Può sollevare un po’ di ironia questo titolo e questo articolo, ma in fondo quello che è la storia di un piatto tipico di Pantelleria è anche il risultato di un percorso di popoli.
Una cosa è certa: in Europa è in atto una delle più grandi trasformazioni sociali degli ultimi decenni. Parte dovuta alla feroce crisi economica che ormai da un decennio ha rallentato ed in molti casi ha recesso l’economia di quasi tutta l’Unione Europea. Tanta disoccupazione, quella giovanile alle stelle, medie e piccole aziende che chiudono, difficoltà di tante famiglie ad arrivare a fine mese. Con la reale sensazione dell’incapacità della politica di saper trovare delle soluzioni. Troppo spesso assente, quasi sempre incapace.
Ma, il cambiamento più radicale arriva da quello che sta succedendo alle frontiere dei paesi europei. Enormi masse di persone stanno migrando verso l’Europa. Non più clandestini, non più trafficanti di carne umana, ma una moltitudine di persone in cammino, in fuga da orrori di guerre e persecuzioni etniche.
Qualcosa cambierà e qualcosa è cambiato. Forse la coscienza sporca di un’Europa unita solo da aspetti monetari e finanziari e mai unita negli intenti politici e sociali, forse perché conscia dei propri gravi errori e responsabilità verso questi popoli così vicini ma tenuti così lontani da un reale sostegno allo sviluppo, forse perché avremmo mostrato la parte peggiore al mondo intero, l’Europa ha aperto le proprie frontiere all’accoglienza. Era ora.
Non so come e quale sarà il futuro della nuova Europa, ma il tempo grande medico di tanti mali, forse, come sempre, darà, lo spero, nuove positive realtà sociali, dove un mondo che è di nessuno e tutti, lo sia per tutti.
Cosa c’entra il Couscous con tutto questo? Certo dopo tutta questa serietà, parlare di cibo sembra banale e poco adeguato, ma se guardiamo la cosa anche da punto vista alimentare e seguiamo le vie del cibo, non possiamo non constatare che buona parte di quello che mettiamo nella nostre tavole ha viaggiato e percorso migliaia di chilometri. Ma non vi annoio con i vari prodotti migranti che utilizziamo, ma il percorso del Couscous, maiuscolo, di Pantelleria forse tra storia e leggenda, in breve, la racconto.
Si dice che sia nato in India da una cuoca che, per sollevare il morale del proprio principe affranto da problemi di cuore, abbia cotto la semola mescolandola con miele e frutta secca e che il principe almeno col palato abbia trovato sollievo. Si dice anche sia arrivato in Siria – ma guarda che combinazione – dove al dolce è stato sostituito un condimento salato a base di legumi e verdure.
Di sicuro gli arabi lo hanno portato a Pantelleria, dove è diventato uno dei piatti tipici della cucina pantesca, quasi l’identità del pantesco stesso. Ma da noi, rispetto ad altri paesi arabi della costa del Mediterraneo, ed altri paesi europei dove si è “adottato”, Spagna, Francia e Italia, ha subito un’ulteriore trasformazione, unica.
Alla semola cotta e bagnata da zuppa di pesce, si aggiunge polpa di pesce, deliscato, e vegetali, tagliati a pezzetti, fritti. Una goduria. Quindi un piatto tipico quasi internazionale come il Couscous può essere visto come metafora per un’integrazione positiva? Si penso proprio di si.
* Silvio Palazzolo è uno chef e uno scrittore appassionato di storia e tradizioni, ma è soprattutto un attento osservatore dei fatti che interessano la sua Pantelleria.