“A man who doesn’t spend time with his family can never be a real man.” – Mario Puzo, The Godfather
15 marzo 1972: esce per la prima volta nelle sale cinematografiche statunitensi il capolavoro tratto dal libro di Mario Puzo, con la regia di Francis Ford Coppola, The Godfather (Il padrino), che racconta le vicende di una famiglia di mafiosi italoamericani a New York. Il successo di questo film continua ancora oggi ma, al di là della trama, della superba resa del carattere dei personaggi principali (pensiamo a don Vito Corleone, interpretato dal magnifico Marlon Brando o a Michael Corleone che porta il volto di Al Pacino), oltre la qualità artistica della regia, della scenografia, delle colonne sonore, dei costumi, della fedeltà nella ricostruzione storica della mafia italoamericana, The Godfather ci ha regalato, all’interno dei memorabili dialoghi, delle frasi su cui meditare… Soprattutto sul tema della famiglia che è poi il nucleo centrale del film.
“Fredo, sei il fratello maggiore e io ti voglio bene. Ma non ti azzardare mai più a schierarti contro la famiglia, è chiaro? Mai più”, dice in una memorabile scena Michael Corleone. E ancora: “Perché un uomo che sta troppo poco con la famiglia non sarà mai un vero uomo”, sentiamo dire dalla bocca di Don Vito Corleone. “Non avere paura, Carlo. Che diamine, non renderei mai vedova mia sorella, e poi sono anche il padrino di tuo figlio no?”, argomenta di nuovo (mentendo) Michael Corleone. “Mai dire a una persona estranea alla famiglia quello che c’hai nella testa”, raccomanda Don Vito Corleone.
Il film ci ricorda la somma importanza che la famiglia ha nella società e nella quotidianità italiane. Una centralità che affonda le radici nel passato e in special modo nel mondo greco arcaico e classico dove la consanguineità risultava un valore fondamentale che appare evidente nelle tragedie greche. Nell’Antigone di Sofocle (V secolo a.C.), la protagonista, Antigone appunto, dichiara che un parente pur stretto, come uno sposo, ma acquisito, non consanguineo, una volta morto si può paradossalmente sostituire, mentre un fratello, una volta defunti i genitori, non è possibile che nasca di nuovo (vv.908/912). Questa è una delle affermazioni che accomunano Sofocle allo storiografo Erodoto (V secolo a.C.) il quale (Storie III, 118-119) esprime il medesimo concetto attraverso la moglie di Intaferne: la donna, potendo salvare uno solo dei suoi familiari imprigionati dal grande re dei Persiani Dario, scelse il fratello con la medesima argomentazione della fanciulla Antigone.
Sofocle arriva a sacrificare l’idea dello Stato agli ideali della famiglia che mai e poi mai deve essere messa in discussione, né posta in secondo piano. Gli esempi sono tanti. Nella trilogia del tragediografo greco Eschilo intitolata Orestea, il protagonista, Oreste, è perseguitato dalle spaventose e assetate di sangue Erinni, divinità della vendetta, per avere assassinato la propria madre Clitemnestra colpevole, a sua volta, di avere ucciso a tradimento e barbaramente il proprio consorte Agamennone di ritorno dalla guerra di Troia con la schiava Cassandra condotta come bottino (in realtà non fu solo questo il motivo dell’odio feroce di Clitemnestra, ma questa è un’altra storia). Oreste verrà poi assolto dalla propria colpa nel tribunale dell’Areopago di Atene, grazie al voto della dea Atena che volgerà le sorti a vantaggio del giovinetto, per avere difeso l’unità familiare. Nella tragedia Alcesti di Euripide (V secolo a.C.), l’omonima eroina offre spontaneamente e impulsivamente la propria vita in cambio di quella del marito Admeto, ma quando giunge il momento della dipartita subentra un forte pentimento e un rancore nei confronti del consorte egoista che le ha chiesto un tale sacrificio: i suoi figli, il suo stesso sangue, infatti, sarebbero rimasti privi della loro madre e sarebbero stati cresciuti da una matrigna.
Ma già nell’Odissea di Omero, tutto il poema ruota attorno alla reggia di Ulisse, Itaca, e viene messo chiaramente in luce come la lunga assenza (vent’anni) del kyrios, cioè del capofamiglia, renda il nucleo fragile e facile preda delle malvagità esterne. Nella trama sono i Proci, cioè i principi di Itaca, pretendenti di Penelope, moglie di Ulisse, che minano la stabilità della famiglia dell’eroe greco e anche del suo potere politico. Su questo tema fondamentale per l’etica greca si espresse il grande filosofo Aristotele (IV secolo a.C.): egli all’inizio della Politica afferma: “La comunità che si costituisce per i bisogni quotidiani, secondo natura, è l’oikos“, in inglese household; in greco il termine è collegato al sostantivo oikia (casa) e al verbo oikizein (abitare). Secondo il pensatore, l’oikos è appunto la cellula più importante, quella che sta alla base della società, la prima forma di aggregazione in senso logico e cronologico dettata da necessità naturali. Il nucleo della società, dunque, è la casa, luogo per eccellenza della famiglia.
Concludo con una frase a me molto cara del grande Alex Haley: “Family is a link with our past and a bridge to our future.”.