Habemus premier. Superate le ultime fibrillazioni, questo pomeriggio Sergio Mattarella ha finalmente conferito l’incarico di governo a Giuseppe Conte, che, come da prassi, ha accettato con riserva. Si chiude così, per il momento, un lungo periodo di stallo che dura dall’indomani delle elezioni politiche del 4 marzo. Si apre ora una nuova fase nel percorso per la formazione del governo figlio di Lega e Movimento Cinque Stelle.
Il presidente del consiglio incaricato è una figura terza, un “tecnico” privo di esperienza politica ma vicino da tempo ai grillini. Questi ultimi, insieme ai leghisti, lo hanno scelto come “garante” dell’esecuzione del loro programma di governo. Una posizione “di compromesso” a dir poco irrituale, che ha causato non poche discussioni data la forte colorazione politica del nascente esecutivo.

Uscendo al termine di un colloquio con il presidente della repubblica dalla durata record (poco più di due ore), Conte ha rilasciato una breve dichiarazione. Dopo aver confermato la “collocazione europea e internazionale” del paese, ha ricordato la “fase impegnativa e delicata che stiamo vivendo”, impegnandosi a dar vita a “un governo dalla parte dei cittadini, che tuteli i loro interessi” e definendosi “avvocato difensore del popolo italiano”.
La sua nomina è giunta al termine di un delicato conflitto istituzionale. Non è un mistero che il Capo dello Stato, che ha conosciuto personalmente il premier in pectore solo oggi, avrebbe preferito una figura politica alla guida del nuovo esecutivo. L’insoddisfazione iniziale del Quirinale per il nome di Conte, indicato da Salvini e Di Maio, si era manifestata con forza nelle ultime 48 ore.
L’irritazione si era acuita dopo aver ricevuto dai leader di Lega e Cinque Stelle una lista dei futuri ministri preconfezionata, in evidente contrasto con la prassi costituzionale. Per rispondere a quello che gli era apparso come uno sgarbo, il presidente aveva così deciso di prendere tempo convocando i presidenti delle Camere al Colle, invece di chiamare direttamente Conte.
Ma i precari equilibri della nuova coalizione politica non permettevano ripensamenti: se fosse saltato il nome del professore, anche l’accordo tra leghisti e pentastellati si sarebbe sfasciato. In fondo, tale esito non avrebbe giovato a nessuno, tantomeno a Mattarella, che si sarebbe giocato la credibilità guadagnata dal 4 marzo a oggi di fronte all’opinione pubblica.
Ad aumentare la tensione, nei confronti del professore era nel frattempo partito un furioso fuoco di fila da parte dei grandi media italiani, che ne hanno scandagliato il curriculum e financo la vita privata per screditarne l’immagine. A essere onesti, si è trattato di una campagna di stampa alquanto pretestuosa basata su notizie ingigantite, come abbiamo dimostrato anche a La Voce di New York. Colpisce, poi, il fatto che gli stessi giornali oggi così scandalizzati nei confronti di Conte, abbiano in passato “perdonato” titoli di studio millantati e tesi di dottorato scopiazzate a mani basse da parte di ministri dello scorso esecutivo.
In generale, emerge sempre più in questi giorni la totale dissonanza tra la stampa “che conta”, espressione di un establishment in crisi, e opinione pubblica, che l’ha bastonato sonoramente nelle urne. I dubbi sul futuro ruolo politico di Conte sono legittimi e degni di essere analizzati con scrupolo, ma la diffusione di notizie gonfiate “a orologeria” è un’altra cosa.

Al di là delle polemiche, però, è certo che nei prossimi mesi la missione di Giuseppe Conte non sarà affatto facile. Il premier designato dovrà infatti guadagnarsi l’autonomia decisionale riservatagli dalla Costituzione, tenendo al contempo a bada le intemperanze dei due pesi massimi del suo governo, ovvero Di Maio e Salvini. Un compito per nulla facile, che richiederà nervi d’acciaio e grande capacità di mediazione.
Intanto, il prossimo serrato confronto tra Quirinale e forze politiche di maggioranza riguarderà il ministero dell’economia, da cui dipende l’effettiva capacità di attuare le costose politiche di riforma annunciate nel cosiddetto “contratto di governo”. Il nome di Paolo Savona, economista di fama ma critico dell’attuale assetto europeo, non sembra infatti andare a genio a Mattarella.
Sarà proprio Savona a ricoprire il ruolo di capo del Tesoro? Per avere certezze al riguardo dovremo ancora aspettare, ma se il suo nome dovesse saltare, sappiamo che il candidato su cui potrebbero convergere i consensi sarebbe quello del leghista Giancarlo Giorgetti, ex presidente della commissione parlamentare di bilancio vicinissimo a Matteo Salvini. Le voci per ora si rincorrono, ma una cosa è certa: è già iniziato un altro braccio di ferro.