Qualche giorno fa Emma Bonino era a New York per partecipare alle Nazioni Unite, come capo delegazione dell’Italia, alla annuale conferenza sullo stato delle donne. Dopo aver terminato alla missione italiana una conferenza stampa tenuta insieme al Sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova e la delegazione dei parlamentari italiani, l’avevamo intervistata per Radio Radicale. Con un’Europa sempre più frantumata dalla crisi dei migranti-rifugiati e spaventata dagli attacchi islamisti (questa intervista è avvenuta prima dell’attacco a Bruxelles), abbiamo pensato che anche ai lettori de La Voce di New York potesse interessare leggere pensieri, consigli e timori espressi dall’ex ministro gli Esteri italiano ed ex commissario europeo ai diritti umani.
Ecco la trascrizione dell’intervista avvenuta dentro l’ufficio dell’ambasciatore d’Italia alle Nazioni Unite Sebastiano Cardi che ringraziamo vivamente per l’ospitalità e la pronta collaborazione.
Chiediamo subito a Emma Bonino, che ha appena ultimato un tour de force di incontri e di conferenze all’ONU, com’è andata?
“Io penso di aver valutato degli elementi positivi in tutti i settori. Ormai a livello internazionale è quasi impossibile, e per fortuna, toccare un tema senza riscontrare un atteggiamento di attenzione alle potenzialità femminili. Fino a qualche anno fa non era proprio così e penso che da questo punto di vista le campagne guidate da noi radicali col supporto del governo italiano sulle mutilazioni genitali femminili, sui matrimoni forzati ecc, siano state un contributo utile. Abbiamo una capacità nostra, un po’ italiana, di inserire questo tema in tutte le attività. Women for Expo per esempio è stata anche lì una novità, ma è stata poi accettata come dato istituzionale, quindi d’ora in poi tutte le candidature per Expo non saranno prese in considerazione se non avranno un programma al femminile. Questo non vuol dire che poi a livello nazionale i passi in avanti siano altrettanto evidenti, anzi, devo dire che è molto lenta l’implementazione a livello nazionale, però io credo che bisogna farci forza dei riconoscimenti positivi”.
Lei ha ricordato in conferenza stampa che sembra un’era fa quando queste tematiche al Palazzo di Vetro le portava per la prima volta con le ong radicali da lei fondate, ma si trattava soltanto di dodici anni fa. Ma allora queste tematiche, come le mutilazioni genitali femminili, erano un tabù, invece adesso se ne parla apertamente e non si deve più giocare con le parole: quindi un grande successo dell’Italia all’ONU per i diritti della donna?
“Sì, io credo proprio di sì, e credo la sinergia dimostri che quando si riesce a lavorare insieme, parlamento e istituzioni, partiti, associazioni, governi ecc., quando si riesce in modo ordinato a fare sinergie, si riesce anche a fare dei passi avanti. Lenti, ripeto, però qui adesso mi pare che almeno su quel tema, che si tira dietro anche i matrimoni giovanili e forzati, il family planning e la salute sessuale riproduttiva, insomma mi sembra in termini anche di atmosfera abbiamo una grande differenza rispetto a quello che ricordo dieci anni fa, quando era proprio difficile parlare anche solo di mutilazioni genitali femminili ed essere ascoltati”.
Il pubblico forse non si accorge, ma l’Italia all’ONU ha ancora un certo peso. Proprio in questi ultimi mesi c’è la candidatura al Consiglio di sicurezza, quindi anche Lei, che è ben conosciuta al Palazzo di Vetro, cerca di sostenere questa candidatura italiana. Rispetto agli anni passati, come vede questo ruolo dell’Italia all’ONU: rimane forte?
