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November 17, 2013
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Le vittime del tifone nelle Filippine potevano essere salvate

Rodolfo GuzzibyRodolfo Guzzi
Time: 4 mins read

Alle ore 1800UTC del 5 novembre il tifone Haiyan, Yolanda per i filippini, ha investito l’arcipelago delle Filippine, raggiungendo il 6 novembre un’intensità tale da essere catalogato come super tifone, uccidendo circa 4000 persone e distruggendo tutto al suo passaggio, tanto che circa 11 milioni di persone sono rimaste senza casa, in particolare nelle isole Samar Island e Leyte.

Il tifone è un ciclone tropicale maturo che si sviluppa nella parte occidentale dell'oceano Pacifico del nord tra 180° e 100 ° Est, conosciuta come il bacino a nord-ovest del Pacifico. Il centro meteorologico regionale specializzata per le previsioni dei cicloni tropicali sta in Giappone. Altri centri che servono per l’allerta dell’arrivo del ciclone tropicale per il Pacifico nord-ovest stanno a Honolulu (Joint Typhoon Warning Center), nelle Filippine e a Hong Kong. Ogni paese indica i tifoni con un proprio nome.

Ci sono sei principali requisiti per la formazione e lo sviluppo di un tifone: che ci sia una temperatura superficiale del mare sufficientemente calda; un’instabilità atmosferica; un’alta umidità tra i livelli più bassi e quelli a media quota della troposfera; una forza di Coriolis abbastanza forte, cioè una forza di deflessione che sviluppi un centro di bassa pressione; una depressione in una zona di convergenza intertropicale o un’onda tropicale o un ampio fronte con sufficiente vorticosità; un basso wind shear verticale, cioè una variazione improvvisa del vento in intensità e direzione.

L’energia minima che mantiene il ciclone attivo è legata alla temperatura elevata dell’acqua che deve essere sopra 26.5 gradi. In generale, aumenti di vento da ovest, connessi con l’oscillazione Madden-Julian portano ad aumentare la ciclogenesi tropicale in tutti i bacini del ciclone tropicale. L'oscillazione di Madden–Julian (MJO) è un’anomalia che produce una variabilità infra-stagionale (30–90 giorni) nell'atmosfera tropicale. È un accoppiamento su larga scala tra la circolazione atmosferica e la convezione profonda tropicale.

I cicloni tropicali sono suddivisi in una scala d’intensità che va da depressione tropicale a tempesta topicale, da tempesta tropicale severa a tifone. Analogamente fa la scala Saffir-Simpson che però distingue gli uragani che eccedono in intensità le tempeste severe in cinque altre categorie.

Il 2 novembre, il Typhoon Warning Center (JTWC) iniziò il suo monitoraggio di circa 425 km a est sud-est di Pohnpei, uno degli Stati federati della Micronesia. L’agenzia Meteorologica Giappone (JMA) classificò il sistema come una depressione tropicale. Con la successiva intensificazione JMA aggiornò il sistema come tempesta tropicale e gli assegno il nome di Haiyan. Il 5 di novembre iniziò a svilupparsi un denso corpo nuvolo al cui centro vi era l’occhio del ciclone. Il 6 novembre, l’Amministrazione Filippina dei Servizi Atmosferici, Geofisici e Astronomici (PAGASA) assegnò al ciclone il nome di Yolanda. Nel frattempo il JTWC aveva  stimato che la tempesta aveva raggiunto lo status di tifone 5 equivalente alla  categoria di super tifoni nella scala degli uragani di Saffir–Simpson con venti a 315 km/h e raffiche fino a 378 km/h.

Durante il 2013 delle Nazioni Unite Conferenza sul clima, si è dibattuto se l’intensità dei tifoni era direttamente correlata al global change. Le analisi hanno mostrato una tendenza che correla positivamente l'intensità crescente delle tempeste con l'inizio del riscaldamento globale.

Nonostante l’allerta, tante persone sono morte e molte di più sono rimaste senza casa.  Ogni volta che accadono questi eventi catastrofici, ci si domanda se si può fare qualcosa per evitare queste sciagure? Certo non è possibile bloccare un tifone, ma è possibile dare un allerta in modo che le persone si possano salvare. Eppure accadono questi eventi sciagurati. Allora la prima cosa da domandarsi è se siamo preparati a fronteggiare le grandi catastrofi naturali?

