Da sette anni non viveva più nella sua Napoli. Ora Francesca Santoro, ingegnere biomedico di 31 anni, ci è tornata a testa alta. In mano ha un progetto di ricerca e un finanziamento che le permetteranno nei prossimi 5 anni di mettere a frutto il lavoro fatto durante la borsa di studio a Stanford. Il suo progetto ha qualcosa di visionario: un “cerotto fotovoltaico” realizzato con una sostanza hi-tech che, trasformando i raggi solari in impulsi elettrici, sarà in grado di far rimarginare più velocemente una ferita.
Potrà diventare realtà grazie a un finanziamento dell’IIT, l’Istituto Italiano di Tecnologia, che ha creduto in Francesca Santoro e le ha fornito un budget da gestire in autonomia, a partire dalla scelta dei componenti dello staff. Che avrà casa a Napoli. Un ritorno possibile anche grazie a ISSNAF, la fondazione degli scienziati italiani che lavorano in Nord America. «Sono associata a ISSNAF e tramite essa mi è arrivata la notizia della Tenure Track bandita da IIT – racconta Santoro –, un bando rivolto a ricercatori che possono presentare dei progetti di ricerca che, se ritenuti interessanti, vengono finanziati promuovendo a professori i ricercatori».
La storia di questa ingegnere parte dalle pendici del Vesuvio e arriva alla Silicon Valley. «Ho studiato all’Università Federico II di Napoli laureandomi in ingegneria biomedica nel 2010 – racconta –. Nel 2011 sono volata ad Aachen, in Germania, dove ho conseguito un dottorato in ingegneria elettronica e IT, grazie a una borsa di studio triennale. Dopo aver conseguito il dottorato nel 2014, sono arrivata alla Stanford University, in California, con un post-doc al dipartimento di Chimica, prima grazie a una borsa di studio tedesca, poi con un progetto di ricerca Usa. In California sono rimasta dall’ottobre 2014 alla fine di giugno 2017». Il campo di ricerca è quello della bioelettronica, delle organ-machine interfaces e dello sviluppo di microchip da impiantare nel cervello o nel cuore.
Poi la partecipazione al bando Tenure Track dell’IIT: un modello di selezione mutuato da Harvard che prevede che il reclutamento dei ricercatori avvenga mediante una valutazione condotta esclusivamente da panel di esperti esterni. Una volta selezionato, il ricercatore ha a disposizione un certo numero di anni – da 5 a 10 anni – per dimostrare di poter condurre in autonomia un programma di ricerca di alto livello nel suo settore. In questo periodo è responsabile dei suoi collaboratori e del suo budget di ricerca.
«È un concetto molto americano – spiega Santoro –. Dopo il post-doc, i ricercatori hanno la possibilità di diventare docenti a tempo, guidando un gruppo di lavoro indipendente con un proprio progetto, che viene valutato dall’istituzione. Vincendo, si ha la possibilità di gestire in autonomia un budget con un livello di indipendenza che non si riscontra nelle università italiane, se non si è un professore ordinario. Ho partecipato da sola: ho inviato il mio curriculum e l’elenco delle pubblicazioni, passato un primo screening e tenuto un colloquio a Roma. Il mio progetto è risultato vincitore e potrò svilupparlo per cinque anni in un laboratorio a Napoli, con uno staff costruito da me».
Ma in che cosa consiste il progetto? «Si tratta di sviluppare un nuovo sistema fotovoltaico – racconta Francesca Santoro –, in pratica un mini pannello solare che si può posizionare su una ferita o su una bruciatura della pelle. I raggi del sole vengono convertiti in impulsi elettrici che possono stimolare la ricucitura della pelle, rendendo più veloce il processo di rimarginazione della lesione». Il “pannello” ovviamente non è rigido ma, come spiega la ricercatrice, «bisogna immaginare piuttosto un bendaggio di un materiale plastico flessibile, come una sorta di film ma biocompatibile». A lavorare su questa idea avveniristica sarà uno staff internazionale. «Sono molto contenta di essere tornata a Napoli per fare ricerca con lo stile di lavoro che applicavo negli Usa, e di poterlo fare con un mindset aperto – commenta la ricercatrice –. Io penso che ISSNAF debba occuparsi anche di questo: non solo aiutare gli italiani che vogliono andare in Nord America per lavorare nella ricerca, ma anche aprire ponti nella direzione opposta».
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