Forse non tutti sanno che il 90% dei medicinali, conservati in modo ottimale, possono essere utilizzati un anno oltre la scadenza o anche più. Studi realizzati negli Stati Uniti dimostrano che la data indicata non è un dogma, anche se vi sono delle eccezioni. La data di scadenza di un medicinale indica il lasso di tempo entro il quale è possibile utilizzarlo (purché correttamente conservato fino a tale data). Per legge le industrie farmaceutiche devono stampare sui loro prodotti una data di scadenza, che corrisponde al periodo in cui il produttore garantisce la piena efficacia e sicurezza del farmaco, nonché la presenza del principio attivo del 90% rispetto a quanto dichiarato in etichetta. La data di scadenza garantisce, dunque, la stabilità e la potenza terapeutica del prodotto con una variazione massima negativa del 10%.
Va in ogni caso evidenziato che la degradazione del principio attivo potrebbe essere responsabile della formazione di composti tossici; tuttavia questo rischio deve essere considerato ipotetico (ad oggi, l’unico caso segnalato di tossicità nell’uomo per degradazione ha riguardato la tetraciclina, nel lontano 1963). In ogni casi, ai fini legali, è necessario stabilire un termine di validità entro il quale l’industria produttrice si assuma la responsabilità circa la qualità del prodotto e, tanto, sulla base dei dati in suo possesso relativi alla stabilità del farmaco. Oltre la sua data scadenza, l’industria non garantisce e non ha né un obbligo né, talvolta, un interesse a testare l’efficacia e la sicurezza del farmaco su orizzonti temporali più lunghi. C’è però chi i test li ha fatti. La Sanità Militare risulta particolarmente sensibile al problema per via delle ingenti quantità di farmaci conservate e pronte all’uso in caso di conflitto che devono essere regolarmente sostituite ogni 2-3 anni.
La Sanità Militare americana, quindi, quantifica la spesa legata al turnover dei farmaci nell’ordine del miliardo di dollari. Per questo motivo, nel 1985 la FDA (Food and Drug Administration) intraprese un programma di test sull’efficacia dei farmaci scaduti allo scopo di aumentare la durata dello stoccaggio dei farmaci (Shelf Life Extension Program). I risultati ottenuti mostrarono che circa il 90 % di quelli testati (circa 100) erano sicuri ed efficaci molto al di là della data di scadenza, in alcuni casi anche dopo 15 anni.
Viene da chiedersi, quindi, se la data di scadenza non sia un escamotage delle case farmaceutiche per indurre gli utilizzatori a rimpiazzare periodicamente i medicinali conservati. Tuttavia, un’altra chiave di lettura è che attraverso la data di scadenza, le case farmaceutiche garantiscono che il prodotto e le sue potenzialità valgano il 100% il denaro speso per comprarlo e che la sostituzione periodica dei medicinali scaduti garantisca le formulazioni più avanzate. Le aziende farmaceutiche, infatti, continuamente impegnate in programmi di miglioramento del prodotto, modificano spesso le confezioni. Ogni cambiamento obbliga a condurre nuovi test sulla data di scadenza, per cui sarebbe impraticabile, per l’industria, realizzare controlli oltre i 4 anni.
Detto ciò è comunque difficile trarre conclusioni sulle medicine che abbiamo in casa, perché ovviamente molto dipende dalle condizioni in cui i farmaci vengono conservati. Per esempio, alte temperature o umidità possono accelerare il processo di degradazione. I farmaci in soluzione e in sospensione costituiscono, invece, un caso a sè, in quanto, generalmente meno stabili. In questi casi bisogna prestare attenzione se la soluzione abbia cambiato colore oppure se si siano formati dei precipitati. Non consigliamo certo di usare farmaci scaduti, ma se ci rendiamo conto di aver preso un antidolorifico oltre la data indicata sulla confezione non bisognerà drammatizzare: nel peggiore dei casi funzionerà meno.