Napoli, lì 3 giugno 2017. Finale di Champions League. Juve-Real Madrid che se la giocano a Cardiff. Che poi alzi la mano chi lo ha capito dove è che sta Cardiff. Ad ogni modo, nel capoluogo partenopeo gli atteggiamenti nei confronti della finalissima sono stati principalmente due: totale disinteresse di gente che faceva finta che nemmeno fosse il 3 giugno, che nemmeno ai convegni della oramai ex sinistra italiana se ne vedeva di disinteressati così, da un lato; gente che si è organizzata con gli amici, i parenti, i vicini di casa e di palazzo, per vederla, dall’altro. E per gufare. Perché se sei napoletano tifi una sola squadra e una sola, quindi al massimo puoi gufarne un’altra ma mai tifarla sul serio. Al massimo se la vedi in un pub con un gruppo di amici, come ho fatto io, puoi alzare la voce e ridere ai gol del Real, ma giusto perché accanto al tuo, c’è un tavolo di juventini che si saranno intossicati antipasto, panino, birra e dolce. In ordine di apparizione e per ogni gol. Ma è solo un caso. Roba che tu alla fine da sportiva quale sei, al fischio finale fai anche per alzarti e congratularti con loro perché, cavolo in finale ci sono arrivati, che poi l’hanno persa, di nuovo, per non si sa quante volte, in fondo, è solo un dettaglio, e vabbè…
Ma niente: il tempo di girarti e il tavolo si è già svuotato. A stento ci sono rimaste le sedie. Che tu ti chiedi se andandosene così velocemente il conto l’abbiano pagato o rubat… Ehm, no, niente. Si scherza. Ecco, Napoli non è cattiva. Napoli tifa il Napoli. Chest’è. Il napoletano esulta, sì, è contento, tanto che un mio amico al tavolo era talmente contento che la fidanzata gli ha parlato di matrimonio tutta la serata e lui ha risposto sempre “Sì”. Poi domani realizzerà in che guaio si è cacciato, forse. Ma lui tifa Napoli e non è stato un controsenso esultare. E ora vi spiego anche perché, così che non si taccino Napoli e i napoletani di provincialistico folclore. Iniziamo dalla fine.

Punto primo: i festeggiamenti. Quelli in città allo scoccare del quarto minuto di recupero quando il Real in maglia viola vinceva sulla Juve in maglia bianconera: a Napoli, botti e fuochi d’artificio come nemmeno a Capodanno che io mi ricordi ma non è stata cattiveria o vendetta per chissà che, no! È che i tifosi juventini tutto quei botti li avevano presi loro per festeggiare in caso di vittoria o anche solo se Gonzalo Higuain avesse toccato una palla che pure sarebbe stata da festeggiare come cosa. Ma niente, non c’è stato niente da festeggiare. E siccome a Napoli vale il vecchio detto che a buttare le cose è peccato perché poi noi ci siamo cresciuti con le mamme che per farci mangiare ce lo dicevano che il cibo non si butta perché appunto, è peccato e “pensa ai bimbi del Terzo Mondo”, che tu non mangiavi mai per fame ma sempre per senso di colpa… Ma dicevamo, ora quei botti erano stati comprati, tanto valeva usarli, che col caldo che sta facendo in questi giorni a Napoli, agli juventini, gli esplodevano in casa e sarebbe stato pure pericoloso, anche perché pare che nonostante l’afa i tifosi non azzurri ma di partenopea nascita in casa loro ci si siano barricati. Chissà poi perché.

Punto secondo: l’esultanza ad ogni gol. Ora, è pur vero che il Real Madrid ha buttato il Napoli fuori dalla Champions League agli ottavi, ma ve lo ricordate cosa sono state quelle due gare, a Madrid appunto e a Napoli? Cioè, roba che si sono formate più coppie miste in quei due giorni che in tutte le crociere per single del Mediterraneo e giù di lì. Tifosi madrileni del Real mescolati a napoletani dei Quartieri Spagnoli, che tanto stiamo là, complimenti à gogo al termine delle partite, una piazza spagnola incredibilmente azzurra, femmine a Napoli per la gara di ritorno che con Ronaldo e Ramos in giro scendevano apparecchiate a mó di matrimonio anche solo per buttare la spazzatura… Cioè, Napoli queste cose non se le dimentica. È che da queste parti la memoria conta. Eccome se conta. E quindi le bandiere blancos a colorare la città ci stanno, e ci possono stare.
Punto terzo, il Real ha giocato meglio. Punto. E basta. E se doveva vincere la squadra migliore, allora la squadra migliore ha vinto. Soprattutto nei secondi 45′ di gara non c’è stata storia: la superiorità tecnica degli spagnoli ha eclissato la Juventus che era andata lì per fare triplete, dopo Coppa Italia e Scudetto e ha avuto, invece, il poker. Di gol rifilati dagli avversari. Che poi sia rimasta in 10 per l’espulsione di Cuadrato, per un fallo più simulato che reale… Beh, lì è karma. E ci sta poco da fare.
Punto quarto… Qui siamo un poco più seri. Ma giusto per rispondere a chi da giorni dice che “gli italiani devono tifare per le italiane. A prescindere”. È vero, gli italiani dovrebbero. A patto che però la squadra per cui si dovrebbe tifare non sia quella dei più beceri cori da stadio. A patto che l’Italia, calcistica e non, unita lo sia sempre, non solo quando fa comodo che sembri che lo sia. Come si potrebbe mai tifare per una squadra che permette ai suoi tifosi e forse non solo a loro, di inneggiare al Vesuvio e sperare nella sua eruzione? Quelle offese vanno al di là del calcio, anzi, col calcio non c’entrano davvero nulla: sono offese orribili alla città e ai suoi cittadini. E tifare ora per quella squadra di quell’ex ancora indimenticabile ma ahinoi, non nel senso buono, non si può. Non si può davvero. E allora se sugli stadi si inneggia alla morte, è concesso che sui social si sprechi l’ironia di chi è andato via per vincere ma non ha vinto. Anzi. È concessa la goliardia di chi con un pizzico di soddisfazione sa bene di aver fatto anche meglio di chi è arrivato a quella finale ma purtroppo il bel gioco non conta più dei gol. E allora diventa virale la foto di Diego Armando Maradona che sorridente indica “4” con la sua mano de Dios. E allora si ride, come solo la gente del Sud sa fare davvero. Una buona parte almeno, non tutta è chiaro, ma solo quella che non tifa una squadra che i suoi tifosi li chiama “terroni” e loro non possono tifarla a Torino ma neppure a Catanzaro, per il paradosso tutto italiano di quel vecchio detto, per il quale se la Juve è in trasferta, la Calabria è deserta, mica il Piemonte. Quell’ironia che però fa il paio con la preoccupazione per un falso allarme bomba nella piazza allestita a Torino con un maxi schermo per questa finale. Un falso allarme da centinaia di feriti, tra cui qualcuno grave. E allora da queste parti, l’ironia lascia il posto alla preghiera perché da queste all’ombra di quel Vesuvio sempre nominato parti il cuore è grande. Ma grande davvero.