Verso quale futuro sono rivolte le molteplici facce del lavoro, mentre le tecnologie digitali lo scuotono? Tre sono le sfide da affrontare. La prima riguarda le diverse competenze da acquisire richieste da quelle tecnologie. La seconda risiede nelle occupazioni poco qualificate che sono state create. L’evoluzione imprenditoriale del lavoro è la terza sfida. Vincerle vuol dire indirizzare l’evoluzione della tecnologia non verso la sostituzione delle persone, ma per collegarle tra loro in modi completamente nuovi.
Tutto comincia con un atto d’intelligenza: così scriveva Carlo Cattaneo, fondatore della prestigiosa rivista Il Politecnico, a proposito del lavoro. È la natura dell’intelligenza che indica i percorsi del lavoro. La sua esplorazione, osserva la Docente d’informatica alla Portland State University, Melanie Mitchell, nel suo libro Artificial Intelligence: A Guide for Thinking Humans (Farrar, Straus, and Giroux, New York, 2019) richiede l’interdisciplinarietà, non le reti e le raccolte di dati sempre più estese e grandi. Una volta abbattute le barriere tra due o più discipline, è l’approccio olistico della transdisciplinarietà il passaggio successivo.
Cosa dire dell’intelligenza artificiale? Con le macchine che apprendono, il lavoro di domani non differirà dal lavoro di oggi, sennonché all’automazione dei muscoli subentrerà una sorta di automazione del cervello. Immerso in questa realtà, potremmo dire, parafrasando lo scrittore austriaco Robert Musil, che il lavoratore abbocca all’amo della tecnologia, ma non ne vede la lenza. È forte il timore che le macchine si facciano carico del lavoro di ampie fasce dell’attuale forza lavoro. Perché no, quando l’azienda costringe gli esseri umani ad agire similmente alle macchine impiegate?
Negli anni a venire, con il progresso accelerato dell’intelligenza artificiale, sarà l’Algoritmo (“un procedimento di calcolo esplicito e descrivibile con un numero finito di regole che conduce al risultato dopo un numero finito di operazioni, cioè di applicazioni delle regole”), la nuova divinità che rimpiazzerà la creatività umana nelle più svariate forme del lavoro? Al contrario, sarà l’essere umano a magnificare la propria libertà servendosi della tecnologia?
Converrà riflettere su quanto ha scritto Zia Chishti, amministratore delegato di Afinity, azienda leader mondiale d’intelligenza artificiale applicata: “Non abbiamo mosso un byte in avanti nella comprensione dell’intelligenza umana. Abbiamo computer molto più veloci, ma gli algoritmi sottostanti sono per lo più identici a quelli che alimentavano le macchine quarant’anni fa. Invece, abbiamo rinominato creativamente questi algoritmi. I buoni ‘dati’ di una volta sono diventati improvvisamente ‘grandi'” (Artificial Intelligence: winter is coming. Today’s AI is not much better at solving real world problems than its ancestors, Financial Times, 17 October, 2018).
Possiamo allora pensare che l’ascesa dell’Intelligenza Artificiale è un’occasione per riflettere sul lavoro come attività combinaroria del saper come Fare, Pensare, Immaginare e Comprendere. Uno stare insieme che richiede familiarità con le arti.
Sitra, fondazione pubblica finlandese che investe in progetti volti ad aumentare l’efficienza dell’economia, migliorare il livello dell’istruzione e di ricerca e studiare scenari di sviluppo futuro, in un suo studio sul futuro del lavoro (Perspectives on new work, 2016) fa luce sulle motivazioni soggettive che intervengono a modificarlo. La curiosità sollecita l’apprendimento per tenere la mente sempre allenata. La conservazione dell’energia mentale porta alla ricerca di come operare per ridurre lo stress. La socializzazione spontanea, scambiandosi reciprocamente i pensieri, consente di condividere il carico cognitivo e permette all’intelligenza collettiva di emergere. Volgendo le nostre azioni al piacere di lavorare per e con gli altri, temi ricorrenti nel lavoro sono la comunicazione e le abilità cognitive che essa richiede.
In quest’ottica il lavoratore di domani si trasformerà in ideatore. Al primo viene chiesto di essere sempre più esperto facendo tesoro dell’esperienza accumulata per innovare col vincolo di mantenere le strutture esistenti. Legando a queste delle ali, l’innovatore incrementale pensa di aver costruito un aereo, ha ironicamente osservato il Professore Clayton Christensen, il noto autore de Il dilemma dell’innovatore. L’ideatore teme di diventare un esperto stupido nel momento in cui due rivoluzioni gemelle, l’una della conoscenza e l’altra della tecnologia, mettono a nudo il lavoratore. Quest’ultimo non sa come reagire alle sfide lanciate da quei gemelli. È l’ideatore che reinventa se stesso ponendo domande per poi andare alla scoperta di risposte originali e generatrici d lavoro che l’essere umano farà meglio dell’algoritmo.