In un recente articolo dal titolo: “Welcome to the age of denial” sul New York Times, l’astrofisico Frank Adam, riporta un sondaggio fatto nel 1982 in cui il 44% degli Americani si dichiara Creazionista. Lo stesso sondaggio effettuato trenta anni dopo dava una percentuale del 46%. Nel 1989 un sondaggio sul cambiamento climatico indicava che il 63% degli Americani riteneva fosse un problema. Dopo 25 anni un analogo sondaggio indicava che la percentuale di Americani era diventata del 58%.
Venticinque anni rappresentano il passaggio da una generazione all’altra, almeno in un paese come gli Stati Uniti. Diversamente, in un paese cristallizzato come l’Italia, dopo 20 anni ci troviamo con gli stessi politici e la stessa classe dirigente.
Non è di questo di cui vorrei parlare, pur partendo da quest’articolo, vorrei invece focalizzare la vostra attenzione sulla questione relativa al rapporto tra Scienza e Dio che via via attraversa le pagine dei giornali soprattutto durante l’estate.
Prima di tutto vorrei sgombrare la questione del creazionismo. Nel 2005 fui chairman del congresso tenutosi in Laterano sul tema: L’infinito in Scienza, Filosofia e Teologia. Allora il presidente emerito del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso della chiesa Cattolica era il Cardinale Paul Joseph Poupard, il papa era Giovanni Paolo II, papa Wojtyla. Puppard aveva anche diretto la commissione di revisione del processo a Galileo Galilei, uno dei processi più dirompenti della storia della Scienza. A una domanda di un giornalista sulla differenza tra evoluzionismo e creazionismo, il Cardinale Puppard era stato drastico: la chiesa Cattolica era per l’evoluzionismo.
Recentemente con la scoperta del Bosone di Higgs, nota anche come la particella di Dio, anche se in modo surrettizio, si è riproposto l’interrogativo tra vuoto e nulla. Cosa c’entrano questi due concetti con Dio?
Ogni volta che si tratta di argomenti complessi e che sfuggono alla nostra comprensione come l’infinito, il nulla o il tutto, il vuoto o il pieno, la nascita dell’Universo, la presenza dell’uomo e così via, si cerca di spiegarli come indicatori dell’esistenza di Dio.
La Scienza ha utilizzato dapprima l’approccio della verificabilità, introdotta dalla scuola di Copenaghen, e in seguito l’ha sostituita con il principio della falsificabilità introdotta dal filosofo Karl Popper.
Il criterio di falsificabilità, che non significa imbroglio, afferma che una teoria, per essere controllabile, e perciò scientifica, deve essere “falsificabile”. In termini logici, dalle sue premesse di base devono poter essere deducibili le condizioni di almeno un esperimento che la possa dimostrare integralmente falsa alla prova dei fatti. Se una teoria non possiede questa proprietà, è impossibile controllare la validità del suo contenuto informativo relativamente alla realtà che essa presume di descrivere.
Ritorniamo ora sul concetto di vuoto e nulla. Il vuoto, che per Aristotele era l’assenza di qualcosa, non è vuoto in senso assoluto, perché il vuoto è attraversato dalla radiazione elettromagnetica, da particelle come i neutrini, dal campo prodotto dal bosone di Higgs, etc. Il vuoto ha delle proprietà geometriche nel senso che una massa provoca degli effetti nel "vuoto": crea una curvatura dello spazio-tempo secondo la relatività. Il Nulla è qualcosa di completamente diverso, è la mancanza delle cose esistenti. Quindi non è un luogo fisico ben definito. Il Nulla è la negazione dell'esistente. Il Nulla è la mancanza di tutto: non è un concetto fisico. Nel vuoto agiscono tutte le forze che esistono, nel Nulla non agisce nessuna forza.
Quanto più ci si addentra nella conoscenza dell’Universo che ci circonda quanto più certi concetti si modificano, ma la loro esistenza deve essere scientificamente verificata, pardon falsificata.
Dio non è dimostrabile né indimostrabile, è semplicemente di là delle possibilità conoscitive umane. Non si manifesta a noi come fenomeno sensibile, potrebbe esistere come entità a sé, e quindi relegato al mondo oltre-sensibile, inconoscibile dai sensi.
Se la prova dell’esistenza di Dio si vuol spiegare secondo logica, bisogna aggiungere che l’esistenza è altro dalla logica, non basta immaginarsi una cosa perché questa esista.
Quando si dice che Dio è “causa prima di tutte le cose”, si fa un uso improprio del concetto di causa, apportandolo a una dimensione fuori dal contingente. Per ultimo se si cerca una prova fisico-teologica, questa avrebbe validità solo nell’ambito pratico, e lì non c’è prova dell’esistenza di Dio. La Scienza nulla c’entra: il credere in Dio è quindi solo un atto di fede. In questo mi sento perfettamente Kantiano e per tornare al titolo del New York Times, come il collega, direi di non confondere i piani tra conoscenza e religione e, anche se siamo in tempi bui, la ragione non deve addormentarsi qualsiasi sia la religione che professate.