La scienza si nutre di dubbi mentre la società ha bisogno di certezze. Per un verso sembra una proposizione vera. Eppure, se guardiamo la scienza nella sua evoluzione dai Greci passando ai pensatori Islamici la scienza si è sempre imbevuta di certezze.
Certezze che sono cadute ogni volta che è stata fatta una scoperta che ha negato le precedenti scoperte. Il passaggio dalla scienza Aristotelica a quella Galileiana ha causato un brusco cambiamento, non solo per le implicazioni che ha avuto sul modo di vedere le cose del mondo che ci circonda, ma anche verso le persone: non bisogna dimenticare le persecuzioni a cui sono stati assoggettati gli scienziati, per primo Galileo.
Dalla scienza del Galileiana e Newtoniana che si basava sull’osservazione del quotidiano si è passati alla rivoluzione Einsteiniana. Il mondo della microfisica ha cambiato il nostro modo di guardare le cose.

Sono cambiate le invarianti, lo spazio e il tempo si sono incurvati e la velocità della luce è diventata un limite insuperabile, almeno fino ad ora. La scienza Einsteiniana ha inglobato le leggi precedenti e ha tentato di dare una descrizione univoca dell’universo. Le forze qualunque fosse la loro origine, quelle che conosciamo sono state unificate, anche se la gravità ancora sfugge alla nostra comprensione.
Mentre la fisica, la chimica e le altre scienze venivano applicate e diventavano tecnologia, rimaneva grande spazio al pensiero. La filosofia affrontava le problematiche della metafisica e scavava nell’essenza dell’essere umano, la scienza perseguiva il suo cammino passando dal meccanicismo alla microfisica a teorie che, apparentemente, non avevano un reale legame con l’essere umano.
L’evolversi della tecnologia ha permesso di conquistare nuove mete e sicuramente la scienza se ne è avvantaggiata. La teoria si avvale di grandi macchine acceleratrici per dimostrare come le forze sono unificabili. Sono state individuate le particelle responsabili delle forze, quali: i gluoni, responsabili della forza nucleare forte, i bosoni W e Z, responsabili della forza nucleare debole, il fotone, legato alla radiazione elettromagnetica, il gravitone (se esiste, dovrebbe essere responsabile della trasmissione della forza di gravità nei sistemi di gravità quantistica) e il bosone Higgs, responsabile per la massa.
Allo stesso tempo le scienze fisiche e chimiche hanno incominciato a pervadere anche altre scienze, in primo luogo la biologia e la medicina. Alcune delle leggi della fisica e della chimica sono state riadattate alla biologia per comprendere non solo i processi ma e soprattutto i meccanismi evolutivi che ancora poco conosciamo.
Ernst Mayr, un illustre biologo evoluzionista del Novecento, sostiene l’unicità della biologia, come scienza a se stante. Il suo assunto parte dal negare che i problemi di cui si occupa la filosofia della scienza si possano risolvere con l’ausilio della mera logica. Il discorso vale per tutte le scienze, non solo per la biologia: l’approccio empirico rimane ancora il migliore per capire e riprodurre un processo, qualunque esso sia.

L’importante è di non parcellizzarlo per semplificarlo, ma controllarne la complessità anche durante la sperimentazione. Eppure, Mayr ha ragione nel dire che la struttura concettuale della biologia è diversa dalla struttura concettuale della fisica. L’osservabile in biologia risente di processi ancora irrisolti, come la definizione di specie, la natura della selezione, l’evoluzione stessa, almeno per citarne alcuni. Sono concetti che la fisica non ha, tesa a costruire un mondo in cui le leggi dell’infinitesimo piccolo si devono legare a quelle dell’infinito grande.
Di contro c’è stato un profondo sviluppo di teorie non controllabili. Ad esempio, i creazionisti credono che l’Universo, la Terra e tutti gli organismi viventi originano da atti specifici di creazione divina, come riportato nella Bibbia. Le posizioni creazioniste sono in genere caratterizzate da una critica (o proposta di revisione) delle teorie cosmogoniche e antropogeniche scientifiche alla luce dei racconti della creazione contenuti nei testi sacri, interpretati in modo più o meno letterale. Il processo evolutivo della vita sulla terra, è comunemente messo in discussione dai creazionisti.
Come ogni altro insieme di teorie o fedi prive di verificabilità non può essere classificata come scienza. Può anche essere un postulato dotato di senso e significato, ma non essendo possibile confutarlo non è controllabile.
L’espressione principio di falsificabilità (dal tedesco Fälschungsmöglichkeit, traducibile più correttamente come “possibilità di confutazione”) identifica il criterio formulato dal filosofo Karl Popper per separare l’ambito delle teorie controllabili, quelle che appartengono alla scienza, da quello delle teorie non controllabili che non vi appartengono.
In termini logici, dalle sue premesse di base devono poter essere deducibili le condizioni di almeno un esperimento che, qualora la teoria sia errata, se ne possa dimostrare integralmente tale erroneità alla prova dei fatti, secondo il procedimento logico del “modus tollens”, in base a cui, se da A si deduce B, e se B è falso, allora è falso anche A.
La falsificabilità è l’unico criterio scientifico che abbiamo: una teoria non potrà mai essere verificata del tutto, può essere solo falsificata secondo il criterio introdotto e sostenuto da Albert Einstein, «nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato».

