Sono i primi Europei di calcio in un anno dispari. E chissà che l’Italia non la trovi ‘pari’. Una sola vittoria, nel 1968, su quindici tentativi. Un bilancio misero per un Paese che ha fatto del pallone una religione. Se va male anche stavolta, il rischio è che dilaghi l’ateismo sportivo. Ma, da queste parti, qualche buon motivo per essere ottimisti lo abbiamo scovato.

Intanto il Ct. Roberto Mancini è una garanzia. Di equilibrio, di competenza, di esperienza. Ha acciuffato la Nazionale che stava precipitando nel buco nero dell’anonimato, dopo la mancata qualificazione ai Mondiali, e le ha ridato la dignità perduta. Dal 2018 conta 23 vittorie, 7 pareggi, 2 sconfitte, con 79 gol segnati e appena 14 subiti e, va da sé, una qualificazione ottenuta con un filo di gas.
Non ci sono le stelle. Non c’è né un Baggio né un Totti e men che meno un Paolo Rossi. Nessun grande goleador, nessun giocoliere, neanche un Cassano a ciondolare per il campo in attesa che l’ispirazione lo accenda. Siamo piatti e siamo tosti, dicono gli azzurri di se stessi, memori che nel cielo sopra Berlino 2006 non si notavano stelle. Vincemmo grazie al terzino Fabio Grosso e il Pallone d’oro se lo portò a casa Fabio Cannavaro: insomma, trionfammo impedendo agli altri di giocare bene.
Se il calcio non reclama più la fantasia al potere, ma si accontenta della solidità e del pragmatismo, l’Italia dirà la sua.
Con una delle favorite, però, Mancini non si è mai confrontato. Neanche in amichevole. Ha preferito rivitalizzare la piantina della vittoria che era moribonda e, così facendo, ha rimesso in sesto squadra e ambiente. Ha creato un’atmosfera allegra, ha imposto un gioco corale che responsabilizza tutti allo stesso modo ed è convinto che tanto basti per fare bella o bellissima figura. Obiettivo dichiarato la finale, sapendo che non sarebbe male entrare tra le prime quattro.
E’ la Francia campione del mondo, guidata dalla superstar Kylian Mbappé, la squadra da battere. Seguono, nelle preferenze dei bookmaker, l’Inghilterra di Harry Kane e il Belgio di Romelu Lukaku. Poi arrivano i nostri, che in campo vanno senza un vero leader, prezzo da pagare alla smania che i club hanno di strapagare gli stranieri, lasciando che i giovani italiani vivano i campionati sotto i loro ombrelli.
Se dovesse andar male, saremo pronti con il vecchio disco: è un sistema da cambiare. Peccato che lo dicano tutti e non lo faccia nessuno.
Quello del pallone è, da sempre, un mondo a parte. E neppure in questo caso fa eccezione. Giocatori sotto stretta osservazione medica durante il campionato. Poi vanno in Nazionale si beccano subito il covid. La Spagna e la Svezia hanno già registrato diversi casi e le loro quotazioni sono in drastico calo. Quella del virus, alla faccia di tamponi e vaccini, è un’incognita che incombe sull’Europeo.
Il pericolo è tutt’altro che trascurabile per questo campionato itinerante, quindi destinato a portare i giocatori a spasso per le capitali. Nessuno in Italia ha dimenticato che il primo grande e mortale focolaio fu lo stadio di Bergamo mentre si giocava Atalanta-Valencia.
Dall’11 giugno all’11 luglio, un mese per sapere chi si insedierà sul tetto d’Europa. A contendersi il titolo 24 squadre divise in sei gironi. Le prime due di ogni girone si qualificano alla fase a eliminazione diretta. Il via lo danno Italia e Turchia all’Olimpico di Roma. Poi si faranno molte miglia in aereo: da Baku e Copenaghen, da Monaco di Baviera ad Amsterdam, da Bucarest e San Pietroburgo, da Glasgow a Siviglia, fino alla finale di Londra dell’11 luglio.
All’Italia, quindi, l’onore e l’onere di alzare il sipario. La partita con la Turchia ha assunto anche una valenza politica dopo il duro scontro Draghi-Erdogan, a proposito del pessimo trattamento che il presidente turco riservò a Ursula von del Leyen in visita ufficiale a Istanbul. Dopo il famoso ping pong Stati Uniti-Cina, dopo la sfida a scacchi Fisher-Spassky (Stati Uniti-Unione Sovietica), dopo i boicottaggi delle Olimpiadi di Mosca e di Los Angeles, di nuovo lo sport offre un confronto tra culture e stili di vita contrapposti.
Se l’Italia vincesse e i suoi protagonisti avessero il coraggio di dedicare la vittoria alle donne, il messaggio avrebbe un alto valore simbolico. Dopo tanti tramonti sul Bosforo, sarebbe bello raccontare di un’alba tutta rosa.
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