Se c’è stata una cura del territorio, se si fatte delle infrastrutture e delle case adeguate agli eventi, allora possiamo dire che siamo preparati, in caso contrario questi eventi diventano distruttivi.

Gli esempi purtroppo si sono susseguiti. In un paese all’avanguardia nelle costruzioni sismiche come il Giappone, gli edifici hanno retto al terremoto, ma la centrale di Fukushima non ha retto al successivo Tsunami. Le onde del mare hanno superato le barriere poste a baluardo del sistema ausiliario di refrigerazione dei reattori che sono stati gravemente danneggiati. Il riscaldamento del nocciolo non è stato fermato per cui ci sono stati gravi rilasci di radioattività in atmosfera e nel mare.  Chi aveva predisposto barriere più alte, come a Fudai, è sopravvissuto.

All’Aquila le case che sarebbero dovuto essere costruite secondo criteri antisismici sono crollate e parecchie persone sono morte. Lo stesso è accaduto in Emilia e Romagna, a Haiti o in altri paesi in cui c’è stato un terremoto.

I danni alle persone e alle cose possono essere prevenuti purché il territorio sia a norma, purché non prevalga la speculazione. Non basta dare un’allerta per salvare vite umane, bisogna che le case e le infrastrutture sia adeguate agli eventi catastrofici che abbiamo e dovremo subire. La scienza non è in grado di prevedere ancora i terremoti, ma sa come costruire case e infrastrutture antisismiche. Non sa ancora fare una previsione sull’intensità delle eruzioni vulcaniche, ma sa come fare per evitare che i manufatti siano preservati.  Sa prevedere i tifoni e le alluvioni e sa anche come fare per evitare che ci sia un danno alla popolazione.

Dall’Indonesia all’Italia, da Haiti e al Giappone, dalle Filippine alle coste americane del Pacifico ci dovrebbe essere una richiesta comune per tutelare prima di tutto la vita costruendo strutture adeguate. Dobbiamo aspettare il prossimo tifone, il prossimo terremoto, la prossima alluvione o forse un’eruzione vulcanica che potrebbe, forse, avvenire sul nostro territorio, ad esempio a Napoli, per piangere, ancora una volta, tanti morti, per nostra negligenza e per effetto della speculazione sul territorio, senza aver messo in sicurezza prima di tutto la vita delle persone?

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Rodolfo Guzzi

Rodolfo Guzzi

Nato e cresciuto a Torino, mi sono laureato in Fisica a Bologna. All’inizio della mia carriera sono stato all’Imperial College a Londra, poi in altri centri di ricerca, tra Germania, Olanda e Boston. Sono, per il Ministero della Università e Ricerca (MUR), il Presidente del Comitato di valutazione dei Piani Triennali degli Enti di Ricerca, dei programmi Bandiera e dei Progetti di Interesse Nazionale. Sono Presidente del Comitato Tecnico Scientifico di Space Italy, un consorzio nazionale per lo sviluppo delle tecnologie Spaziali. Sono stato insignito dalla Accademia dei Lincei del Premio Antonio Feltrinelli per la classe di Astronomia, Geofisica, Geodesia e Applicazioni. Sono Accademico Onorario della Accademia Angelico Costantiniana. Sono stato direttore dell’Istituto per le Metodologie Geofisico Ambientali del CNR e direttore dell’Unità di Osservazione della Terra dell’Agenzia Spaziale Italiana. Sono stato nel Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Ho lavorato con il premio Nobel per la Fisica Abdus Salam e con il premio Nobel per la Chimica Paul Crutzen. Insegno Fisica in università in Italia e all’estero. Alle pubblicazioni scientifiche alterno libri di divulgazione, romanzi e favole. Mi piace l’atletica leggera che negli anni '60 ho praticato a livello agonistico. Sono un curioso che si fa coinvolgere in progetti di varia natura che qualche volta diventano concreti, come quello attuale: la matematica applicata alla biologia.

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