Mozia, 24 settembre, una giornata come le altre, solo apparentemente. Le piccole imbarcazioni oggi sono a disposizione del pellegrinaggio mediatico, infatti, l’isola è chiusa al pubblico per ricevere giornalisti e critici provenienti da tutto il mondo per incontrare l’artista e vedere Help – L’Età della Plastica, installazione site specific, ideata dall’artista Maria Cristina Finucci, ospitata dalla Fondazione Whitaker e resa possibile grazie al generoso apporto della Fondazione Terzo Pilastro-Italia e Mediterraneo, aperta al pubblico dal 25 settembre fino all’8 gennaio 2017.
Ad accoglierci nella sala del Giovinetto, presso la Fondazione Whitaker, nell’isola di Mozia, l’artista Maria Cristina Finucci, Emanuele F.M. Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Italia Mediterraneo, istituzione non profit che ha finanziato l’installazione, Antimo Cesaro sottosegretario del MIBAC e, a fare gli onori di casa per la Fondazione Whitaker, Sebastiano Tusa, sovrintendente del Mare della Regione Siciliana.
La solare Maria Cristina Finucci, ci rende partecipi del suo progetto transmediale, Wasteland, The Garbage Patch State, all’interno del quale si snoda la monumentale installazione di Mozia, premessa indispensabile per la comprensione dell’opera che l’artista fa dietro la bandiera del GPS, simbolo che identifica il neonato stato federale, da lei fondato e presieduto nel 2013, che svetta orgogliosa alle spalle di uno dei più bei reperti archeologici di età classica esistenti al mondo: il Giovinetto di Mozia.
Help – L’Età della Plastica, è un’installazione site specific che si estende per circa 1.500 metri quadrati, nella meravigliosa isola di Mozia, situato nello Stagnone di Marsala, proprietà della Fondazione Whitaker. L’opera si colloca vicino al santuario fenicio-punico di Cappiddazzu, dell’inizio del VII secolo a.c.: l’Età del ferro conversa con l’Età della plastica, scrivendo le pagine di un immaginario trattato sull’archeologia del passato e una possibile archeologia del futuro. L’opera costituita dall’assemblaggio manuale di oltre 5.000.000 di tappi colorati riciclati, grazie all’impegno dell’Università Roma Tre e dell’Università degli Studi di Palermo, racchiusi in sacchi a rete di plastica e a loro volta contenuti in gabbioni metallici che definiscono la forma delle singole lettere che compongono la parola Help, grido disperato dell’artista che dall’isola siciliana, si rivolge al mondo. Percorribile di giorno dai visitatori dell’isola, visibile a tutti coloro che si trovassero a sorvolare l’isola di notte, grazie al progetto illuminotecnico dell’opera.

Fermiamoci a pensare e assecondiamo l’artista: immaginiamoci visitatori extraterrestri, percorrere uno spazio una volta abitato da gente come noi, immedesimiamoci nei panni di un archeologo del futuro sbarcato sull’isola in cerca di tracce, di moventi di questo suicidio collettivo che hanno portato la civiltà terreste all’estinzione; e, quando troveremo solo plastica, capiremo quanto un gesto quasi meccanico per molti, inavvertito per altri, a lungo termine, abbia conseguenze devastanti sull’ambiente che per definizione dovrebbe avvolgerci, ma stiamo asfissiando con la nostra incuranza.
Entriamo all’interno del Museo G. Whitaker, dove l’artista affianca ai reperti archeologici fenicio-punici i corrispettivi reperti spettanti alla nostra civiltà della plastica, i vasellami in terracotta interagiscono con i resti di bicchieri e piatti di plastica, e le monete antiche con la carta di credito plastificata. Pensiamoci: è solo così che vogliamo essere ricordati? Siamo responsabili di questo disastro? Come si arresta questo processo di autodistruzione?
Se ci porremo queste domande l’artista avrà scelto bene la sua strategia di rappresentazione, infatti, come afferma Ai Weiwei, in una delle tante dichiarazioni in merito al suo lavoro: “Per un artista le possibili rappresentazioni di un problema sono infinite, l’artista sceglie il processo d’identificazione che gli è più consono, al fine di creare empatia, solidarietà e coinvolgimento intellettuale da parte di chi osserva”.

