
I giornali avevano anticipato la notizia all’indomani della rimozione di Rex Tillerson dalla segreteria di stato, e alla fine hanno avuto ragione: Donald Trump ha fatto fuori anche il consigliere alla sicurezza nazionale, il generale HR McMaster. Il nome di chi che ne avrebbe preso il posto circolava da un po’, ma in molti speravano che non fosse davvero lui.
Parliamo di John Bolton, uno dei più irriducibili neoconservatori ancora in circolazione nel panorama politico degli Stati Uniti.
Il suo curriculum è noto qui negli States, e non rassicura affatto. Il nuovo arrivato, classe 1948, in gioventù ha studiato diritto internazionale a Yale negli stessi anni in cui a frequentare la prestigiosa università erano Bill e Hillary Clinton, collaborando in seguito con il dipartimento di stato e con il dipartimento di giustizia nel corso delle amministrazioni di Ronald Reagan e di George Bush padre.
Ma il grande salto in carriera arriva tra il 2005 e il 2006, quando Bolton viene nominato ambasciatore all’ONU dal presidente George W. Bush. È lì che le sue posizioni di politica estera balzano agli onori delle cronache.
In quel complicatissimo frangente della storia recente americana, il neo-consigliere alla sicurezza nazionale fu un accanito sostenitore della guerra in Iraq, oggi considerata ormai da tutti (o quasi) una tra le peggiori mosse di politica estera compiute dagli USA negli ultimi cinquant’anni.
Un appoggio che Bolton ha continuato in parte a giustificare in tempi recenti, nonostante tale conflitto abbia contribuito in maniera decisiva a destabilizzare il Medio Oriente a tutto vantaggio (è questo il paradosso) dell’Iran, cioè del maggiore concorrente degli interessi americani nell’area.
Durante la sua esperienza alle dipendenze del presidente texano, sono inoltre rimasti noti i suoi aspri contrasti con l’allora capo della diplomazia a stelle e strisce Colin Powell (che invece nutriva seri dubbi sulla dissennata operazione irachena) e con il suo successore alla segreteria di stato, Condoleezza Rise.
Non solo, ma negli anni successivi, pur non ricoprendo incarichi ufficiali, Bolton si è espresso in modo esplicito anche in favore di un massiccio coinvolgimento in Siria (allineandosi alle tesi neoconservatrici di Hillary Clinton) accarezzando persino l’idea di un’azione preventiva in Corea del Nord e in Iran.
Insomma, il nuovo consigliere alla sicurezza nazionale è un autentico falco, e la sua nomina rappresenta una manovra opposta rispetto a quella che portò alla scelta di HR McMaster. A differenza di quest’ultimo, in grado di riequilibrare le posizioni del presidente traducendole in una politica estera coerente, Bolton ha dimostrato, nel corso della sua carriera, di non possedere lo stesso equilibrio né la stessa lungimiranza del suo predecessore.

Non si tratta di un problema riguardante esclusivamente le posizioni assunte sui singoli dossier più spinosi, ma, in generale, di un atteggiamento che unito alle intemperanze trumpiane potrebbe rivelarsi assai pericoloso.
Tanto per chiarire, la rinegoziazione del trattato sul nucleare iraniano non preoccupa di per sé, dato che rientrerebbe nel riallineamento degli statunitensi alle posizioni dei loro alleati tradizionali in Medio Oriente (Arabia Saudita e Israele); a inquietare è invece la mossa successiva che uno come Bolton potrebbe suggerire, cioè il confronto diretto con gli iraniani.
Una prospettiva inquietante, che ribalterebbe tra l’altro uno dei capisaldi di politica estera che portò in molti a preferire Trump alla Clinton, cioè il graduale disimpegno in Medio Oriente.
A completare il quadro di un’amministrazione in subbuglio, oltre alla nomina di Bolton, ci si sono messe inoltre nelle stesse ore le dimissioni di John Dowd, il capo degli avvocati del presidente nella nota indagine del russiagate condotta dal procuratore speciale Robert Mueller.
Ancora non sappiamo se sia stata una scelta autonoma di Dowd, come sembra suggerire il New York Times, o se invece sia stata una decisione presa congiuntamente con il presidente (come sostengono invece altre fonti). Il prossimo passo, a questo punto, potrebbe essere la cacciata di Robert Mueller.
Una cosa è però certa: come ha recentemente notato l’ex braccio destro del presidente, Steve Bannon, la Casa Bianca si prepara a una guerra totale contro i suoi nemici.