La malattia mentale, l’assenza di peso nel campo dell’informazione. Non se ne parla o non se ne vuole parlare, e chi c’è nato si nasconde. Il World Mental Health Day, il giorno dedicato ai folli, è trascorso da pochissimo e non ha aperto dibattiti. Mentre scrivo, accanto a me ci sono scatole su scatole: antidepressivi, sedativi, sonniferi, antipsicotici, la mia terapia quotidiana. Ma gli amici si eclissano, non mi domandano mai nulla. Rispetto? Timore? Orgoglio e dignità, come nella celebre scena del centro d’igiene mentale di Massimo Troisi? Invece i consigli, mai richiesti, fioccano: ma una tisana al tiglio non aiuterebbe? Una passeggiata in centro, forse? Magari un gelato con un amico? Immagino che il buon Franco Basaglia non sedasse i suoi pazienti con i filtrofiore Bonomelli, ma gli sconosciuti si sentono in dovere di dire la propria, facendoci oltretutto passare per autentici fessi. Perché avvelenarsi con decine di pillole quando mezz’ora di yoga mattutino o una centrifuga al sedano possono curare ogni male? Sciampiste ed estetiste, complice il lungo tempo di posa di molti trattamenti di bellezza, hanno un rimedio per tutto. Io parlo il meno possibile, evitando la questione. Ignoranza e arroganza cominciano a pesare. La depressione è nota, ma cos’è la mania?
L’articolo vi ricorderà il mio editoriale sul quarantennale dell’abolizione dei manicomi in Italia. Parlerò di noi e di voi generalizzando in matti e normali; i lettori capiranno. E parlerò della mania, comune a schizoidi, schizofrenici, bipolari. Una mania che non ha sfumature, è bianca o nera, positiva o negativa. Paranoia, nevrosi, ossessione: comunque la si chiami ha tratti caratteristici che molti ignorano. I più ne scambiano i sintomi per un banale caratteraccio, isolandoci.
L’inappetenza. L’assoluta mancanza di appetito è una caratteristica tra le più bizzarre nella mania. Quando la mente corre a perdifiato e le idee si fanno sempre più fitte non mi tenterebbero neppure una fetta di torta al cioccolato, una bella carbonara verace, la creazione pluripremiata di uno chef stellato. I miei amici, anche quelli a dieta, confessano che a poche ore dal pranzo lo stomaco brontola e reclama uno spuntino. Qualcosa in noi matti ci tiene in forze, ma è un qualcosa a cui neppure gli psichiatri sembrano saper dare un nome. L’idea di mangiare non mi sfiora la mente, anzi: il pensiero di portarmi alla bocca qualcosa di solido mi dà una lieve agitazione. Mangiare richiede pazienza, pranzi e cene sono rituali. Quando sono in compagnia e la fase maniacale si acuisce, fingo di aver mangiato troppo a pranzo e di preferire un tè caldo, col quel tanto di miele che basta a non farmi svenire sfinita. Nella speranza, ormai forse vana, che nessuno colga la causa imbarazzante della mia inappetenza, che così come è venuta se ne va in qualche giorno. La grande abbuffata è poi d’obbligo. (Mentre scrivo è ora di cena, l’ennesima cena saltata. Non preoccupatevi per me: mi reggo perfettamente in piedi. Per ora.)
Flusso ininterrotto di pensieri. Questo tratto della mania può ingannare: ognuno di voi crederà di averlo provato, magari in una notte insonne o per aver perso il lavoro. Ma questo è diverso. Non è angoscia, non è felicità: sono giochi di parole, idee, appunti di lavoro. Siamo vigili, ma non agitati. La mente balza da un pensiero all’altro senza tregua, pensieri che cullerebbero chiunque altro in un piacevole sonno. Potremmo non dormire per giorni, trascinati dalla corrente di ossessione in ossessione. Che indosserò domani? A che ora telefonerò all’amico per invitarlo al cinema? E che film vedremo? Quisquilie; nulla che terrebbe sveglio il normale.