“Secondo me sì, soprattutto viene riconosciuta all’Italia la capacità di essere ponte tra culture, cioè di non avere vocazioni velleitarie per altro di imposizione di alcunché, ma pur guardando fortemente ai valori, quindi senza cedere di un passo, ha la capacità di essere un ponte di dialogo con altre culture, difendendo ovviamente i nostri punti. Questo viene riconosciuto, l’Italia come un paese che non ha velleità di imporre chissà che o una sua visione del mondo, ma che è tenacemente attaccato a difendere anche questo ruolo di dialogo. Io ieri ho visto delegazioni di vario tipo, in parte le conoscevo, in parte ovviamente no, però questo ruolo di ponte ci viene riconosciuto adesso anche in base alla candidatura al Consiglio di sicurezza perché rispetto ai colleghi europei, la candidatura italiana è l’unica mediterranea e che quindi si riconosce possa essere ponte tra realtà Mediterraneo-Africa per esempio, Mediterraneo sud-nord. Insomma, mi pare che questo venga riconosciuto”.
E dato che ha appena detto Mediterraneo, passiamo ai temi caldissimi dell’attualità, che sono tre: migranti e l’Europa (il giorno dell’intervista era la vigilia del vertice UE-Turchia, ndr), e poi anche Siria e Libia. La crisi dei migranti. L’ONU continua a mettere in guardia l’Europa a non prendere le decisioni sbagliate. Quali sarebbero queste decisioni sbagliate e quali potrebbero essere invece quelle giuste?
“Io credo che la decisione sbagliata sia quella dei muri, dei fili spinati, che dà l’illusione di risolvere un problema e invece lo nasconde solo. Un muro non ti fa vedere dall’altra parte ma dall’altra parte non è che il problema sia sparito, anzi, imputridisce sempre di più. E questa è una decisione presa unilateralmente da parecchi paesi europei e io la trovo una vergogna francamente. L’Europa è quella che ha voluto la convenzione di Ginevra sui rifugiati, che si è tanto battuta, e improvvisamente decidiamo che non ha più valore. Non so cosa succederà ovviamente al vertice di domani tra UE e Turchia. Non ho però delle speranze troppo positive visto com’è andata la divisione all’interno degli Stati membri di questi ultimi mesi. Però io ritengo che questo, se va avanti così, rimarrà una vergogna indelebile sull’Europa e una assoluta perdita di credibilità perché è chiaro che se alziamo dei muri noi, poi è molto difficile andare in Turchia e chiedere che aprano le frontiere con la Siria. Forse i leader europei non si rendono conto di che dramma non solo umano stanno infliggendo a centinaia di migliaia di persone ma anche di quale perdita di ruolo e di credibilità dell’Europa in generale e a livello mondiale”.
Lei l’ha sentita nel Palazzo di vetro questa perdita di credibilità?
“Sì, si sente bene questo”.
Quando Lei era Ministro degli Esteri e gli Stato Uniti stavano per attaccare la Siria, con il presidente Barack Obama pronto a dare l’ordine alle portaerei già schierate per lanciare gli aerei o i missili contro il regime di Damasco, lei fu quella ad avere il coraggio, tra i Ministri degli Esteri dell’Europa, ad alzare più forte la voce dicendo che le armi e le bombe non avrebbero risolto il problema, ma l’avrebbero addirittura peggiorato. Quando questa settimana è arrivata al Palazzo di Vetro, c’è stato l’annuncio del presidente russo Vladimir Putin del ritiro dei russi dalla Siria, che ha sorpreso un po’ tutti. Ecco, col senno di poi, Lei in quel frangente di due-tre anni fa, avrebbe fatto qualcosa di diverso di quello che ha fatto?
“No. E penso che certo, una soluzione miracolosa la vorremmo tutti, peccato che non sia a portata di mano perché, oltre agli interventi esterni, le quattro capitali Teheran, Ankara, Damasco e Riyad, ancora non si sono messe d’accordo. Questa è la verità della situazione. All’epoca in realtà, più che aerei diretti su Damasco, si parlava di armare i ribelli democratici, cosa che mi rifiutai di fare. Volevo almeno una lista di quelli che erano considerati i famosi ‘ribelli democratici’. Altri paesi poi però l’hanno fatta questa operazione”.
