Quando annunciarono, verso metà luglio, che la Wright State University dell’Ohio non avrebbe ospitato il primo dibattito presidenziale per la campagna 2016 a causa di problematiche relative ai costi e alla sicurezza, l’onore è passato alla Hofstra University.
Come probabilmente saprete, non è la prima volta che i media a livello nazionale e mondiale arrivano nel campus. Gli spazi della Hofstra, infatti, sono già stati utilizzati per le campagne presidenziale nel 2008 e nel 2012, e oggi è diventata la prima università ad aver ospitato tre dibattiti consecutivi.
Andando a lezione il giorno successivo al dibattito nel 2008, gli studenti che avevano lavorato come volontari erano galvanizzati e sprizzavano orgoglio. Non vedevano l’ora di dirmi che, una volta finito il dibattito, i giornalisti erano stati tutti d’accordo nell’affermare che la Hofstra University si era distinta per la qualità della logistica e dell’organizzazione in un evento tanto importante. Non fu quindi un coincidenza il fatto che la Commissione Presidenziale per i Dibattiti ci scelse di nuovo nel 2012 e, poi, nel 2016 come alternativa alla Wright State University.
Direttori, staff, docenti e studenti hanno organizzato una lunga serie di eventi nel corso di tutto il semestre. Gli oratori intervenuti nelle scorse tre settimane includono l’ex governatore della Louisiana, Bobby Jindal, l’ex direttore della campagna di Barack Obama, David Axelrod e Michael Eric Dyson, professore di sociologia a Georgetown. Sono state organizzate discussioni sulle infrastrutture, sulla politica estera, sull’islamofobia, su tematiche relative al lavoro, alla sicurezza sociale, al trattato di scambio Trans-pacifico (TPP), alla scienza e all’istruzione. La Long Island Teachers For Human Rights e l’Hofstra Center for Civic Engagement hanno organizzato un giornata di eventi e dimostrazioni tra i quali, ad esempio, una conversazione incentrata sulla questione del voto dei cittadini di origini ispaniche alle presidenziali 2016, seguita da una festa al Helen Fortunoff Theater.
Le considerevoli spese necessarie per il dibattito sono state coperte dalla generosità degli ex-alunni della Hofstra, David S. Mack e Lawrence Herbert (che ha inoltre finanziato la Hofstra School of Communication). Un altro ex studente che ha appoggiato il dibattito è Peter S. Kalikow, già benefattore per la Hofstra’s Kalikow School of Government, Public Policy and International Affairs che ospita, tra l’altro, il Kalikow Center for the Study of the American Presidency.
Arrivando al campus nel pomeriggio del 26 settembre si notava che il parcheggio solitamente desolato era stato trasformato in quartier generale dei media. C’erano giornalisti locali, nazionali e internazionali, da Carol D’Auria, dell’emittente radio locale 1010 Wins Radio ai grandi CNN, MSNBC, Fox News e Bloomberg, e poi Sky e Mediaset per l’Italia. Per ospitare commentatori, analisti e opinionisti sono stati portati veri e propri set. In quella che è una buona rappresentazione dello stato del giornalismo in America, gli stand di MSNBC, CNN e Fox News erano circondati da fan e studenti mente il più professionale Bloomberg News si è posizionato di lato, ricevendo pochi osservatori, e i camion di C-Span hanno preferito allontanarsi e organizzarsi in solitaria.
Sage Camosse, studente al primo anno di Giornalismo, mi ha detto: “Prima del dibattito ho vissuto un’esperienza fantastica e indimenticabile, sono molto contento di aver avuto l’opportunità di vedere e camminare in mezzo a tutte queste diverse agenzie e di essere intervistato da reporter di tutto il mondo”.
Durante tutta la giornata molti studenti appartenenti a diverse correnti politiche sono venuti al campus per parlare con i media e, in generale, fare la loro parte in questo complicato processo chiamato “democrazia”. La confusione si è fatta notare anche in altri modi: come già accaduto nei precedenti dibattiti, la candidata del Green Party, Jill Stein, che non è riuscita a guadagnarsi un posto sul palco per non aver superato la soglia minima del 15 per cento, è stata scortata dalla polizia fuori dall’Università.