Una scienza che eviti di scontrarsi con l’errore, immunizzando se stessa contro le critiche per risultare in apparenza sempre vera, non è una scienza. Anche se la possibilità di confutazione dissolve i problemi legati alla verifica e al principio di induzione, si presta ad alcune critiche sul piano logico in quanto la pretesa di distinguere una teoria controllabile da una non controllabile attraverso l’esperienza rischia di non lasciare lo spazio ad una teoria controcritica perfettamente coerente.
Di fatto la teoria Popperiana ha avuto una soluzione paradigmatica ossia quella di una “solida struttura di assunti concettuali, teorici, strumentali e metodologici” che governa la ricerca di una comunità scientifica in un determinato campo di fenomeni. Ad esempio, vedere ciò che ci circonda in modo nuovo, o pragmatica dove la scienza è un processo in evoluzione che accumula prove più empiricamente convalidate, mentre risolve anomalie concettuali allo stesso tempo. Thomas Kuhn e Larry Laudan proposero una scienza non semplicemente basata sulla logica, come via di uscita dal falsificazionismo.
La società non contempla l’errore, la scienza sì. I Pitagorici non contemplavano l’errore ma ogni misura porta con sé un errore. I Pitagorici superarono il problema sviluppando una strategia che permettesse di analizzare una figura geometrica senza passare dalla sua misura I risultati ottenuti li chiamarono i teoremi, ciò che si guarda. Nell’Ottocento Gauss definisce le tecniche che lo minimizzano e da allora è un fiorire di metodi. Sull’errore si costruiscono le nuove teorie.
Nel Novecento, Hadamard e Kolmogorov comprendono che l’errore deve essere utilizzato come parte del problema da risolvere. All’errore si associa il concetto di probabilità come strumento statistico per classificare. Il salto di qualità si deve però a Bayes e Laplace che un secolo prima introducono la probabilità inversa. Strumento che sta alla base dei moderni metodi di previsione.
Il concetto di probabilità sviluppato per la prima volta da Cardano, un medico geniale contagiato dal morbo del gioco, non è più dato dal rapporto tra eventi favorevoli rispetto a tutti gli eventi, ma descrive la probabilità di un evento, in base alla conoscenza preliminare delle condizioni che potrebbero essere correlate all’evento. Ad esempio, se è noto che il rischio di sviluppare problemi di salute aumenta con l’età, il teorema di Bayes consente di valutare il rischio per un individuo di un’età nota in modo più accurato rispetto alla semplice supposizione che l’individuo sia un’espressione tipica della popolazione nel suo insieme. Una delle molte applicazioni del teorema di Bayes è l’inferenza Bayesiana, un approccio particolare all’inferenza statistica che esprime come un grado di credenza, espresso in termini di probabilità, dovrebbe cambiare razionalmente per tenere conto della disponibilità di prove correlate ed è quello che i social usano per tracciare le nostre abitudini.

