L’infanzia in un piccolo paese del Friuli Venezia Giulia, poi il Collegio del Mondo Unito, l’Università di Cambridge e infine l’American University a Il Cairo, dove stava svolgendo parte del suo dottorato: quello di Giulio Regeni era evidentemente il percorso di chi vuole conoscere “l’altro da se’ ”. E, paradossalmente, quella sete di conoscere, di comprendere, gli è costata la vita.
Scriveva Giulio una decina di giorni prima della sua scomparsa: “…In un contesto autoritario e repressivo come quello dell’Egitto dell’ex-generale al-Sisi, il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento… ” E, poco importa dove Giulio pubblicasse e/o con quale pseudonimo: in un mondo in cui tutti vogliono apparire, a questo ragazzo interessava apprendere e poi diffondere quanto aveva appreso, divulgare conoscenza, filtrata certo, attraverso la sua personale esperienza e il suo “background culturale”, inteso nel senso più ampio del termine.
Giulio parlava di muri da abbattere. Quei muri invece lo hanno schiacciato.
Giulio disponeva inoltre di un asset fondamentale per la reale comprensione delle dinamiche culturali e sociali all’interno di quello specifico contesto di riferimento in cui si muoveva: conosceva la lingua araba. La lingua costituisce infatti la materia prima della nostra diversità e il primo dei mattoni di cui è fatta la nostra crescita sociale e culturale. La lingua è l’espressione più diretta della cultura, è quello che ci rende umani e che conferisce a ognuno di noi un senso d’identità. La lingua è dunque l’elemento primo identitario ed il mezzo principale attraverso cui comprendere e interpretare la realtà e la cultura in cui ci caliamo.
Cultura e conoscenza: un binomio indissolubile. La cultura identifica la persona, la colloca entro un determinato ambito, ma la conoscenza, che l’individuo man mano acquisisce, scardina il modello culturale e sociale di riferimento in cui il soggetto è collocato, lo reinterpreta e il soggetto stesso ne esce modificato. E il cambiamento reca in sé un valore aggiunto positivo; modificarsi vuol dire aprirsi, crescere, comprendere, attingere, confrontarsi: diventare altro.
Le democrazie, quelle compiute, poggiano sui valori fondamentali di libertà, giustizia, uguaglianza, rispetto della legge e protezione dei diritti umani e considerano lo scambio e il trasferimento di conoscenza strumenti indispensabili per l’accrescimento degli individui e della società.
La conoscenza è lo strumento più potente di cui l’uomo dispone: e per questo, ancora oggi, nel XXI secolo, fa ancora così paura.
La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione dei fatti, della verità, è acquisizione e divulgazione dell’informazione. E’ quel bene che cresce man mano che lo si consuma. La conoscenza e la sua diffusione hanno da sempre avuto un ruolo determinante nell’evoluzione della società. Ma se lo sviluppo della “conoscenza” è un processo inarrestabile, non altrettanto può dirsi della sua diffusione e della possibilità di accedervi, che costituisce uno degli strumenti, se non addirittura il primo, di democrazia, perché “conoscere” equivale a “poter scegliere”. La conoscenza è libertà. E’ solo attraverso un’informazione libera e pervasiva che è possibile il mantenimento e lo sviluppo della democrazia e di una cittadinanza attiva e consapevole
Accade così che nei regimi totalitari, nelle democrazie mancate, l’acquisizione di sapere, di conoscenza, siano ostacolati con ogni mezzo, se necessario anche sopprimendo gli individui.
Ma sopprimere gli individui, non può sopprimere né la diffusione dell’informazione , né quella della conoscenza: oggi grazie all’introduzione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione , internet in primis, vero strumento di democrazia, è possibile approvvigionarsi e diffondere sapere, raggiungendo ovunque e chiunque nel mondo. E’ quanto accaduto durante le Primavere Arabe: la rete è stata fondamentale.
Ed è proprio nel giorno dell’Anniversario della Primavera Araba egiziana che Giulio è sparito.
E la sua uccisione oltre al dolore e alla rabbia, induce a riflettere su tutta una serie di questioni, fra cui quella del prevalere dell’interesse economico su ogni altro.
