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February 26, 2017
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Trump e quelle parole senza fatti che lo fanno vincere

Il linguista George Lakoff ha analizzato il linguaggio di Trump e qui ne riportiamo le conclusioni

Filomena Fuduli SorrentinobyFilomena Fuduli Sorrentino
Donald Trump

Donald Trump durante la campagna elettorale (Foto da Wikipedia.com)

Time: 5 mins read

Ho letto molto su George Lakoff, linguista statunitense e professore all’Università della California a Berkeley che studia il linguaggio del Presidente Donald Trump. E secondo le sue analisi, il veicolo che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca e proprio il suo linguaggio.

In politica le parole dovrebbero essere neutre o politically correct. Sull’origine del concetto di “politicamente corretto” ci sono diverse ipotesi. Tuttavia, la locuzione assunse dimensioni efficaci verso la fine degli anni Ottanta con il movimento politico statunitense di sinistra, il cui lottava per il riconoscimento delle minoranze etniche, di genere, e di giustizia sociale. Usando parole rispettose nei discorsi pubblici si evita il linguaggio sessista e discriminatorio nei confronti di minoranze etniche, di categorie, o di pregiudizio razziale, religioso, di genere, di età, di orientamento sessuale, e relativo a disabilità fisiche o psichiche della persona. In seguito, molti termini furono sostituiti, alcuni esempi sono: handicappato, cieco, e nano, sostituiti con diversamente abile, non vedente, persona di bassa statura, e nomi di professioni come bidello e becchino sono stati sostituiti con operatore scolastico e operatore cimiteriale.

Eppure non sempre i politici evitano di offendere le diverse culture, religioni, mestieri, professioni, e/o etnie dei cittadini, come abbiamo potuto notato durante la campagna elettorale americana con le frasi di Donald Trump. Il 45esimo presidente degli USA non è per niente “polically correct”, ed è il contrario della maggior parte dei politici che cercano di camuffare o controllare le proprie espressioni con un sorriso. In effetti, le sue smorfie sono espressioni esagerate che comunicano più di mille parole, e dicono più di quanto molti cittadini vorrebbero sentire da lui. Basta osservare le sue mani quando alza il pollice per comunicare vittoria “vinceremo alla grande” (We will win bigly), oppure le dita per notificare i punti chiave del suo intervento, per non parlare poi delle sue espressioni facciali. Trump sa benissimo come ritmare il suo discorso, attirare l’attenzione del pubblico e tenerlo sotto controllo. Il 45esimo presidente USA rompe le regole del “politicamente corretto _(Enciclopedia-dell’Italiano)/”, parla in maniera non logica, tende a enfatizzare esclusivamente un punto di vista, come se fosse una verità assoluta, e infuria mezza America, non solo per quello che fa, ma soprattutto per il suo modo di parlare. Nonostante ciò, molti analisti affermano che sia stato proprio il suo linguaggio e la sua capacità comunicativa che abbia attratto l’attenzione di un particolare pubblico e lo ha portato alla presidenza USA, oltre alla sua presenza scenica.

George Lakoff

Un affascinante studio sul linguaggio di Donald Trump è stato fatto dal linguista statunitense George Lakoff , professore di glottologia cognitiva all’Università della California a Berkeley. Il linguista Lakoff studia il linguaggio di Trump e afferma che i suoi tweet sono lo strumento che hanno lanciato la sua popolarità e il veicolo per ottenere il suo obiettivo anche con i media. Lakoff sostiene che il presidente Trump utilizza termini semplici ma efficaci per il suo scopo. I suoi discorsi sono fatti in modo da essere comprensibili dai cittadini che non hanno avuto un’istruzione superiore. La sintassi delle frasi di Trump è chiara a chiunque abbia ricevuto un’istruzione elementare, o per chi abbia un vocabolario limitato, tra la seconda e la terza media. Ed è proprio a questo gruppo di cittadini che i discorsi di Trump sono diretti, alla classe operaia e non agli intellettuali o persone istruite. Eppure, se le parole di Trump fossero tradotte in maniera testuale il contenuto non avrebbe senso. Il professor Lakoff si concentra sul dettaglio del linguaggio e pensiero, e analizzando i discorsi di Trump ha osservato che egli è molto strategico nella scelta delle parole usate nei suoi discorsi.