Ancora non si parlava di ISIS tra l’altro…
“Che però già stava là, non è che sia venuta dopo. L’ISIS è tra l’Iraq e la Siria dal 2006. Ma noi, non so perché, ci facciamo sempre sorprendere… Però, i ribelli, si fa per dire, sono stati armati con risultati più che mediocri. Poi c’è stato l’intervento russo a tutela di interessi che la Russia ha sempre detto di avere in Siria, a Tartus. Oggi si è aperta una tregua fragilissima con molte violazioni, che mi auguro apra in qualche modo un dialogo diplomatico, ma la strada non è solo fragile ma lunga e lunghissima e le sofferenze continueranno”.
(Tornata in Italia, avvenuto l’attento dell’ISIS a Bruxelles, Bonino ha rilasciato delle dichiarazioni alla agenzia LaPresse che riteniamo importante inserire anche qui: “Se ripercorriamo l’esperienza delle emigrazioni dell’Italia, visto che siamo un Paese di milioni di emigrati, vedremo che ‘Little Italy’ a New York, un ghetto italiano dove spadroneggiava la mafia che taglieggiava soprattutto gli italiani, nessuno li ha denunciati mai i mafiosi, per paura, per mancata integrazione. E noi in Europa abbiamo lasciato crescere dei ghetti impenetrabili: Molenbeek, è un ghetto a 90% di islamici, impenetrabile al resto della popolazione, peraltro nella polizia belga nessuno parla arabo. E questo dimostra quanto siamo completamente sprovveduti. Anche qui il non parlare e il non denunciare da parte dei musulmani onesti ha le stesse motivazioni di ‘Little Italy’ in America: il non sentirsi integrati e protetti”).
Passiamo alla Libia. Abbiamo letto che l’ambasciatore americano in Italia esortava l’Italia a mandare 5000 soldati. Renzi e Gentiloni, che abbiamo da poco ascoltato a New York, hanno ragione a rifiutare il consiglio?
“Sì. Conoscendo un po’ la Libia, un intervento esterno è veramente il modo di coalizzare tutti i libici contro di noi. Questi libici che disputano su qualunque cosa, rispetto a un intervento esterno, si coalizzerebbero in modo uniforme. Tripoli ha già detto…”
E allora la soluzione?
“Non c’è, se non un’insistenza di dialogo tra le parti, tenuto conto del ruolo di Tobruk e dell’Egitto, e quindi poi dell’Arabia Saudita”.
Ma la carota senza il bastone funzionerà?
“Il problema che il bastone rischia di fare ulteriori danni come dicevo, perché se noi abbiamo una coalizione intera di libici contro l’intervento esterno, percepito come l’intervento del 2011 insomma, contribuiamo ulteriormente credo allo sfascio. La persistenza diplomatica ha questo di limite, che è lunga, però aggiungere danno a danno non è sicuramente una soluzione”.
E visto che non ci troviamo solo all’ONU, ma negli Stati Uniti: il successo di Donald Trump alle primarie repubblicane la preoccupa?
“Mi sorprende. Non so se mi preoccupa perché penso cha alla fine un po’ di senso comune dovrebbe venire, ma mi sorprende che un grande paese come gli Stati Uniti, di grandi forze e poi gran parte dell’opinione pubblica riesca ad essere affascinato da un personaggio le cui posizioni sono veramente difficilmente sostenibili”.
Chiudiamo questa intervista con Emma Bonino con una notizia che viene dalla conferenza stampa: la delegazione dei parlamentari ha chiesto al Sottosegretario Della Vedova di chiedere al governo di accettare la loro proposta di candidare lei a ministro, perché secondo loro l’Italia avrebbe bisogno di un ministro per le pari opportunità. Emma Bonino torna al governo?
“No, no, non se ne parla proprio. Io penso di riuscire a fare del lavoro nella posizione in cui sto. Penso che sarebbe bene che il governo avesse un Ministro delle pari opportunità per coordinare tutta una serie di attività. Non è il posto mio”.