Chi pensa che la filosofia sia morta e che il trumpismo abbia avuto la meglio, non era presente sabato 28 gennaio 2017 alla Brooklyn Public Library, a Prospect Park Heights, durante la maratona di Filosofia organizzata dalla biblioteca in collaborazione con gli istituti culturali dell’Ambasciata Francese: A Night of Philosophy and Ideas. An all-night marathon of philosophical debate, performances, screenings, readings and music. From 7 pm to 7 am — così recitava il titolo della nottata.
Io stessa immaginavo una ristretta cerchia di appassionati, la cricca di accademici, para-accademici e accoliti, cresciuta a pane e Foucault, che magari guarda da distante ai fatti che tengono gli aeroporti di mezzo mondo con il fiato sospeso… Nulla di più sbagliato. Appena arrivata, mi ha accolto una lobby gremita di partecipanti. Centinaia e centinaia di persone accalcate per sentire il discorso d’apertura di Achille Mbembe, What is the future of Democracy? — un pubblico pronto ad ascoltare l’accademia ragionare sul presente, e pronto a ragionarci insieme.
Mi è bastato dare un rapido sguardo al programma per capire sia il livello qualitativo della manifestazione, sia i contenuti radicati nell’hic et nunc — per dirla filosofeggiando — dei singoli interventi. E nella scaletta, suddivisa in talks paralleli da mezz’ora ciascuno, ecco un nome risplendere fra la folla di pensatori: Gayatri Spivak.
Magari non a tutti questo nome dice qualcosa. Ma quando vincerà il Nobel, lo dirà… Docente alla Columbia University e Founding Member dell’Institute for Comparative Literature and Society, Spivak è una delle menti più raffinate della filosofia e della critica post-colonialista dell’ultimo trentennio. Sull’Essenzialismo Strategico e il Soggetto Eurocentrico, banchi e banchi di studenti si sono spaccati la testa, ma hanno intravisto come le accademie occidentali pullulano di atteggiamenti imperialistici. Ascoltare 20 minuti di Gayatri Spivak — a 2 metri di distanza da lei — ti fa tornare a credere all’esistenza di una forza superiore che non ha necessariamente a che fare con Dio, ma che ti conferma che le forze del bene dell’intelletto, esistono.
Spivak, nel suo breve intervento, seguito da una sala gremitissima in religioso silenzio, ha definito gli Stati Uniti, all’indomani della black list dei paesi presi di mira da Trump, “luogo della paura”. Un “gated country”, ha aggiunto, impegnato nella trincerazione all’interno dei confini. Ed ha richiamato alla memoria Franz Fanon, senza meravigliarsi del messaggio che il medico della Martinica lanciava, invocando una violenza catartica, curativa, capace d’innescare la liberazione attraverso l’insurrezione.
Contemporaneamente al suo intervento, nella sala accanto, parlava un certo Marc Augé, casomai qualcuno avesse dimestichezza con i non-luoghi e la loro architettura… Insieme a loro, una folla di filosofi o studiosi, che si interrogavano non solo sulla filosofia, ma sul momento che stiamo vivendo. L’avvento al potere di Trump — possiamo pure rispolverare queste espressioni da manuale di storia del ‘900 — ha scosso l’Accademia giù nelle fondamenta, costringendo queste tante teste a calarsi davanti a questioni che escono dalla comfort zone dei dilemmi classici della filosofia.
Non ho sentito molte soluzioni. Quelle latitano ancora. Ma ho sentito moltissime idee interessanti.
Per esempio Anna Gotlib, assistant professor presso il Dipartimento di Filosofia, Brooklyn College (CUNY) ha tenuto uno speech sul potere esercitato dal linguaggio nel generare e plasmare i fatti — e i fatti fanno la filosofia. Ha inoltre posto l’accento su un preciso fenomeno: noi non siamo persone, noi diventiamo persone attraverso e grazie al contributo degli altri. L’identità è una costruzione collettiva, quindi. Ma cosa succede se tu sei nero, ispanico, white trash, e il tuo Presidente ti dice, più o meno apertamente, che tu e la tua gente siete inferiori? Tu punti i piedi e dici “no, io non sono inferiore. Io valgo”. Be’, Gotlib ha osservato che, a lungo andare, il ripetersi di “io non sono inferiore, io valgo, io non sono inferiore, io valgo…” si svuota del suo significato, e il soggetto finisce per non crederci più. Un po’ come quello che capita a un bambino trascurato da un genitore: cercherà di convincersi che merita la sua attenzione, ma alla lunga, si convincerà che no, non la merita — con tutte le conseguenze che questa conclusione comporterà sulla sua vita.
Quali sono le soluzioni? Una soluzione possibile sta nelle contro-narrazioni. Se l’Amministrazione Trump fa di tutto per scrivere la propria versione dei fatti — viali e gradinate gremiti all’insediamento a Washington (!) — noi dobbiamo scrivere l’altra Verità, quella “contro”. La Women’s March è stata una grande contro-narrazione. E Gotlib ha esortato tutti a non smettere di scriverne, in piccolo, in grande, in qualsiasi misura.
Un altro intervento d’interesse, “The Precarious Rhythm of Deliberation”, è stato tenuto da Vincent Colapietro, Ordinario di Filosofia presso la Pennsylvania State University. Dopo aver citato Walt Whitman, “We are a Nation of Nations” — Siamo una nazione di nazioni — evidenza sempre più calpestata in queste ultime settimane, Colapietro ha ripercorso alcuni punti salienti del pensiero di Thoreau in Walden – Vita tra i boschi, soffermandosi sulla duplice agenda umana: quella di essere artefice del proprio destino e la necessità di essere parte della società, e di servire il proprio paese — ben espresso nella sua opera Disobbedienza civile. “Vivere è la più nobile delle arti… La vita non vissuta è la vera tragedia”, sosteneva Thoreau. E Colapietro aggiunge, “Solo tu sei responsabile del tuo risveglio”. E questo, detto oggi come oggi, rimanda allo stato delle cose, alla call-for-coscience a cui dobbiamo rispondere come cittadini.
Camille Robcis, Professore Associato di Storia alla Cornell University, ha tenuto un lucidissimo intervento sul ruolo vincente della libido nelle ideologie totalitarie come il Fascismo, che ne hanno determinato il successo presso le masse. Il liberismo, han notato Robcis, ha fallito nel mantenere questa componente “libidica” della politica — spesso l’ha repressa oppure soppressa — e così facendo ha perso la gente. Facendo riappropriare alla politica questa dimensione legata al desiderio, avremmo forse più chance di intercettare il desiderio delle persone, ed evitare quindi, di ritrovarci scioccati davanti a risultati elettorali “umorali” come quelli post-Brexit e post-Trump.
Intorno a mezzanotte e mezza me ne sono andata, il cervello a pieno regime, invidiando un po’ i partecipanti che sarebbero riusciti a fare le 7 del mattino fra intermezzi danzanti, performance musicali, screening di realtà virtuale, letture da la Repubblica di Platone e, alle 5:30 del mattino, dopo “Il Nietzsche di Foucault al sorgere del sole” e prima di “All’alba dell’Età di Protagora”, la colazione collettiva. A ogni modo una testa che macina pensieri è un bel risultato per una Notte di Filosofia e Idee…