E’ periodo di estate e come sempre si devono avere delle precauzioni a esporsi al Sole, soprattutto dopo le 11 am, e prima delle18 pm. In questo periodo i raggi Ultravioletti sono meno attenuati dall’atmosfera e si può rischiare di avere un melanoma, una delle forme tumorali della pelle più subdola e difficile da guarire a meno di prenderla in tempo. E’ da ricordarsi che il melanoma si sviluppa nel giro di parecchi anni. Eppure ci sono delle precauzioni che se seguite possono garantire ai nostri figli e a noi di evitare i raggi UV più dannosi.
Come è noto i raggi ultravioletti si distinguono in UV A, UV B e UV C. Le creme solari proteggono bene dai raggi UV B e C ma poco dagli UV A che sono quelli che vanno più in profondità nell’epidermide. Essi sono causa dell’invecchiamento precoce della pelle, mentre gli UV B, sembra, che siano responsabili del cancro della pelle, quel melanoma di cui si diceva prima, perché’ agendo sul DNA ne causano un disordine che sfocia in episodi cancerogeni. Per fortuna la natura ci aiuta a bloccare questi raggi dannosi attraverso lo schermo dell’Ozono stratosferico. Infatti, questo schermo permette il passaggio del 9 % dei raggi ultravioletti di cui il 90 % è di UV A e il 10 % dei raggi UV B, mentre, assieme all’ossigeno, blocca totalmente gli UV C.
Negli anni 80 c’è stato un gran parlare del così detto buco dell’Ozono, una riduzione sensibile dell’Ozono nelle aree polari. Negli ultimi anni l’attenzione dei media su questo problema è stata assai bassa, preso più dalla narrazione degli eventi di natura economica. Eppure allora come ora il problema persiste, anzi abbiamo visto dei buchi di ozono anche in zone lontane dai poli come ha evidenziato un esperimento dell’ESA iniziato nel 1995 e tuttora operante. L’esperimento si chiama GOME Global Ozone Monitoring Experiment, montato prima sul satellite ERS 2 e poi su MetOP (denominato GOME 2). Gli strumenti che misurano l’ozono e gli altri gas precursori dell’Ozono sono stati realizzati dalle Officine Galileo di Firenze e costituiscono un’eccellenza nel campo della strumentazione spaziale, poiché il primo ha fornito dati per 15 anni e il secondo si prevede che sia in grado di fornire dati per un analogo periodo.
Il progetto nacque nelle aule dell’istituto Max Planck di Mainz nel 1993 dopo una serie di lunghe chiacchierate con Paul Crutzen poi diventato Premio Nobel per la Chimica nel 1995 e i suoi collaboratori. La scelta delle Officine Galileo non fu casuale ma dettato dalle alte competenze che queste avevano ed hanno nel settore della strumentazione ottica. Dopo due anni lo strumento dell’esperimento GOME era imbarcato su ERS 2 e lanciato in orbita. Bisognava studiare tutti i meccanismi di formazione e distruzione dell’Ozono secondo le nuove teorie di Crutzen.
Fino allora si pensava che l’ozono stratosferico si formasse per effetto della scissione, dovuta alla radiazione solare, dell’ossigeno, che è un gas con due atomi. Uno di questi atomi si ricombina con la molecola dell’ossigeno dando origine a un gas con tre atomi, l’ozono. Di fatto è quello che accade quando nelle nostre case si ha una scarica ad alta frequenza in aria e si genera dell’ozono che ha un caratteristico odore agliaceo.
Questa teoria era troppo primitiva per spiegare la nascita dell’ozono a quelle quote e tanto meno per spiegare come l’Ozono veniva distrutto dalla presenza dei composti cloro fluorurati, componenti del famigerato freon usato nei sistemi di raffreddamento. Crutzen dimostrò che l’Ozono stratosferico era sostenuto dalla presenza dei così detti precursori, tra cui gli ossidi di azoto e che la distruzione dell’Ozono avviene in presenza di nubi stratosferiche che facilitano la combinazione dell’Ossigeno biatomico con il Cloro dei clorofluorocarburi, piuttosto che con l’ossigeno.
I dati di GOME e GOME 2 sono visibili al sito http://www.temis.nl/uvradiation/ dove ogni giorno si può trovare l’indice UV che permette di sapere come e quanto esporci al Sole sia che si stia a Napoli come a New York, qualunque sia il colore della nostra pelle, dato che entrambi sono situati alla stessa latitudine di circa 40 gradi Nord. Cambia solo la meteorologia locale, ma anche di quello i ricercatori hanno tenuto conto.