Quello egiziano è secondo Human Rights Watch il “Regime più repressivo della storia egiziana”. Eppure, da quando il Generale Abdel Fatah Al-Sisi è diventato Presidente del paese, i rapporti economico-politici dell’Italia con l’Egitto hanno visto un’importante accelerazione. Vi è stato un proliferare di accordi e di promesse volte a favorire scambi e investimenti e a fornire, laddove necessario, sostegno politico. L’Egitto è il nostro primo mercato in Africa con un interscambio di 5 miliardi di dollari e l’obiettivo dichiarato del nostro Governo di arrivare a quota 6 entro il 2016.
Le grandi aziende italiane, 44 oggi presenti nel paese (tra cui Ferrovie dello Stato, Telecom, Techint) senza contare tutto l’indotto di quelle ad esse collegate, hanno in ballo gare d’appalto per 2,5 miliardi di dollari e l’obiettivo è “aggiudicarseli” come aveva sottolineato qualche mese fa Carlo Calenda, allora Vice Ministro allo Sviluppo Economico, parlando del Forum Italia-Egitto svoltosi all’hotel Four Season, proprio a due passi da quella piazza Tahrir, dove era scoppiata la rivolta egiziana del 2011. Ansaldo punta a una commessa da 500 milioni per realizzare nuove centrali elettriche, Fincantieri è in gara per un appalto da 600 milioni per costruire piattaforme e navi per l’esplorazione petrolifera. Eni è in Egitto da cinquant’anni. Ha avviato un piano di investimenti da tre miliardi di dollari per la perforazione di nuovi pozzi e ha rilanciato le attività di esplorazione nel deserto occidentale, nel Mediterraneo e nel Sinai. L’investimento complessivo di Eni per il mega giacimento di gas scoperto dal gruppo italiano nell’offshore egiziano del Mar Mediterraneo dovrebbe raggiungere i 7 miliardi di dollari.
I numeri sono impressionanti.
Poco importa se l’Egitto risulta un regime repressivo e autoritario: “pecunia non olet.”
Altrettanto evidente risulta come il successo economico non necessiti della democrazia. Il rapporto fra crescita economica e crescita democratica ci ricorda la nota disputa che vide protagonisti in Italia, tra gli altri, Luigi Einaudi e Benedetto Croce su liberismo e liberalismo. La storia del pensiero politico è ricca di argomenti a favore e contro il nesso tra libertà politica e libertà economica.
In realtà, il teorema che ha dominato la filosofia politica degli ultimi vent’anni del secolo scorso è stato ispirata dalla prospettiva che, sebbene tra democrazia e libertà economica non ci fosse un legame logico, l’esperienza storica mostrava che paesi politicamente repressi, alla lunga, qualora avessero ampliato i margini della libertà sul fronte economico, sarebbero stati costretti ad allargare le maglie della repressione politica fino ad esplodere o a collassare, in forza della spinta interna proveniente dall’inedita presenza di una classe borghese, imprenditoriale, capitalista. Tale teorema sembra però essere messo in discussione proprio da casi come quello dell’Egitto, dove alla crescita economica, di pochi, non si accompagna la crescita democratica del Paese.
Vorremmo augurarci che nessun interesse economico possa giustificare l’accettazione da parte del nostro Paese, di una verità parziale, che consenta di proseguire i rapporti economico-politici avviati fra Italia e Egitto senza intoppi eccessivi, considerando quanto accaduto, un incidente di percorso.
Mentre pubblichiamo si tengono i funerali di Giulio. Ma Giulio è vivo, è più vivo che mai. Giulio è il suo pensiero, quel pensiero che sarà il nutrimento di tante altre intelligenze. Dopo Giulio, ci sarà un altro Giulio, e poi un altro e un altro ancora…Giulio è stato calpestato, così come viene calpestata l’erba che cresce rigogliosa nei tanti prati che ancora ci sono a Fiumicello: ma non dimentichiamoci che “l’erba calpestata, diventa sentiero”. Così Giulio.
Emanuela Scridel, laureata all’Università L. Bocconi di Milano in “Economia politica”, ha lavorato presso Organismi Internazionali quali le Nazioni Unite e la Commissione Europea e presso istituzioni pubbliche e private, fra cui Confindustria, Ministero Affari Esteri, Ministero dei Beni Culturali. E’ attualmente Esperto presso la Commissione Europea e docente di strategie internazionali presso diverse università fra cui SDA Bocconi e LUISS. E’ autrice di numerose pubblicazioni fra cui il volume: “L’India: da paese in via di sviluppo a potenza economica. Strategia di sviluppo e ruolo dei mercati finanziari internazionali”