Paese che vai, variante del Covid che trovi. Negli ultimi giorni, due particolari nuove forme del virus hanno attirato l’attenzione di media ed esperti: la variante nigeriana e la variante giapponese.
Ricordiamo sempre che le varianti di un virus sono un fenomeno completamente normale e fisiologico: ogni virus, quando si replica, può incappare in errori casuali. Per la stragrande maggioranza essi sono innocui, ma occasionalmente può capitare che una mutazione dia al virus un vantaggio competitivo, rendendolo più forte o efficace, diventando un potenziale fastidio per noi umani, suoi ospiti favoriti.
Poiché di varianti del Covid ce ne sono a migliaia, l’OMS le classifica in modo da chiarire su quali è necessario fare ricerca (“varianti di interesse”) o non abbassare la guardia (“varianti preoccupanti”). Le ben note varianti inglese, brasiliana e sudafricana sono tutte varianti “preoccupanti”, perché in una qualche forma sono tutte più contagiose e in alcuni casi più resistenti ai vaccini attualmente disponibili. Le varianti giapponese e nigeriana, almeno per ora, non sono varianti preoccupanti, bensì sono classificate come “varianti di interesse”: vanno studiate, ma niente panico.
Cosa sappiamo di queste nuove forme di Covid? Per la verità, poco. Abbiamo a disposizione dati genetici, sulla loro struttura e le loro mutazioni, ma pochissimi report su dati clinici ed epidemiologici. In pratica conosciamo l’identikit genetico, ma sappiamo poco di come si comportano nella popolazione.
La variante nigeriana (B.1.525) è stata identificata in Nigeria a metà dicembre, e si è diffusa anche nel mondo occidentale. Sono stati riportati casi in UK, USA, Australia, Danimarca Francia e recentemente anche in Italia, in Sicilia. Le mutazioni che presenta sono abbastanza note e conosciute, presenti anche nella variante inglese, brasiliana e sudafricana, conferendo alla variante nigeriana un comportamento più “prevedibile”: mutazioni della proteina spike e di alcuni recettori che dovrebbero rendere la variante nigeriana più infettiva rispetto all’originale (ma probabilmente non rispetto a varianti come la inglese o la brasiliana) o potenzialmente più resistente ai vaccini, sempre rispetto all’originale ma non alle altre varianti. Ad ora, in ogni caso, non sono disponibili dati certi a sostegno di una maggiore trasmissibilità. È anche stata di recente segnalata una variante italiana, nata da un mix nigeriano e britannico rintracciato in un paziente cinquantenne di Novara. Non pone nessun rischio e non dovrebbe essere né più contagiosa né più aggressiva.
La variante giapponese, chiamata Eek, è più recente e sta facendo scalpore perché, negli ultimi giorni, Reuters ha riportato che il governo nipponico è preoccupato di una quarta ondata che potrebbe mettere a repentaglio (di nuovo) i giochi di Tokyo. Il 70% dei cittadini di Tokyo risultati positivi lo scorso mese risultano infatti infettati da questa variante, e sono stati riportati casi anche in Austria e USA.
La variante giapponese ha una particolare mutazione, la E484K, comune anche alla variante brasiliana, sudafricana e alla neoarrivata nigeriana, che potrebbe ridurre l’efficacia dei vaccini in commercio al momento. Proprio questo desta la preoccupazione relativa alle Olimpiadi: come garantire un ambiente sicuro, se atleti, addetti e giornalisti per quanto vaccinati potrebbero non essere completamente protetti dalla malattia? Il Primo Ministro Yoshihide Suga ha in ogni caso garantito che i Giochi si terranno come previsto, e che le misure restrittive draconiane imposte per ora solamente ad Osaka saranno estese anche a Tokyo e al resto delle isole giapponesi se necessario, per garantire che la fiamma olimpica sia accesa il 23 Luglio come da programma.

Come quasi tutti i temi di cronaca degli ultimi mesi, o almeno così sembra, tutto si riduce alla stessa domanda: i vaccini funzioneranno, e quanto in fretta? Gli unici dati certi disponibili per ora riguardano la variante inglese, che è suscettibile alla vaccinazione, come dimostra anche il caso dell’Inghilterra con il suo invidiabile ed invidiato calo dei contagi.
I vaccini potrebbero essere un po’ meno efficaci sulle varianti che manifestano la mutazione E484K, che secondo il professor Haseltine conferirebbe una triplicata resistenza ai vaccini attualmente in produzione e una decuplicata resistenza agli anticorpi, determinando maggiore rischio di reinfezione, come è accaduto per esempio a Manaus, dove circola la variante brasiliana, che porta la mutazione E484K.
Tuttavia, se anche meno efficaci gli attuali vaccini non sarebbero completamente inutili contro le varianti, ed in ogni caso potrebbero essere abbastanza facilmente modificati per aggiustarne il tiro e renderli più potenti.
Il tema fondamentale rimane quello della circolazione della malattia: più il virus circola, più si replica, più muta, maggiore è il rischio che casualmente incappi in una variante vantaggiosa. Come spesso ricorda il professor Crisanti, permettere una circolazione del virus alta, come sta accadendo in Italia, durante la campagna vaccinale aumenta la probabilità che siano evolutivamente selezionate mutazioni resistenti ai sieri attualmente disponibili.