Gli Azzurri non si sono inginocchiati in segno di solidarietà al Black live matter. Lo hanno fatto alla fine, esausti, dopo i tempi supplementari: hanno ringraziato i santi del pianeta calcio per aver battuto l’Austria ed essere trionfalmente sbarcati ai quarti di finali.
L’Italia era favorita ma, per la prima volta da quando ad allenarla è Mancini, ha giocato una partita ad eliminazione diretta e l’emozione ha rischiato di giocarle un brutto scherzo.
Discreta nel primo tempo, invisibile nel secondo, straripante (due gol) nel primo supplementare e di nuovo assente ingiustificata nell’ultimo quarto di gara, quando l’Austria ha segnato il gol della speranza e che l’ha indotta ad attaccare fino all’ultimo istante.
La prossima volta giochiamo contro il Belgio o contro il Portogallo e arriviamo al cospetto dei mostri sacri grazie ai colpi di chi conta un centesimo dei follower di Lukaku e un millesimo di quelli che conta Ronaldo.
Dopo i gol della qualificazione firmati da Locatelli (poi finito tra le riserve), sono saliti sulla ribalta lo juventino Federico Chiesa (figlio di Enrico, goleador degli Anni 90) e Matteo Pessina che un anno fa, senza clamore, passò dal Verona all’Atalanta. Siamo stati belli solo a tratti e fortunati (tanto) quando l’Austria, una squadra di giganti che corrono senza sosta, si è ribellata al doppio svantaggio, ci ha messo all’angolo e ci ha fatto capire quanto contino nel calcio di oggi fisico e altezza.
Ma a noi la resistenza non ce la deve insegnare nessuno e, tra mille sofferenze, abbiamo portato a casa la qualificazione. Abbiamo rischiato per due volte di vedere infranto il sogno di riscatto. E per due volte abbiamo ringraziato la tecnologia applicata al calcio, che ha indotto l’arbitro ad annullare il gol di Arnautovic per una rotula in fuorigioco e a non concedere rigore agli austriaci sempre per un offside millimetrico che la Var ha pescato al microscopio, facendo sì che l’azione non fosse valida.
Ci è andata bene, ma in queste competizioni sapere di essere fortunati oltre che abbastanza bravi serve ad accrescere l’autostima. Però ci siamo concessi lunghe pause che dovremo abolire se vogliamo arrivare in fondo. L’Austria è stata molto più bella di come ce l’avessero raccontata, mentre le favorite alla vittoria finale sono partite con un passo più lento dell’Italia, ma strada facendo sono cresciute. Il rischio è proprio questo: che l’Italia non si sia risparmiata e che adesso debba ritrovare forze fisiche e nervose andate perse per evitare la figuraccia di un’altra eliminazione ai gironi.
Comunque, meglio l’Italia dell’Austria. Noi una ‘scuola’ dove si impara tecnica, difesa e malizia, almeno l’abbiamo. Gli austriaci no: sono da sempre una piccola Germania. Giocano come i cugini più famosi, ma senza avere un gran serbatoio al quale attingere e non può essere un caso se l’ultima volta contro di loro abbiamo perso 61 anni fa, quando Giampiero Boniperti (scomparso da pochi giorni, segnò il gol anti umiliazione). Abbiamo altri numeri da mettere come contorno alla prossima ‘portata’: decima vittoria consecutiva e addirittura trentuno partite senza sconfitte. Grazie a questo Europeo e alle sue qualificazioni, stiamo scalando di nuovo la classifica della Fifa e sul nostro conto leggiamo e ascoltiamo aggettivi che si sprecano nelle grandi occasioni.
A Wembley potevano entrare 25mila spettatori. Non più di tremila erano vestiti di azzurro e, dopo due stagioni a porte chiuse, l’impatto con il tifo ‘contro’ un peso sul morale dell’Italia lo ha avuto. Tra il silenzio e il disappunto, è facile capire quale sia il male minore.

Di poco incoraggiante c’è che non abbiamo un goleador principe, ma a renderci ottimisti è che a questa lacuna per ora sopperisce una squadra intera. E’ un problema per gli avversari non sapere mai da dove arriverà il pericolo. O, al contrario, sapere che il pericolo numero uno può essere chiunque, anche un ragazzo come Pessina che forse gli austriaci neppure sapevano chi fosse. Adesso il loro date base avrà fatto aggiornamento automatico.
L’Italia è una squadra ed è anche un gruppo unito e allegro. Siamo diversi dal solito e chissà che il calcio non sia lo specchio di un cambiamento epocale che potrebbe riscoprirci ottimisti e vincenti. Se il pallone abbinato al recovery fund darà un nuovo impulso al Paese, lasciamo che gli Azzurri si dicano anti razzisti senza inginocchiarsi: alla fine saremo noi a inginocchiarci, come se lassù qualcuno ci avesse ‘miracolati’.