Secondo il regolamento, la Hofstra ha distribuito i biglietti agli studenti tramite una lotteria alle quale hanno partecipato 7.500 persone per un totale di 300 posti disponibili (15 biglietti sono anche stati offerti a studenti dalla Wright State University). Gli altri studenti, i professori e il personale dell’università hanno assistito al dibattito dalle numerose postazioni allestite appositamente in tutto il campus. Mantenendosi fedele a quella che è ormai diventata una tradizione, il presidente Stuart Rabinowitz ha ceduto il suo biglietto ad uno studente.
Le reazioni sono state diverse. Camosse, lo studente di Giornalismo, ha affermato: “Per quanto riguarda il dibattito in sé non credo che abbiano discusso di politica in modo sufficiente, e il mediatore è stato molto duro con Trump: non ha chiesto nulla a Clinton riguardo punti dolenti come lo scandalo delle email o Bengasi”. A molti, il dibattito non ha fatto cambiare opinione: “Il dibattito non ha cambiato la mia decisione. L’esperienza in generale è stata fantastica e non la dimenticherò mai, ma il dibattito in sé è stato spento e di parte”.
Jonathan Fidis, studente di storia, pensa che il dibattito avrebbe dovuto essere moderato in maniera migliore. “I candidati sono stati molto duri uno con l’altro — ha fatto notare — e il moderatore non ha fatto niente per metterci un limite”. Fidis pensa che Hillary Clinton abbia vinto: “Le sue idee erano confermate con argomenti e dati migliori rispetto a quelle di Donald Trump… i suoi piani sono risultati molto deboli e con poche basi. Penso anche che Clinton abbia vinto il dibattito perché ha incassato tutti i commenti di Trump con grazia e compostezza, mentre Trump era molto sgarbato nel rispondere”. Dopo il dibattito, Fidis era meglio informato rispetto alle diverse posizioni dei due candidati su una varietà di argomenti. “La campagna di Trump si concentra molto sulla riduzione del debito nazionale, sulla lotta all’ISIS e sul problema dell’immigrazione illegale nel paese. Clinton, invece, punta sul miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini ma anche sul rafforzamento delle relazioni internazionali americane e la riduzione del debito. Clinton, poi, ha messo molta enfasi sulla necessità di ridurre le armi e di migliorare le relazioni razziali in tutto il paese. Entrambi i candidati hanno riconosciuto l’importanza di ridurre il debito nazionale. La relazione tra immigrati dal Medio Oriente e dal Messico e la sicurezza nazionale ha messo in luce opinioni differenti: Trump ha definito i messicani come ‘criminali’ e i mediorientali come ‘terroristi’, rinforzando così la mia convinzione riguardo al fatto che le paure in questo paese nascano dagli stereotipi piuttosto che dalle esperienze o dai fatti”. Dopo aver guardato il dibattito, Fidis ha affermato: “Ora tutto quello che posso sperare è che alcune persone cambino idea rispetto al loro desiderio di make America great again”.
Il mediatore Lester Holt sembrava aver perso il controllo del dibattito, almeno su Donald Trump, fin dal primo momento. Holt non è riuscito ad imporsi e a dominare Trump che ha interrotto Clinton dozzine di volte per fare commenti derisori. Quando la candidata ha fatto notare che il suo avversario non paga in modo corretto le tasse, Trump si è intromesso per affermare: “Questo mi rende furbo”. All’accusa di dichiarato ben sei volte bancarotta, il repubblicano ha risposto: “Approfitto delle leggi della nazione”. Lo scambio più scioccante, anche se tenuto in scarsa considerazione dai commentatori, è stata la difesa di Trump di quello che è effettivamente un crimine di guerra: “Se andiamo in Medio Oriente, dobbiamo almeno prenderci il petrolio”. O il candidato non è a conoscenza del fatto che l’espropriazione di risorse naturali durante un’occupazione militare va contro la legge internazionale, oppure con una certa scaltrezza politica sa che una linea così forte può essere premiata da certi settori della società americana.
