Nel racconto che l’evangelista Giovanni fa della passione di Gesù, di particolare intensità e pregnanza significativa è il dialogo- interrogatorio con il governatore Ponzio Pilato (cfr. Gv 18,29-40). Una pagina attualissima, su cui dovremmo misurare la storia rispetto alla giustizia divina e umana, alla condanna degli innocenti da parte di poteri corrotti e al rapporto tra la verità e il potere.
Dai testi evangelici sappiamo che Pilato, pur non trovando alcuna colpa nel Nazareno, alla fine cede alle pressioni dei suoi connazionali e delle autorità religiose, liberando Barabba e condannando Cristo. Il serrato interrogatorio raggiunge la sua massima tensione quando alla domanda di Pilato: «Dunque tu sei re?», Gesù risponde: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,37).
Gesù aveva già affermato di essere re, ma un re diverso dalla logica dell’uomo: «La mia regalità [il mio regno] non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18,36).
Il prefetto della Giudea a questo punto gli chiede: «Che cos’è la verità?» (Gv18,38). Non è una domanda, non è come sembra e non si tratta di un semplice interrogativo. È piuttosto un modo astuto per eludere la questione posta dal Signore. Pilato vuole fuggire dalla verità perché la teme. Il potere umano, difatti, teme fortemente il confronto con la verità perché la sua luce fa emergere le tenebre e i cancri del potere: corruzione, carrierismo, ingiustizie, sopraffazioni, ricatti, bramosia di denaro.
La storia ci insegna infatti che quando il popolo conosce la verità, i poteri corrotti, non a servizio della promozione del bene dell’uomo, decadono e falliscono. Solo due esempi. Lo scandalo del Watergate del 1972 non fece crollare dal “trono” il presidente Richard Nixon costringendolo alle dimissioni?
L’era infausta di Donald Trump caratterizzata da un uso arrogante, disumano, ingiusto, personale e anticristiano del potere si è conclusa quando la gente ha compreso che il “proprio presidente” era un uomo lontanissimo dalla verità, che gestiva il potere a proprio uso e consumo, che in nome del potere voleva far apparire vero quel che è falso, giusto quel che è ingiusto, democratico quel che è dittatura e amore quel che è odio.

A Trump si può applicare quando lo storico Flavio Giuseppe diceva di Pilato: un prepotente e rigido, un arrogante senza verità che si credeva di essere la verità.
Alla luce del dialogo con Pilato e dell’insegnamento di Gesù di Nazaret, si comprende come davanti all’umanità di questo nostro tempo si aprono due mondi: quello di Pilato, che è il potere senza verità e quello del Maestro di Nazaret che è la verità senza potere, la verità crocifissa, il potere della verità vera. A ogni donna e uomo, onesti e liberi, oggi più di ieri, è chiesto di porsi una domanda: “Io con chi sto? Con Pilato oppure con Cristo?”. In quale mondo vivo in quello di Pilato che è il mondo dei potenti senza verità o in quello di Gesù, il mondo della verità nuda e crocifissa perché nata dall’amore?
Il teologo italiano, naturalizzato tedesco, Romano Guardini, ha scritto: «Non si può staccare la verità dall’amore. Dio non è solo verità, ma anche amore. Egli abita unicamente nella verità che viene dall’amore». Oggi il mondo ha bisogno di questa verità, di questo amore e di un potere che conosca e si lasci possedere dalla verità, dalla giustizia, dalla riconciliazione; un potere senza verità genera un mondo falso, ingiusto e disumano. Quando si amministra un potere, grande o piccolo che sia, anche se non si è cristiani è possibile cogliere in Gesù una guida perché la verità crocifissa di Cristo trasforma il potere in servizio, crea e plasma governanti, politici, finanzieri, uomini di Chiesa e credenti che non si fanno le scarpe l’uno contro l’altro ma si lavano i piedi gli uni gli altri e si chinano sugli ultimi e i poveri.

Testimoniare la verità significa, rifacendosi all’etimologia greca della parola “testimonianza” (martyrèin), poter diventare dei martiri. Gesù è “martire” per la verità a cui segue una schiera di incalcolabili testimoni senza confini, colore della pelle e religione di cui citiamo alcuni: Abramo Lincoln, Martin Luther King, l’arcivescovo salvadoregno Oscar Arnulfo Romero, lo scrittore cubano morto in esilio a New York, Reinaldo Arenas, il giornalista Peppino Impastato, Piersanti Mattarella, i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Rosario Livatino, i sacerdoti Pino Pugliesi e Pino Diana, tutti uccisi dalla mafia e dalla camorra. Non sono martiri per la verità anche le donne, gli uomini e i bambini morti in Myanmar per aver gridato con il sangue contro l’ingiustizia del golpe militare?