spettacoli atletici pagani e per di più di tipo agonistico. I nostri campionati UEFA Champions League (Union of European Football Associations), istituiti nel 1955-56 con sedici squadre hanno subito negli anni scissioni e selezioni con conseguenti esclusioni. La storia rispecchia la negazione dello sport competitivo. Consiglio di seguirne le infinite traversie e condanne, le infinite rimodulazioni delle regole a seconda degli interessi di parte e dei gruppi dominanti. Quello che oggi nausea e il completo smantellamento dello spirito sportivo ed agonistico. Il supremo sberleffo della Lega si può trovare nella prima pagina del sito, vi prego apritelo subito, in cui si bandisce: “Il calcio contro la discriminazione a EURO 2020” È questa una competizione di Stati dell’Europa? Non dell’UE certo, ma dell’Europa come espressione geografica, se essa può rappresentare dei popoli come termine giuridico e antropologico.
La gravità dei gesti e degli atteggiamenti inglesi sono fuori da ogni etica calcistica o agonistica in genere. Sono espressione e riprova della tracotanza di un popolo che ha fatto della propria bandiera civile la Brexit. Ci sarebbe da chiedersi cosa ci faccia il Regno Unito in una competizione che si continua a definire europea. Ma anche come è possibile che una finale si possa giocare in una delle nazioni contendenti, senza venir meno alla parità di trattamento del pubblico, con la propria squadra che gioca in casa.
Se l’Australia brucia, divenuta deserto per la politica coloniale inglese, se l’India piange ancora il dispregio umano, se esiste ancora un colonialismo camuffato sotto la sigla Commonwealth che di salute pubblica ha solo l’economia inglese. Se i wasp americani accusano Colombo di genocidio, avendo proprio loro decimato i veri possessori e padroni degli USA e ne mantengono le riserve che noi abbiamo istituito a protezione dell’ambiente zoologico e fitologico.
E perché dileggiare e malmenare il giocatore di colore che è stato messo (con convinzione e liberamente) in squadra, perché necessario per la sua tenacia e vigoria? E la finzione offensiva e sacrilega di inginocchiarsi in difesa del nero, quando fra gli antichi Persiani la prosckynesis era dovuta al dio Marduk? Come oggi ci si inginocchia davanti al Dio cristiano, come atto di umiliazione e di fede religiosa. Occorrono fatti e non sceneggiate mediatiche. Perché bastonare gli italiani che sono venuti ad onorare la loro terra. Se questo è sport! Se questo è tifo? Non potevano offrire immagine peggiore della tracotanza da Brexit. Offesa all’etica, alla fraternità, all’umanità. La povera Europa che ha concesso i vantaggi e i privilegi europei senza che loro lo fossero più.
Certo, perché no? La dogana.