Se guardassimo a Help, come la capitale del Garbage Patch State, e ai suoi 5.000.000 di tappi come gli abitanti di questa affollatissima megalopoli, staremo osservando la città più popolosa d’Italia, una delle più popolate d’Europa, più di Parigi. Help sarebbe soltanto una città del vastissimo Patch State, fondato e riconosciuto dall’ONU nell’aprile del 2013 dall’artista italiana Maria Cristina Finucci, come corrispettivo visivo, realtà metafisica delle cinque enormi isole di plastica fluttuanti nel bel mezzo dell’oceano Pacifico, 16.000.000 di chilometri quadrati di detriti in standby, waiting for Godot, in attesa di bonifica, semmai una tale impresa fosse possibile o concepibile. La succulenta “plastic soup”, concreta poltiglia formata da frammenti di plastica, si stima abbia una concentrazione di 46.000 pezzi per miglio, ci ricorda la Finucci, particelle microscopiche che in proporzione al plancton sono in ragione di 6 per 1 (una parte di plancton per 6 di plastica), che i pesci ingeriscono e che indirettamente arriva sulle nostre tavole incidendo sulla catena alimentare dell’intero pianeta. Questo volendo mettere l’accento solo su uno dei tanti problemi causati dall’abnorme mostro marino fatto di bottiglie, bicchieri, ciabattine e altri oggetti di plastica dimenticati, in poco più di sessant’anni, in riva al mare, e che l’oceano per uno strano gioco di correnti ha concentrato e ci ha restituito finemente centrifugati in questo punto preciso dell’Oceano Pacifico. Peccato che il punto sia ormai una gigantesca realtà, di poco più piccola della Federazione Russa, ma che minaccia di raggiungerla in estensione se non sensibilizziamo l’opinione pubblica a questo problema. Più chiaro di così…
In una società ormai abituata a vivere nell’attesa del brevissimo termine, parlare di migliaia di anni allontana il problema, rendendolo un fardello di cui le future generazioni dovranno farsi carico, gli scienziati possono sempre scrivere denunciando il problema, nessuno prende il tempo di leggere, è a quel punto che l’arte diventa incisiva. Grazie al linguaggio visuale che sappiamo essere non vero, ma non del tutto falso, l’artista irrompe nella nostra normalità con la sua sfacciata urgenza, l’arte riesce, quando l’intelligenza e l’acuità dell’artista arrivano a farla palpitare, a farci fermare a riflettere su un problema, a pensare alle probabili conseguenze e alle possibili soluzioni. È questo che dal 2013 si propone con il suo progetto Wasteland, The Garbage Patch State, l’architetto e artista Maria Cristina Finucci.

Da anni, con grande efficacia, Finucci costruisce e anima installazioni, performance, sculture, fotografie, video, workshop. Grazie ad accordi con enti pubblici e privati e collaborazioni con le maggiori università italiane, si forma una fitta rete di persone e istituzioni che agiscono a tutti i livelli della scala sociale, che si fanno portatori e attori, quindi non più semplici spettatori, costituiscono un’enorme cassa di risonanza per questa presa di coscienza, fiume in piena che dall’arte sfocia ancora una volta nell’immenso mare della coscienza collettiva. Grazie a Maria Cristina Finucci questo problema planetario ha ormai un volto o meglio un riscontro visivo, se preferiamo: il GPS, popolato da mostri marini deformi che, usciti dal neonato stato federale, ne hanno abitato il padiglione della Biennale di Venezia dello stesso anno, hanno sfacciatamente occupato lo spazio antistante il Palazzo di Vetro, irrompendo fino all’ingresso della sede dell’ONU, a New York nel 2014, per poi arrampicarsi per le scale dello splendido Palazzo Potocki a Parigi durante la COP 21, conferenza sul clima delle Nazioni Unite del 2015.
Qui a Mozia, gli abitanti del Garbage Patch State lanciano un messaggio rivolto all’umanità, un grido d’aiuto che oggi prende corpo, si fa segno intellegibile da tutti con l’opera “Help- L’età della Plastica”.
Abbiamo chiesto a Paola Pardini, direttrice del Progetto, cosa bolle in pentola a Wasteland, e ci ha anticipato che sono previste una serie di performance che coinvolgeranno il pubblico, la prima a ottobre dove si griderà un “Help” collettivo che da Mozia raggiungerà il mondo, veicolato dalla forza cosmopolita di questa splendida iniziativa.