Lunedì 26 settembre il ministro italiano dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini ha tenuto un dibattito presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò, centro accademico della New York University situato nel cuore del West Village a Manhattan.
In un periodo certamente impegnativo che coincide con l’inizio del nuovo anno scolastico e l’avvio della Buona Scuola voluta dal governo Renzi, il ministro si è messo in viaggio per gli Stati Uniti visitando i principali centri di istruzione e ricerca dell’East Coast.
Alla NYU, Giannini è stata accolta dal direttore della Casa Italiana Stefano Albertini e dopo l’intervento d’apertura del ministro, il Prof. Albertini ha mediato un breve dibattito aprendo il microfono alle domande del pubblico presente in sala, composto in gran parte da professori di italiano o studenti che dal Bel Paese sono ora arrivati New York, studiando per master e dottorati. Ad ascoltare anche il Console Generale Francesco Genuardi.
Facendo riferimento alla sua formazione come linguista e glottologa, Giannini ha cominciato proprio menzionando i progressi fatti nell’insegnamento della lingua italiana negli Stati Uniti a partire dalla sua prima visita alla NYU, nel 1996, quando allora guidava la Scuola per Stranieri di Perugia: “Il programma sta andando molto bene, il numero di studenti aumenta sempre di più. Questo è molto importante, perchè il linguaggio non è solo uno strumento che usiamo per comunicare ma ci permette di scoprire e conoscere una nuova visione del mondo” ha affermato il ministro. Negli ultimi 20 anni, però, molte altre cose sono cambiate con l’arrivo di nuovi problemi, nuove sfide ma anche nuove possibilità. Fondamentale, tra i cambiamenti più recenti, è certamente la questione della Brexit, definita uno “shock” dal ministro. Per quanto riguarda gli sviluppi nel settore educativo, Giannini ha affermato: “Le conseguenze del processo di uscita della Grand Bretagna dall’Europa non sono ancora chiare. Non si come e se proseguirà il programma di Erasmus e che opportunità saranno offerte ai ricercatori”.
Giannini ha poi messo l’accento sulle grandi responsabilità che oggi ricadono sui governi nazionali, tenuti ad affrontare sfide come il cambiamento climatico e la crescita dei flussi migratori. “Per quanto riguarda il governo italiano, credo che le decisioni debbano essere prese a livello europeo. Senza il supporto dell’Europa è molto difficile avere un ruolo importante nel nuovo scenario mondiale. L’Europa deve cambiare il suo approccio verso la creazione di nuovi posti di lavoro, investire di più nella sicurezza per sconfiggere il terrorismo e lasciare che gli investimenti siano guidati realmente dalle idee e non soltanto da numeri e classifiche” ha affermato il ministro, sottolineando poi il ruolo fondamentale che l’istruzione deve svolgere a tutti i livelli e precisando che “in tutti questi campi, l’Italia sta cercando di essere un esempio. Dobbiamo ripensare il modo in cui impariamo e insegniamo, introducendo nuove metodologie, per rompere un lungo periodo di stagnazione”. Per fare questo, è stata evidenziata l’importanza dei programmi di “rivoluzione tecnologica” inseriti nella scuola, il potenziamento della facoltà di pensiero critico e la necessità di coinvolgere in modo migliore gli insegnanti in tutte le fasi del processo. Passando alla situazione particolare delle università, Giannini ha affermato: “Dobbiamo cambiare il modello finanziario e valutativo che sta alla base delle nostre università. Dobbiamo creare un vero e proprio ecosistema per la ricerca che sia davvero efficace e attraente”. Due le iniziative usate come esempio: una chiamata internazionale da lanciare entro la fine del 2016 permetterà a 500 docenti e professori di tutto il mondo che vadano a creare, per tre anni, un ambiente di crescita per tutto il mondo universitario e il progetto Top Researchers che offrirà ai ricercatori italiani le risorse necessarie. Importanti, poi anche il progetto Industria 4.0 appena inaugurato e mirato a favorire “il salto tecnologico e la produttività” e la costruzione, entro il 2018, dello Human Technopole nell’area precedentemente occupata da Expo, alle porte di Milano. “Senza destinare una buona quota di risorse e finanziamenti all’istruzione è impossibile risultare competitivi a livello internazionale” ha affermato Giannini dal leggio della Casa italiana Zerillo-Marimò, concludendo poi il suo intervento con un forte appello a favore del referendum costituzionale voluto dal governo Renzi, per il quale gli italiani andranno al voto il prossimo 4 dicembre: “L’Italia sta aspettando da più di vent’anni di poter cambiare per migliorare e modernizzarsi. Credo che, ora, gli italiani sceglieranno di andare avanti”.
In seguito, il direttore Albertini ha aperto il dibattito con una prima domanda riguardante le possibili soluzioni ai problemi del nepotismo e della corruzione che ancora dominano negli ambienti universitari italiani. “Il settore universitario non è più corrotto di molti altri e tutto ciò dipende da impostazioni culturali sbagliate, non da leggi ingiuste. Quello che possiamo fare è cercare di rendere il sistema più semplice e più trasparente, dando così a coloro che devono scegliere chi assumere maggiori responsabilità. La riforma Gelmini ha complicato le procedure”. Giannini ha proseguito puntando l’accento sul fatto che ora l’assunzione nella scuola è stata resa più semplice grazie all’eliminazione del sistema stop-and-go, che permetteva di inserirsi in graduatoria solo in determinati momenti, separati magari da anni di inattività. “Dobbiamo però ricordare che, in Italia, la scuola è pubblica e in quanto tale va gestita a livello nazionale” ha poi affermato.
Per quanto riguarda la controversa presenza del settore privato nelle scuole, Giannini ha così dichiarato: “Senza demonizzare il privato, sono fermamente convinta che proprio perchè l’istruzione è un diritto umano fondamentale, essa sia un bene pubblico e quindi noi continuiamo a gestirla come tale. Questo non significa che la scuola debba essere gestita e controllata dallo Stato, ma che lo Stato deve avere il ruolo di garante. La linea di demarcazione è fondamentale”.
Un’altra questione importante è stata sollevata da Simone Somekh, un giovane giornalista torinese che, dopo la laurea a Tel Aviv, studia ora per un master alla NYU. “Credo che il sistema italiano renda molto difficile il processo di riconoscimento delle esperienze all’estero. Servirebbe maggiore flessibilità” ha fatto notare il ragazzo. Giannini si è detta d’accordo con Somekh, precisando poi però che “ora stiamo cambiando. Studiare all’estero non è più un’opportunità offerta solo agli studenti universitari ma sta diventando sempre più popolare anche al liceo, e stiamo cercando di incoraggiare i professori perchè riconoscano il valore umano e culturale di queste esperienze. Il solo modo per riuscire in questo, però, è fornire più autonomia alle scuole italiane. È una questione di mentalità”.
Come ultima domanda, Albertini ha domandato al ministro cosa, secondo lei, il sistema universitario americano potrebbe imparare dall’Italia e viceversa. Giannini ha risposto: “Credo in Italia dovremmo imparare ad essere più aperti. Questo significa non spaventarsi quando si hanno competizioni con studenti e professori di altri paesi e offrire la possibilità di fare più esperienze all’estero per arricchirsi. Per quanto riguarda la lezione italiana, invece, mi preoccupata la tendenza che si sta diffondendo negli Stati Uniti verso il taglio di fondi per le materie umanistiche, che invece sono fondamentali”.