Esiste un documento inequivocabile redatto nel 1749 dal col. O. Warren, comandante delle piazzeforti granducali, in cui scrive al Granduca di Toscana: “[…] si comunica al forte Belvedere dal palazzo de’ Pitti per mezzo di una galleria sotterranea. Si educavano in questo palazzo i principi della casa de’ Medici”. Ci sono i custodi del forte Belvedere che si tramandano da secoli qual è il muro che ostruisce l’ingresso della galleria. Se non bastasse, c’è la logica: Ferdinando I, che abitava nel palazzo dei suoi genitori, si era fatto costruire il forte per motivi di sicurezza, come rifugio in caso di rivolta popolare, per avere una via di fuga, in caso di epidemie, per poter accedere in ogni momento alla Camera del Tesoro scavata nella pietra forte su cui è stato eretto il forte.
Dunque, un proseguimento del corridoio vasariano che collega gli Uffizi al forte passando per palazzo Pitti. Ed ancora, se la terza porta del forte, quella rivolta verso palazzo Pitti, è una finta entrata in quanto ostruita dalla roccia, significa che i Medici accedevano al forte non dagli altri due ingressi, ma dal loro passaggio sotterraneo. Nel giugno 1991 avremo la conferma dallo studio Geotech di Genova che esattamente sotto la falsa porta esisteva un vuoto sotto terra. Ci recammo allora dal Soprintendente Domenico Valentino. Nonostante La Repubblica avesse pubblicato due articoli su due pagine sulla “scoperta” della galleria, scoprimmo che il Soprintendente leggeva un altro quotidiano in quanto era all’oscuro della raccolta di relazione fatte dal Warren e perfino della memoria storica di un suo custode del giardino di Boboli, che ci aveva indicato la pietra circolare che copre una botola che immette nella galleria dall’alto. Prospettammo a Valentino di utilizzare il Gruppo Speleologico fiorentino per ispezionare la galleria è così stabilire i due punti di sbocco. Valentino obiettò di non avere un budget per questi “lavori straordinari”. Quando gli ribattemmo che quei giovani fiorentini sarebbero stati lieti di fare qualcosa per la loro città, ci rispose che c’era bisogno di un mezzo meccanico per sollevare quella pietra di 70 cm di diametro e che in ogni caso non poteva autorizzare un civile ad entrare là sotto senza un’assicurazione. Quando replicammo che quei volontari avevano l’attrezzatura e l’assicurazione, ci rispose che non poteva autorizzare quel sopralluogo. Spazientiti, gli chiedemmo se non era curioso di vedere cosa c’era là sotto e lui ci rispose: “Un funzionario dello Stato non deve essere intellettualmente curioso ma far rispettare le leggi”.

Nel 1996 consegnammo a Roma nelle mani del sottosegretario ai beni culturali Alberto La Volpe tutta la documentazione e gli originali dei rilievi geologici del 1991. Davanti al silenzio ministeriale, ci rassegnammo a scrivere una lettera ad ogni nuovo sovrintendente o sindaco di Firenze in quanto nel frattempo il forte era passato dal demanio al Comune. Con nostra sorpresa, il primo funzionario a risponderci fu il neo sindaco Matteo Renzi, al quale avevamo rimproverato di aver definito galleria medicea quel passaggio tra via Ginori e via Cavour che corre lungo il muro esterno del palazzo Medici Riccardi. Gli obiettammo di aver fatto spendere alla Provincia più di € 300.000 quando per molto meno si poteva restaurare un manufatto del 1600 sulla riva sinistra dell’Arno. Renzi, entusiasta, ci fissò subito un appuntamento con il suo capo gabinetto. La dottoressa Lucia De Siervo ci gelò subito dicendo che era romana, che non sapeva niente di Ferdinando I, che non aveva mai visto la Camera del Tesoro dei Medici o la finta porta. La nostra esposizione del materiale probante l’esistenza di quel passaggio sotterraneo e degli enormi vantaggi che sarebbero derivati alla città dall’abbattimento di quei due muri non fu abbastanza convincente, perché dal 2009 non siamo più stati chiamati da Palazzo Vecchio. Eppure era evidente che la riapertura della galleria avrebbe valorizzato il forte, in parte ancora inesplorato, avrebbe decongestionato il complesso monumentale sulla riva destra dell’Arno, specie se si fossero trovata quella via di fuga, che esiste in ogni fortezza, e che qui non si sa se va verso la campagna, ovvero verso l’altra proprietà medicea della villa del Poggio imperiale o verso la Fortezza da Basso.