(pixabay)
Questi concetti non sono ancora patrimonio della società che si esprime in modo ancora naïve, scontato. Gli studi di Chomsky hanno teso a dimostrare che a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Secondo Chomsky, grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema dei social e dei media” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica sia psichica più alta di qualsiasi periodo precedente. Il “sistema dei social e dei media” è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, questo Sistema esercita un controllo maggiore e un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su se stesso.
Qui sta l’asimmetria tra Scienza e Società. Il sapere scientifico non arriva più alla società, ma direttamente alle società con grandi capitali che utilizzano le informazioni a priori per farne, ad esempio quelle che passano sui social, un uso commerciale. È ben noto come i motori di ricerca possono influenzare anche le modalità di acquisto dei prodotti, come accadde con l’aviaria per cui i governi acquistarono immense quantità di vaccini, utilizzati poi solo in minima parte.
Dello stesso tenore è l’informazione scientifica che non è omogenea, anzi diventa dissonante, proprio per catturare l’attenzione dell’uditore e del lettore. È ovvio che in una società che legge poco, i media come la TV e i social, diventano l’unico strumento di trasmissione. Con il loro linguaggio semplificato cercano di attirare l’attenzione per avere maggiore udienza e quindi maggiori utili.
Lo scienziato non ha che due strumenti: la divulgazione e la presenza. Nel primo caso il compito è estremamente arduo in quanto il suo impatto è fondamentalmente relegato alla classe sociale più acculturata e quindi a pochi. I libri di divulgazione che raggiungano un vasto numero di persone si contano sulla punta delle dita. La maggior parte di questi libri adotta un linguaggio semplificato al massimo che riduce il lavoro dello scienziato a una passeggiata, quando invece in tutti i paesi è faticoso e stressante, visto l’alto livello di competitività dei sistemi economici.
Ho detto anche presenza. Durante ogni pandemia, almeno quelle di cui abbiamo letteratura, ci sono stati fazioni contrapposte. Vorrei citare le polemiche nate durante il colera del 1854, riportate su un recentissimo articolo di Pensotti su “Organisms. Journal of Biological Sciences”, tra John Snow che sosteneva che il colera si trasmetteva attraverso l’acqua e Benjamin Hall che sosteneva che il colera era dovuto ai miasmi che venivano emesse dalle ciminiere delle fabbriche. Il dibattito oltre che alla commissione sulla salute si trasferì su Lancet che supportò l’opinione di Hall contro Show. Nell’Aprile del 1855 a fronte di nuove evidenze la commissione sulla salute decise di supportare comunque la teoria di Snow. Nel 1884 Robert Koch scoprì il vibrione dl colera nell’acqua e non nell’aria. Nell’Aprile del 2013 Lancet riconobbe l’errore. Snow è conosciuto come uno dei padri della moderna epidemiologia.

Non siamo più nella situazione del 1800. Il sistema dei mass media ha amplificato la nostra percezione. Oggi la presenza degli scienziati nei dibattiti è diventata una moda.
In questo senso anche la corsa al vaccino per bloccare il COVID 19 è diventata emblematica. Chi prima arriva, prima vince. Non per nulla si sono impegnati anche i paesi in prima persona: il vaccino russo, quello cinese, quello americano, quello europeo. Un impegno che va la di là del prodotto per combattere la pandemia, in quanto diventa supremazia di un paese sull’altro.
Un capitolo a parte va poi ascritto alle Fake News che passano ormai indenni attraverso i social e sembrano pervadere la nostra società. I social media tendono a massimizzare la presenza degli utenti, piuttosto che favorire l’informazione basata sull’evidenza. Queste piattaforme sono esplose in popolarità negli ultimi dieci anni e mezzo, ed hanno contribuito a far crescere la partigianeria politica e le voci di sfiducia verso le autorità.
Nei primi mesi del 2020, sono emerse le teorie del complotto che Bill Gates aveva ordito, nel creare lui stesso il virus. L’aveva pure brevettato. Avrebbe usato i vaccini per controllare le persone. Queste false affermazioni proliferarono tra le persone contrarie ai vaccini, alla globalizzazione o alle violazioni della privacy consentite dalla tecnologia.
Il 19 marzo hanno falsamente affermato che Gates aveva intenzione di utilizzare un vaccino contro il coronavirus per monitorare le persone attraverso un microchip iniettato. L’idea è arrivata da Roger Stone – ex consigliere del presidente degli Stati Uniti Donald Trump – che ad aprile dichiarò che non si sarebbe mai fidato di un vaccino contro il coronavirus che Gates aveva finanziato. L’intervista è stata rilanciata dal quotidiano The New York Post, che non smentì. Poi quell’articolo è stato apprezzato e condiviso o commentato da quasi un milione di persone su Facebook.
“Si tratta di prestazioni migliori rispetto alla maggior parte delle notizie dei media tradizionali”, afferma Joan Donovan, sociologa dell’Università di Harvard a Cambridge, Massachusetts.
Questo tipo di disinformazione è diventata una infodemia una “superdiffusione” di informazione in analogia di quanto avviene in una epidemia.

