Abbiamo un premier, Draghi, che dopo aver rilanciato l’Europa ora sta tentando di fare la stessa cosa con l’Italia. Il Pil cresce, la considerazione di tanti Paesi e capi di Governo nei nostri confronti non è mai stata così alta. Ci guardano tutti con un misto di curiosità e di ammirazione e Super Mario, fedele al motto che “nessuno dopo la pandemia deve rimanere indietro”, ha detto la sua anche sugli Europei di calcio: “Sarebbe meglio che le finali si giocassero a Roma”.
Angela Merkel gli ha dato subito ragione. Gli inglesi designati dalla Uefa come organizzatori di semifinali e finali dell’Europeo non l’hanno presa bene e pure la Federcalcio europea (per ora) ha bocciato la proposta. A Londra hanno tirato a lucido il nuovo e mitico stadio di Wembley e, quel che più conta per i cassieri, hanno già venduto chissà quanti biglietti che andrebbero rimborsati. Ma questa è la stagione delle varianti. C’è quella ‘Draghi’, che ha un peso politico notevole e, soprattutto, c’è la variante indiana, trasformata subito in ‘Delta’ perché nessuno si senta untore. I dati sono preoccupanti: i contagi in Gran Bretagna sono in costante crescita e nei giorni scorsi hanno superato quota undicimila al giorno.
I virologi ammettono che gli assembramenti allo stadio potrebbero essere molto pericolosi. La situazione dovrebbe ulteriormente peggiorare (e non se lo augura nessuno) perché avvenisse questo repentino cambio di sede. Ma la capacità tutta italiana di mescolare il sacro con il profano ha indotto subito al pensiero indicibile: abbiamo una squadra forte, che potrebbe arrivare in semifinale e, perché no, anche in finale, e giocarsi il titolo davanti al nostro pubblico (distanziato) sarebbe un vantaggio non da poco. E rilancerebbe Roma, dove ogni giorno si discute di buche per strada, di bus che prendono fuoco e ora anche di un statua, omaggio alla porchetta, che fa litigare furiosamente onnivori e vegani. Effettivamente, qualcosa di livello un po’ più alto che possa ridare lustro a una Capitale decadente, sarebbe utile. Draghi lo ha capito e fa del suo meglio perché Roma non rimanga indietro.
Mancini e i suoi azzurri lo inducono a sbilanciarsi. Nei giorni di qualificazione alla fase eliminatoria, l’Italia ha chiuso a punteggio pieno e senza subire gol. Le quote dei bookmaker ora la indicano come seconda favorita, dietro la Francia. Difendiamo bene e attacchiamo meglio. Siamo senza stelle e abbiamo un grande collettivo, rafforzato dalla voglia di stupire e da un senso di sacrificio che ogni tanto ripeschiamo da qualche vecchio baule in soffitta. I nostri avversari sfoggiano campioni: la Francia si gode Mbappè e il Belgio (altra favorita) ha nel gigante buono Lukaku una specie di Terminator. Noi siamo quasi al paradosso: dopo aver ‘scoperto’ che Locatelli è in grado di segnare quanto i mostri sacri e di correre come un etiope degli altipiani, potremmo anche lasciarlo in panchina per ridare il posto a Verratti, che ha il pregio di dare più equilibrio e geometrie alla squadra rispetto a Locatelli.
Sono trascorsi ventuno anni da quando Dino Zoff, allora Ct, portò l’Italia in finale agli Europei di Francia. Zoff, prima di allenare, era stato un grande portiere. I record di imbattibilità sono tutti suoi, ma adesso Donnarumma sembra pronto a batterli.
Prossimo avversario, sabato sera, l’Austria, un’altra squadra che non ha grandi campioni e che sa di dover correre. Due squadre quasi speculari, con una differenza sostanziale. Noi possiamo essere bravi soldatini e, improvvisamente, avere guizzi inimmaginabili di fantasia. Ecco, sulla fantasia degli austriaci sappiamo già che non serve indagare: il rischio è di sprecare il tempo.
Intanto ci godiamo questo spirito di squadra che per un mese (speriamo) diventa lo stesso del nostro Paese che tende alle divisioni e alle barricate. Ci godiamo la compattezza, i sacrifici equamente divisi, apprezziamo una giocata difensiva più di quanto non facciano i portoghesi con un dribbling di Ronaldo. Viviamo un’estasi di basso profilo. Ma rispetto alle recenti figuracce della Nazionale (due flop ai Mondiali e una mancata qualificazione), queste prime tre vittorie sono sembrati piatti cucinati dagli chef a tre stelle.
Di questo menù-degustazione, aspettiamo con ansia il dessert della finale, magari all’Olimpico di Roma. Super Mario è sceso in campo per una partita che si gioca dietro le quinte. Non c’è tv, non c’è streaming, non c’è neppure una vecchia radiolina per ascoltare la cronaca. Sapremo solo il risultato finale.