Aldo Loris Rossi, dice nulla, questo nome? E‘ un architetto italiano, docente di Progettazione Architettonica alla Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli. E’ un allievo di Frank Lloyd Wright, uno dei maestri del Movimento Moderno Architettura. E sarà il marcato accento napoletano, sarà quello che volete, questo signore ottantenne a cui comodamente ne dai una ventina di meno, è di rara simpatia e straordinaria capacità affabulativa. Perché parlare di Aldo Loris Rossi? Perché da anni, inascoltato dai più, la sua è una proposta insieme rivoluzionaria e utopica: dice che bisogna rottamare quella che definisce la spazzatura edilizia post-bellica, senza qualità, interesse storico ed efficienza antisismica. Un qualcosa di ciclopico visto che riguarderebbe almeno 40mila vani costruiti tra il 1945 e il 1975. E però dice che lo Stato riuscirebbe addirittura a risparmiare, se si decidesse di ricostruire tutto secondo criteri come quelli usati in Giappone, piuttosto che cercare di rimediare dopo ogni disastro e terremoto. Sono le parole di un utopista visionario? Sì, perché in Italia chi è capace di prendere una simile decisione? E tuttavia, le cifre, nella loro aridità, fanno pensare. Prendiamo gli ultimi importanti terremoti: Belice, Friuli, Irpinia, Umbria, Abruzzo, Emilia. I costi per la ricostruzione di un chilometro quadrato di area colpita oscillano tra 60 e 200 milioni di euro; il costo medio della ricostruzione di un singolo comune varia tra i 270 e i 1400 milioni di euro; il costo medio per abitante residente nell’area colpita oscilla tra 270mila e i 783mila euro. I costi dei terremoti e dei disastri ambientali tra il 1968 e il 2003 oscillano sui 146 miliardi di euro. Paese estremamente vulnerabile l’Italia, pensate: il 44 per cento del territorio si trova nella condizione di elevato rischio sismico; significa il 36 per cento dei comuni italiani, oltre 21 milioni di persone. E questo senza considerare i costi in termini di vite umane e il patrimonio culturale che viene distrutto.
Ricostruzione e prevenzione. La classe politica italiana, quella che si suol definire “classe dirigente”, ma anche la cosiddetta società civile, appaiono entrambe prigioniere di una stessa miopia, che ha fatto loro sottoscrivere una sorta di “patto di desistenza”: che rifiuta la prevenzione ed espone l’Italia senza difesa.
Quanti per esempio ricordano che l’Italia è stata colpita da almeno 30 terremoti distruttivi, di magnitudo intorno a 7, che hanno prodotto moltitudini di morti e rovine infinite? Quanti sanno che poco più di tre secoli fa (era il 1693), un terremoto ha distrutto Catania, Siracusa, Ragusa, Modica e tutta la Val di Noto? Quanti sanno che due secoli dopo (era il 1908), un terremoto ha distrutto Messina e le Calabrie, uccidendo 100mila cittadini? Quanti sanno che oggi, in Sicilia, lo splendore del barocco nasconde situazioni di estrema vulnerabilità? Quanti hanno sentito parlare dei terrificanti clustering che hanno colpito più volte la Calabria – 2 e addirittura 3 terremoti distruttivi in soli due mesi, prima nel ‘600 e poi a fine ‘700, mentre fra i due terremoti catastrofici del 1905 e del 1908 passarono solo 3 anni? Quanti conoscono i disastri successivi a Pompei?
Come struzzi si preferisce nascondere la testa sotto la sabbia. Non voler vedere le cose, però non risolve il problema. I disastri finiscono nel dimenticatoio per poter continuare a ignorarne la terribile minaccia, sperando che il prossimo Big One tardi al massimo e tocchi alle generazioni future. Così si spiega l’estrema modestia con cui è stato ricordato il centenario del terremoto di Messina del 1908.
Non ci sono alibi per questa inerzia. Gli studi condotti sugli eventi del passato forniscono tutte le informazioni necessarie per decidere. Quegli studi predicono il futuro. Oggi siamo in grado di prevedere i terremoti e la loro entità, rimanendo oscuro solo il “quando”; possiamo valutare per ciascun centro abitato qual è il rischio a cui è esposto e qual è la sua vulnerabilità. Saremmo perciò in grado di limitare fortemente i danni.
Quello che avviene dopo ogni terremoto, la dimenticanza dopo i lamenti e le critiche dei primi giorni, è la prova che fare prevenzione sismica continua ad essere una missione impossibile. Ed è questione che, sicuramente, non vale per la sola Italia.
Tutto questo ci riporta ad Aldo Loris Rossi, e alla sua “utopia”. E anche se si può sembrare dei don Chisciotte che muovon guerra ai mulini a vento, vale la pena di insistere e agitare la questione. Gutta cavat lapidem.