La disinformazione del coronavirus richiede che i ricercatori rispondano soprattutto quando ci si trova di fronte a falsità organizzate che hanno lo scopo di ingannare. In una crisi sanitaria globale, le informazioni imprecise non solo fuorviano, ma potrebbero essere una questione di vita o di morte se le persone iniziano a prendere farmaci non provati, ignorando i consigli di salute pubblica o rifiutando un vaccino contro il coronavirus, se disponibile.
È necessario monitorare il flusso di informazioni online e capire come iniziano e si diffondono voci inaffidabili attraverso un “osservatorio infodemico COVID-19”, utilizzando un software automatizzato per guardare i milioni di tweet che passano ogni giorno.
Uno studio del 2018 ha suggerito che le notizie false viaggiano generalmente più velocemente delle notizie affidabili su Twitter anche se sembra che, ancora, non sia così, in questa pandemia. Chi ha seguito alcuni esempi di notizie false e vere su COVID-19 – classificate dai siti di verifica dei fatti, ha scoperto che i post affidabili hanno visto tante reazioni quanti i post inaffidabili su Twitter.
Sembra che nei milioni di tweet sul coronavirus a gennaio, la disinformazione non abbia dominato la discussione. Gran parte della confusione all’inizio della pandemia era legata alle incertezze scientifiche sull’epidemia. Le caratteristiche chiave del virus – la sua trasmissibilità, ad esempio, e il suo tasso di mortalità per casi – potevano essere stimate solo con ampi margini di errore. In questo caso l’”onestà” degli scienziati ha creato un “vuoto di incertezza” che ha permesso a fonti superficialmente affidabili di intervenire senza una reale competenza. Questi includevano accademici con scarse credenziali per pronunciarsi sull’epidemiologia, o analisti che erano bravi a snocciolare i numeri ma non avevano una profonda comprensione della scienza sottostante.
Gli algoritmi dei motori di ricerca di Google classificano le informazioni dell’OMS e di altre agenzie di sanità pubblica più in alto rispetto a quelle di altre fonti, ma le classifiche variano a seconda dei termini che una persona inserisce in una ricerca. Alcuni siti sono riusciti a farsi strada utilizzando una combinazione di parole chiave ottimizzate e mirate a un pubblico particolare, come i nuovi disoccupati.
Molte delle falsità online prendono forma tra comunità online di gruppi estremisti e di estrema destra, che occupano piattaforme in gran parte non regolamentate tra cui VKontakte, Gab e 4Chan come quelli tradizionali come Facebook e Instagram.

Uno studio dell’Università di Washington afferma che un “multiverso di odio” sta sfruttando la pandemia COVID-19 per diffondere il razzismo e altri programmi dannosi, concentrando una serie di messaggi inizialmente piuttosto diversificata e incoerente in alcune narrazioni dominanti, come incolpare ebrei e immigrati per aver iniziato o diffuso il virus, o affermando che si tratta di un’arma utilizzata dallo “Stato profondo” per controllare la crescita della popolazione.
Come far si che questa asimmetria si attenui? Innanzi tutto, costituire un task forse di scienziati che produca libri di divulgazione in tutti i settori. Mentre la letteratura inglese è piena di questi scienziati che divulgano il loro saper da Hawking a Penrose, a Barrow tanto per citarne alcuni, in Italia fa fatica ad affermarsi.
La Scienza come spettacolo ha fatto il suo tempo, meglio la Scienza con le sue difficoltà per far capire che niente è così lontano dalla bellezza paludata quanto la Scienza. Per dirla con uno slogan: “La Scienza e la fatica di far Scienza”. I social media devono abbassare la curva delle disinformazioni. Bisogna combattere i movimenti anti-vaccino in modo intelligente e per evitare che i movimenti anti-vaccino influiscano sullo sforzo che si sta facendo per combattere i COVID 19. La nostra società ha la forza di opporsi alla disinformazione, ma ci deve essere un comun modo di sentire tra scienza e media che attenui le asimmetrie tra Società e Scienza.
Un ulteriore passo della Scienza è quello di chiarire quali sono i concetti che sono alla base dei processi predittivi. Come per la meteorologia abbiamo raggiunto un buon livello di predicibilità, anche per le epidemie dovremmo raggiungere un buon livello di predicibilità fornendo non solo lo stato della futura epidemia, ma andando a scavare nel rumore dei numeri. Dovremmo anche pensare a estrarre migliori informazioni di quelle che abbiamo, utilizzando le tecniche che si adottano per la gestione dei Big Data. Allo stesso tempo sarebbe bene tracciare anche una road map nazionale sullo sviluppo dei vaccini e dei farmaci anti COVID 19, visto che ogni nazione tenterà in primo luogo di salvaguardare i propri cittadini.
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