Ancora sulla “sorprendente” elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Ricordi di una ormai lontana conversazione con Leonardo Sciascia, mentre si passa da una libreria antiquaria e l’altra, e fa incetta di vecchi mondadoriani volumi della “Scala d’oro” sui quali lui, ragazzino, si era deliziato, e ora voleva che anche gli adorati nipoti provassero analoga delizia.
Poteva essere l’inizio dell’estate del 1981? Si era comunque votato; qualche commento di circostanza e d’occasione, probabilmente banale; e lui assorto, un po’ ascolta, un po’ sembra che stia inseguendo suoi pensieri; a un certo punto la domanda che non ti aspetti: “Conosci John Dewey?”.
No, rispondo. “Era un filosofo e un pedagogista americano. Nel corso della sua lunga vita – è stato anche scrittore e insegnava all’università – ha esercitato una notevole influenza nel suo paese, e non solo per quel che riguarda i metodi di insegnamento. Si è battuto per il voto alle donne, e contro l’esecuzione dei due anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”.
Doveva essere una persona interessante, dico più che altro per cercare di stimolare Sciascia a dirmi qualcosa di più su Dewey. Allora non c’erano i tablet e altre diavolerie elettroniche che ti consentono di sapere tutto in cinque minuti e un paio di “clic”.
“Sì, Dewey è stato un personaggio interessante. Una volta ha dato della democrazia una definizione che mi è sempre piaciuta e che trovo esatta: a quanti trovavano ripugnante che anche persone ignoranti, rozze, potessero con i loro voti decidere la sorte di un paese, lui faceva l’esempio del piede: per quanto possa essere ignorante un uomo, sa se la scarpa gli viene stretta al piede. Ecco, quando si vota è la stessa cosa; magari la scarpa successiva risulta ancora più insopportabile da indossare, ma se si cambia la scarpa significa che quella di prima va stretta”.
La passeggiata, e la riflessione di Sciascia mi sono venute in mente quando, a dispetto di tutti i pronostici, Trump ha battuto Hillary Clinton. Trump molto probabilmente si rivelerà fra breve una scarpa scomodissima; ma Hillary Clinton ora è stata percepita, “vissuta” come una scarpa che faceva male. Lei e Barack Obama. Spiacevole, inquietante, ripugnante quanto si vuole; ma questo è.
Di questo si dovrebbe forse cercare di ragionare: per capire quello che evidentemente non si è compreso, o non si è compreso abbastanza: il problema non è il piede che duole; è la scarpa stretta.
Poi, certo, andrebbe fatta qualche altra considerazione. Non sarebbe inutile studiare i comportamenti di certi dittatori, come sono stati abili e capaci di fare buon uso degli strumenti di comunicazione.
Dice nulla il nome di Leni Riefenstahl? Grandissima regista tedesca, oltre che attrice e fotografa. Nel suo campo, davvero in gamba, ancor oggi i suoi film e documentari dal punto di vista “tecnico” strappano applausi. Nazistissima, e molte delle sue opere esaltano in modo sfacciato il regime hitleriano. Di Hitler era grande amica; pur senza essersi mai iscritta al partito, la “mitologia” e l’estetica nazista devono molto alla Riefenstahl, che in quegli anni cupi ha ricoperto una posizione di primo piano nella cinematografia tedesca. Un prestigio e una qualità professionale che le hanno permesso di sopravvivere alla caduta del nazismo e di cavarsela senza conseguenze gravose. Fatto è che Hitler e gli altri gerarchi compresero subito come utilizzare la Riefenstahl per i loro fini.
Anche Mussolini sapeva fare un uso sapiente dei mezzi di comunicazione di allora, la radio in particolare; e aveva colto le straordinarie potenzialità del cinema, come strumento di consenso.
E’ Mussolini che trasferisce la nascente industria cinematografica italiana da Torino a Roma e il 28 aprile 1937, inaugura Cinecittà: 14 teatri di posa, tre piscine per le riprese acquatiche, 40mila metri quadrati di strade e piazze, 35mila di aiuole e giardini, 900 dipendenti fissi, un complesso progettato dall’architetto Gino Peressutti, costruito a tempo di record: in 475 giorni. Mussolini definisce Cinecittà “un nuovo moderno centro di operosità fascista”, soprattutto strumento formidabile ed essenziale nella fabbrica del consenso: il regime offre eroi autarchici, storie esuberanti. I personaggi sono donne fatali e signorine ingenue, timidi impiegati squattrinati, sfrontati rubacuori, studentesse e nobildonne, autisti e signori in frac, tutti lanciati in avventure sentimentali, riassunte nel colore del sempre più diffuso telefono, simbolo della sana e prospera modernità dei tempi: appunto i telefoni bianchi. I registi di allora si chiamano Mario Camerini, Alessandro Blasetti, Carmine Gallone, Mario Soldati: signori registi. Gli attori Amedeo Nazzari, Fosco Giachetti, Gino Cervi, Vittorio De Sica, Massimo Girotti: signori attori.
Joseph Goebbels, la “mente” propagandistica di Hitler, elabora alcuni principi comunicativi di “aggressione” che ancora oggi possono risultare validi, fare presa:
1) Semplificare il più possibile; una sola “idea”, picchiare su quella, ossessivamente; non avere avversari, ma “nemici”, e additarli come i responsabili di ogni male, passato, presente, futuro.
2) Tutti gli avversari costituiscono un solo grande “nemico” da combattere senza concedere quartiere.
3) I “nemici” sono responsabili sempre e comunque di ogni errore e difetto. Se anche l’avversario ha a disposizione “notizie” negative da controbattere, inventarne altre sul conto del “nemico”, per distrarre.
4) Esagerare sempre, e qualunque buccia di banana del “nemico” farla diventare una gravissima minaccia per la comunità.
5) Parlare la “lingua” che tutti parlano, battutacce e imprecazioni comprese. Scendere al livello meno intelligente dell’interlocutore, farlo sentire a suo agio. Quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare.
6) Poche idee, pochissimi concetti, e ripeterli instancabilmente, declinarli in tanti modi, ma la conclusione deve essere sempre la stessa. Mai dubbi, mai incertezze: una menzogna ripetuta all’infinito diventa verità.
7) Sfornare in continuazione informazioni e nuove accuse (non importa anche se pretestuose) a ritmo frenetico, e così costringere l’avversario a rispondere; a ogni risposta opporre nuove accuse.
8) Fabbricare argomenti fittizi a partire da fonti diverse, e non importa se sulla base di informazioni parziali e/o incomplete.
9) Ignorare le domande sulle quali non ci sono argomenti da opporre, e dissimulare le notizie che favoriscono l’avversario.
10) La propaganda deve fare leva su un precedente substrato: mitologie nazionali, odi e pregiudizi “storici”, ecc.
11) Convincere l’interlocutore che le opinioni espresse sono condivise da tutti, creare un “clima” di unanimità sfavorevole all’avversario-“nemico”.
Queste, diciamo, sono le undici “regolette” consigliate da Goebbels. Tutto il perno della propaganda nazista e dei dittatori in genere fa leva su questi “principi”. Non solo Goebbels e i dittatori, dite? Anche in qualche tempio della democrazia? Ah! Allora, ragazzi, torniamo alla scarpa stretta, al piede che duole.
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