Pertanto, Trump non solo sarebbe consapevole del significato dei termini usati nelle sue frasi, ma i suoi interventi sono accuratamente ideati con parole semplici ma decisi per diffondere ciò che egli vuole divulgare al pubblico americano. “Il discorso inaugurale Make America Great Again (Far tornare grande l’America) ha mostrato la sua intenzione di trasformare l’America in una versione di se stesso, –dice Lakoff in una delle sue analisi- L’autore del discorso, Stephen K. Bannon, è un propagandista esperto. Ogni parola e idea contenuta nel discorso è stata scelta per un motivo specifico. Il discorso è stato organizzato intorno ad un’unica grande menzogna per simboleggiare Trump come un populista, un “messaggero” della volontà popolare con la retorica populista. Hanno cercato di posizionare Trump come l’uomo del popolo portato alla carica contro le élite ricche che hanno accumulato troppo potere. I suoi discorsi attaccano le istituzioni per ricordare le persone “dimenticate” […] (The Women’s Marches and the Politics of Care: The Best Response to Trump’s Inaugural Address ).

Secondo Lakoff il problema principale dei cittadini USA è l’identità. Un problema dei politici conservatori e della classe media americana, la cui identità è definita da valori famigliari patriarcali, con l’autorità del patriarca. Ma si potrebbe parlare anche di identità religiosa, commerciale, o di risentimento della classe operaia, ma in ogni caso il problema è sicuramente l’identità. In base allo studio di Lakoff, ai cittadini che hanno votato per Trump non importava niente se lui mentisse o se egli avesse trattato in maniera scandalosa le donne del suo passato. A loro contava solo l’identità morale dell’elettore, il suo senso del giusto e del sbagliato e il rispetto di sé come candidato e come conservatore. “Quelli della campagna elettorale di Trump hanno capito questo– dice Lakoff- mentre quelli del partito democratico, i media e sondaggisti non lo hanno capito per niente. Anzi, migliaia di democratici senza che se ne rendano conto continuano ad aiutano Trump ad ottenere il suo obiettivo giorno dopo giorno”.Trump

Lakoff cercare di capire il linguaggio di Trump e trascrivendolo con chiarezza si affrontano molteplici problemi. Il Presidente parla spesso in lunghe e incomplete frasi, o con frequenti distacchi dal tema dell’argomento, fermandosi alle proposizioni subordinate, oppure citando persone che abbiano detto cose non reali o difficili da documentare. Trump spesso inizia una frase senza finirla, lasciando ai suoi seguaci l’opportunità di concluderla nelle loro menti, e questo modo di comunicare crea empatia, intimità, e accettazione con chi lo ascolta, e una buona sintonia verso il parlante. Il veicolo che connetta Trump al suo pubblico è proprio il suo modo di parlare. I suoi discorsi pieni di frasi ripetitive, anche se con lievi variazioni, sono il particolare che rende il suo linguaggio diverso da tutti gli altri presidenti. Per capire meglio il linguaggio politico George Lakoff consiglia di leggere il suo libro “Don’t Think of an Elephant! ” (Non pensare a un elefante).

In conformità a quello che Lakoff insegna, le parole sono uno strumento di trasmissione di logiche, idee, opinioni, e concetti, e spesso, grazie alla scelta di un linguaggio vantaggioso è possibile affrontare ogni sfida e raggiungere obiettivi in apparenza irrealizzabili. Il linguaggio di Trump è invece fatto di frasi auto-interrotte; il peggior incubo per chi lo trascrive o lo traduce. Le sue espressioni sono troppo confuse per i media che tentano di citarlo, e infastidiscono chi cerca di dare un significato ai suoi interventi. Però capire quello che Trump dice è di estrema importanza, perché il destino della Nazione, anzi della civiltà umana, si basa sullo scopo dei suoi discorsi.

 

In questo video George Lakoff parla del libro Don’t Think of an Elephant: Know Your Values and Frame the Debate: The Essential Guide for Progressives 

 

 

 

 

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Filomena Fuduli Sorrentino

Filomena Fuduli Sorrentino

Calabrese e appassionata per l’insegnamento delle lingue, dal 1983 vivo nel Long Island, NY. Laureata alla SUNY con un AAS e in lingue alla NYU con un BS e un MA, sono abilitata dallo Stato di New York all’insegnamento K-12 in italiano, ESL e spagnolo. Insegno dal 2003 lingua e cultura italiane nelle università come adjunct professor e come docente di ruolo in una scuola media del Newburgh ECSD. Nel mio tempo libero amo scrivere, leggere, cucinare, ascoltare musica, viaggiare, visitare i centri storici (soprattuto italiani) e creare cose nuove. Tra le mie passioni ci sono la moda, il mare e la natura.

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