Chi scrive ha guardato il dibattito dalla Axinn Library con altri docenti e membri del personale. Le mie sensazioni contrastanti sono ben riassunte dai commenti postati su Twitter da due osservatori politici amatoriali. L’oltraggioso conduttore televisivo Jerry Spinger, auto-proclamatosi “domatore della fine della civilizzazione”, in un commento degno di Marx (sia Karl che Groucho) ha affermato che “Hillary Clinton appartiene alla Casa Bianca. Donal Trump appartiene al mio show”. Ma la cabarettista Ashley Hesseltine ha messo in guardia: “Tutti pensate che Hillary l0 stia bastonando, ma la stupida maggioranza di questo paese di certo pensa che Donald la stia massacrando”.
La studentessa di Storia e Scienze Politiche Natasha Rappazzo ha commentato: “Il dibattito è stato deciso e forte, come mi aspettavo. Credo che Clinton fosse più preparata. Nonostante molti pensano che sia malata, in TV sembrava stesse bene e ha avuto una grande performance. Trump si è comportato proprio come immaginavo, in modo rude, eludendo le domande e rispondendo senza sapere abbastanza. Si è messo in imbarazzo da solo, stasera. Il fatto che Trump non accetti che la pratica dello stop-and-frisk [la pratica della polizia di effettuare perquisizioni casuali, ndt] sia stata gudicata incostituzionale è molto seccante e sprecare anche un solo momento a discutere della cittadinanza di Obama è stata una perdita di tempo”.
In politica, la percezione è fondamentale e Rappazzo ha qualche considerazione su questo: “L’aggressitivtà di Trump e i toni pesanti non risultavano affatto positivi vicino ad una Clinton calma e posata”. Ma, alla fine, la studentessa è tornata a casa delusa dalla candidata democratica rispetto ad un punto centrale: “Sarebbe stato importante menzionare le tematiche delle diseguaglianze razziali e della riforma della giustizia criminale, e credo che nessuno dei due abbia ben chiara la necessità di cambiare la visione diffusa delle persone di colore, specialmente nel sistema legale. Clinton dice di voler migliorare le comunicazioni nelle comunità e fermare i pregiudizi, ma il problema è che il razzismo è ormai radicato a livelli più profondi. È necessario assicurare l’accesso a migliori possibilità di educazione e opportunità economiche. Questo dovrebbe essere il suo piano per il cambiamento”.
Martedì, Rappazzo e la sua compagna Emile Back, entrambe fellows alla Long Island Alliance for Peaceful Alternatives, insieme alla professoressa di Storia alla Hofstra Universitu Carolyne Eisenberg, hanno organizzato una discussione post-dibattito alle 12:45 presso l’Hofstra Cultural Center Theater. Tutti gli eventi passati e futuri si possono trovare sul sito Internet dell’Università.
Giornalisti e opinionisti italiani come Beppe Severgnini e Barbie Latzi Nadeau hanno messo in guardia gli americani riguardo al fatto che Trump rappresenta la versione a stelle e strisce di Silvio Berlusconi.
Karl Marx, scrivendo a proposito di Napoleone III, fece notare che la storia si ripete, prima come tragedia e poi in forma di farsa. Se abbiamo già vissuto la tragedia di Mussolini e la farsa di Berlusconi, come potremo definire una presidenza Trump?
Stanislao G. Pugliese è docente di Storia moderna europea e distinguished professor Queensboro Unico di Studi italiani e italoamericani alla Hofstra University. Esperto di Italia moderna, antifascismo ed ebraeisimo italiano, Pugliese è autore, redattore o traduttore di una dozzina di libri sulla storia italo americana e italiana. Nel 2009, Farrar, Straus and Giroux ha pubblicato il suo libro,Bitter Spring: A Life of Ignazio Silone che ha vinto il Premio Fraenkel a Londra, il Premio Flaiano in Italia e il Premio Howard Marraro della American Historical Association.
Traduzione di Laura Loguercio