C’è un problema con i giovani maschi, un problema molto vecchio e assolutamente universale. Per alcuni anni tra la pubertà e, diciamo, la “paternità” – cioè, fino all’assunzione delle responsabilità – adulte tra tempeste ghiandolari e un terribile eccesso di energia, una buona parte di loro esce di testa e diventa per qualche tempo un pericolo per sé e per gli altri. Guidano come pazzi, sperimentano gli eccessi. Si sfogano con vandalismi, atti di piccola delinquenza e di violenza spicciola. Irragionevolmente convinti della propria immortalità, corrono – orgogliosi – pericoli assurdi senza pensarci. Sono, in altre parole, dei meravigliosi combattenti e dei pessimi vicini.
Ogni società ha sviluppato dei meccanismi per controllarli e “inquadrarli” di modo che facciano il minor danno possibile. Le tribù primitive impiegavano elaboratissimi riti – sovente molto dolorosi – di iniziazione alla società degli adulti. Praticavano come sfogo la guerra “leggera” contro tribù vicine, mescolando gioco e violenza. Nell’epoca moderna si è favorita la pratica dello sport, l’inserimento nel mondo del lavoro e, nei casi in cui i giovani sbandati fossero davvero troppi, la guerra guerreggiata con la sua necessità di “carne da cannone”.
Questi meccanismi stanno venendo meno. Lo sport, sempre più, si guarda alla televisione; per il lavoro e l’opportunità che presenta di civilizzare i giovani, l’attuale momento economico spesso non offre grandi sbocchi. Anche la guerra, almeno nelle società moderne, non è più la valvola di sfogo di una volta. Non si può mettere un missile, un drone, un carro da quaranta milioni di dollari o un caccia da mezzo miliardo in mano a un ragazzo arrabbiato, indisciplinato e irresponsabile.
Perfino le donne, l’ultimo baluardo della difesa della società dai giovani maschi, non sembrano più accettare un ruolo che spesso somiglia a quello di una badante. La vita oggi offre di più, hanno di meglio da fare. Immaginare che la donna giusta possa voler perdere il tempo di “mettere a posto” la testa del figlio perdigiorno e teppista – l’ultima spiaggia del genitore disperato – non è realistico. Due sole cose parrebbero per ora salvare la pacifica convivenza: le droghe leggere e i videogiochi. Il blando effetto sedativo della marijuana – e l’atto di “ribellione light” che rappresenta – calma molti spiriti bollenti che altrimenti starebbero in giro a bucare le gomme e a fare a pugni alla “cazzo guardi” nei bar.
La vera speranza sono i videogame. È facile sottovalutare il fenomeno, ma secondo uno studio dell’economista Erik Hurst dell’Università di Chicago, negli Usa molti giovani maschi preferiscono restare in casa a giocarci anziché lavorare. Hurst e i colleghi osservano che il numero medio di ore lavorate dai giovani senza una laurea nella classe d’età tra i 21 e i 30 è calato di 203 ore l’anno tra il 2000 e il 2015. Di questi giovani, il 22 percento non aveva lavorato un solo giorno nell’anno precedente, un valore più che raddoppiato tra il 2000 e il 2015 – peggio di ogni altra classe d’età, genere o livello di scolarizzazione. In più: “Il giovane senza laurea e disoccupato passava mediamente due ore al giorno sui videogiochi nel 2014… Il 25% riferiva di giocare almeno tre ore al giorno e circa il 10% sei ore al giorno”.
Il 51% vive con i genitori. Sono single, non studiano, non escono, non fanno niente. Può venire da pensare che siano dei parassiti fannulloni, ma sono degli eroi. Si sacrificano per noi e per la pace civile.