Nel 2015 e 2016 scrivemmo al neo-direttore del complesso museale Uffizi-Palazzo Pitti-giardino di Boboli, il dottor E. Schmidt. Non avendo ricevuto risposta alle nostre e-mail, ci rivolgemmo ad un’altra figura istituzionale la quale scrisse al direttore Schmidt. Questi fu costretta a rispondere nel merito mettendo in luce la sua scarsa conoscenza della lingua italiana e della storia di Firenze. Infatti, secondo Schmidt: “Al contrario di quanto affermato dal Sig. (sic) Paoletti, effettuare lavori di scavo (?) sotto il Giardino sarebbe molto oneroso per la presenza costante di roccia, che a certe profondità emette il gas radon di alta cancerogenicità (sic), altro elemento che renderebbe molto difficile e costosa la ricerca (?) di un tunnel e, qualora venisse rinvenuto, ne precluderebbe l’uso. Si ritiene, quindi, che la supposizione dell’esistenza di un tunnel di collegamento tra Palazzo Pitti e Forte Belvedere possa essere nata da un fraintendimento dovuto proprio alla presenza di una serie di canali impraticabili e spesso creati dall’erosione delle vene di acqua, assai abbondanti sotto il Giardino”.

Il 6 aprile 2017 mostrammo alla direttrice del giardino di Boboli la copertura della botola che secondo il custode Cecchi immette nel tunnel. Oggi siamo venuti a sapere che nel luglio scorso la pietra venne sollevata e mise in luce una scala in pietra che immette in un ambiente probabilmente chiuso. Il direttore Schmidt, informato della cosa, ha posto subito il divieto all’ispezione interna, immaginiamo a causa della supposta presenza di gas radon. Inspiegabilmente non ha chiesto di verificare dall’esterno, esaminando la curvatura dello scavo superiore al lato delle due vasche, se l’ambiente sotterraneo poteva proseguire fino al vuoto sotterraneo riscontrato nel 1996 dalla Geotech davanti alla finta porta. Il supposto pericolo del gas radon non sussiste per due semplici ragioni. La prima è evidente: la galleria non è scavata nella roccia ma si appoggia per un lato ad essa. Infatti a pochissimi metri dalla pietra di copertura della botola cominciano gli scalini che portano alla prima vasca: vuol dire che la galleria corre lungo lo scavo della pietra forte utilizzata per la costruzione di Palazzo Pitti e del forte Belvedere. In secondo luogo la galleria è stata usata per circa 150 anni dai principi medicei e lorenesi e non risulta che qualcuno di loro sia morto di cancro ai polmoni. Pensiamo che la concentrazione di radon nella galleria medicea sia eguale a quello della galleria palatina. Temiamo che l’inopportunità espressa dal direttore di studiare il percorso della galleria significa che Schmidt non è disposto a ricredersi, anche se effettivamente quella botola porta ad un tunnel troppo grande e asciutto per essere un canale per il le acque reflue o prodotto “dall’erosione dell’acqua”.
Sono occorsi 26 anni per sollevare quella pietra; da sei mesi viene nascosto alla città che la botola porta ad un tunnel. Ora sappiamo che Schmidt non vuole sconfessare il col. Warren. Oggi sappiamo che finché il direttore Schmidt non si trasferirà a Vienna, niente si farà per restituire alla città la sua galleria medicea. Per questo occorre che intervenga il Comune, il quale, praticando un foro di 1 cm nel muro può introdurvi una sonda che misuri l’ampiezza del tunnel. Il muro nel sottosuolo del forte a noi fu indicato nel 1991 dal custode Sergio Marchini, fu visto qualche anno fa dal giornalista Marco Hagge del Tg3. Ci auguriamo che il Sindaco voglia approfittare della nostra offerta a costo zero: ci mettiamo noi il trapano e la sonda ottica.
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