Eloquio rapido. Se quel che dico in fase maniacale venisse trascritto sarebbe un flusso di coscienza, una veglia per Finnegan. Il tono si fa stentoreo: inizia quel che i miei genitori, affettuosamente, chiamano il comizio o lo sproloquio. Freddie Mercury cantava Don’t Stop Me Now, e non c’è proprio alcun rischio che qualcuno mi freni. Non ascolto nessuno, ma parlo fino allo sfinimento. Se il malcapitato al mio fianco mostra segni di cedimento, io non desisto. La mia voce chiara e quasi priva di inflessioni, da doppiatrice rende il discorso ancora più strambo. Ingenui e inesperti mi bollerebbero come una chiacchierona tra le tante, ma il filo conduttore del mio monologo, magari impercettibile, è indomabile e bizzarro. Quando l’antipsicotico agisce mi spengo, accoccolandomi sul divano e addormentandomi beatamente. Chi mi circonda tira un sospiro di sollievo: la pausa è più che meritata. I miei argomenti preferiti? Il comunismo, il glam rock, il made in Italy. Non menzionateli mai in mia presenza o sarete costretti a sorbirvi un sermone altrimenti evitabile.
Convinzioni errate. Il foglietto illustrativo degli antipsicotici nati per sedare bipolari e schizofrenici menziona curiosamente convinzioni errate, talvolta sospettosità ingiustificate; inutile indorare la pillola: sono manie di persecuzione di diversa intensità. Siamo convinti che qualcuno ci segua, che il nostro vicino di tavolo al ristorante ci odi, che quel passeggero sul treno ci stia fissando. Ricordarci con garbo che è soltanto uno sgambetto della mente, che nessuno ce l’ha con noi vale poco o nulla. Si ritorna al punto dell’eloquio matto e disperatissimo, questa volta mirato al disgraziato che, ne siamo certi, ci ha preso di mira. Se non facesse piangere, sarebbe quasi divertente.
Scarsa concentrazione. Questo semplice pezzo ha richiesto una settimana e uno sforzo notevole. Qualsiasi attività che preveda più di cinque minuti di attenzione mi spaventa. Leggere un libro, un articolo in un’altra lingua, la riflessione di un amico su Facebook diventa impossibile. Qualsiasi stimolo esterno ci è di intralcio. Non vedo già l’ora di alzarmi dalla sedia e riordinare l’armadio, cancellare lo spam nell’inbox, fare due passi. Tragico per chi come me, prima dell’insorgere della malattia, trascorreva ore tra i libri. Tragico per una studentessa modello ridotta a marionetta e ormai succube di un male oscuro. Guardo la mia collezione di romanzi e saggi di Philip Roth, Aldous Huxley, George Orwell e il dolore mi serra lo stomaco. Quando riuscirò a riaffrontarli con costanza?
Manie di grandezza. La mania ci rende invincibili. Non dormiamo e non mangiamo, siamo pura energia. E la vita è bella, il mondo ha colori vividi. Tutti ci amano, e a ragione. Siamo belli, brillanti, ben vestiti. Non sappiamo cosa vogliamo ma sappiamo come ottenerlo, nelle parole dei Sex Pistols. La convinzione di essere migliori del prossimo è adrenalina. Raramente, però, questo stato dura a lungo. Nel mio caso, ho avuto tre mesi di grazia: grande produttività, ottima forma fisica e un sorriso smagliante impossibile da intaccare. La caduta è poi rovinosa, direttamente proporzionale ai picchi di euforia raggiunti. La depressione si riaffaccia in pochi giorni, vanificando gli sforzi di settimane.
Esibizionismo, ipersessualità e disinibizione. Un tasto doloroso, uno dei lati più invalidanti dei disturbi schizoidi. Filmarsi nudi per soddisfare il voyeurismo degli sconosciuti è rischiosissimo per la carriera, per la psiche, per la potenziale diffusione del video, che al giorno d’oggi ha buone probabilità di diventare virale. Soltanto un grande autocontrollo, che si impara ad affinare negli anni, trattiene dallo svendersi al primo offerente. La società condanna l’oscenità e chiedere aiuto può rivelarsi difficile. La paura di non essere compresi o di essere derisi porta i più a vivere questo aspetto caratteriale inconfessabile tra le pareti di casa, o racchiusi in un mondo virtuale sempre più pericoloso.
La lista potrebbe continuare per pagine e pagine, ma annoierebbe mortalmente i lettori. Questi sette punti basteranno a dare un quadro ben preciso di quanto affolla la mente di un pazzo. Adesso la mania vi sembrerà un pizzico più accessibile e avrete i mezzi per riconoscerla tra la folla, allo stadio, in coda all’ufficio postale. Sentirci compresi, sentirci parte di una comunità rimarrà a lungo la miglior terapia.