Quando si sente parlare di arte italiana si pensa quasi esclusivamente all’arte del passato. Oggi invece andiamo a scoprire un volto diverso e moderno dell’arte italiana a New York.
L’arte è uno dei settori per cui l’Italia è più conosciuta e negli Stati Uniti è soprattuto l’arte rinascimentale ad essere apprezzata. Ma ora alcuni italiani stanno provando a diffondere lo stesso apprezzamento per l’arte moderna e contemporanea made in Italy.
Che fine ha fatto l’arte contemporanea?
All’interno del progetto sperimentale Business Italian Style, che ha coinvolto gli studenti del corso di laurea in italiano della Montclair State University, il nostro gruppo ha intervistato Laura Mattioli, fondatrice del Center for Italian Modern Art (CIMA) e Cecilia Alemani, direttrice del programma High Line Art di New York. Due figure diverse che ci hanno raccontato come l’arte italiana contemporanea viene percepita all’estero e quali possono essere le prospettive di sviluppo in questo settore. Dalle nostre interviste e ricerche abbiamo concluso che c’é un forte legame culturale fra Italia e Stati Uniti.
L’Italia è il paese con il più ampio patrimonio culturale al mondo: con 50 siti UNESCO, che ne fanno il paese con il maggior numero di siti protetti dalla World Heritage Convention, oltre 3.400 musei e più di 2.000 aree archeologiche, il Bel Paese si è indubbiamente guadagnato questo nome.
Eppure diversi studi evidenziano che il ritorno economico dei beni culturali italiani (che comprende sia le entrate legate al turismo che quelle legate al mercato dell’arte) non è al livello di paesi con un patrimonio inferiore a quello italiano. Uno studio ormai un po’ datato, ma ancora valido, evidenzia che il settore culturale e turistico rappresenta il 13 per cento del PIL italiano, contro il 21 per cento, per esempio, della Spagna. Lo stesso studio mostra anche che le esportazioni di opere d’arte dall’Italia nel 2006 si sono attestate sui 130 milioni di euro contro i 3,2 miliardi di euro in esportazioni del Regno Unito e i 900 milioni della Francia.
Un’occasione persa
Dati che fanno riflettere sulla capacità dell’Italia di valorizzare il proprio patrimonio culturale. E in particolare sembra che a essere poco sfruttata sia la produzione contemporanea, ancora poco nota all’estero, con l’eccezione di alcuni movimenti artistici come l’Arte povera che ha avuto un picco di notorietà con l’asta di Christies del febbraio 2014, Eyes Wide Open: an Italian Vision, che ha prodotto un fatturato totale di oltre 38.427.200 di sterline. A New York, uno dei grandi dell’Arte povera, Alberto Burri, sarà in mostra al Guggenheim in autunno mentre, fino a metà marzo, sono in corso due mostre che in qualche modo si legano a quel periodo artistico.
Eccezioni a parte, nella lista dei 500 artisti più valutati nelle aste internazionali nel corso del 2013, il primo italiano, Stingel Rudolf, si trova al 20° posto. Ci sono pochissimi artisti ancora viventi che vedono le proprie opere posizionarsi bene nelle aste mondiali. Stingel Rudolf e Maurizio Cattelan sono gli unici due artisti italiani nati dopo il 1945 che nelle piazze internazionali riescono a vendere le loro opere ad oltre un milione di euro.
Ma se l’arte è anche business e può rappresentare un’interessante opportunità di crescita economica per l’Italia, è importante capire perché, se il Bel Paese è universalmente apprezzato per l’arte del passato, quando si parla di contemporaneo l’Italia sparisce. Molti degli operatori dell’arte in Italia si lamentano per l’assenza di risorse e sostegno da parte delle istituzioni. Un elemento sottolineato anche da Cecilia Alemani e Laura Mattioli durante le nostre interviste.
La casa dell’arte italiana – CIMA
Il gruppo di lavoro del progetto Business Italian Style incontra Laura Mattioli, fondatrice di CIMA
Chiara Fabi, una dei borsisti di CIMA accompagna gli studenti in una approfondita visita della mostra dedicata a Medardo Rosso
Laura Mattioli ha fondato CIMA proprio con lo scopo di promuovere lo studio dell’arte moderna e contemporanea italiana e diffonderne la conoscenza e l’apprezzamento pubblico negli Stati Uniti. CIMA nasce nel quartiere di SoHo, a New York City, nel 2013 come spazio espositivo ma anche e soprattuto come centro studi. Con programmi dedicati ogni anno ad un artista diverso (l’anno scorso è stato in mostra Fortunato Depero, mentre dall’autunno 2014 a giugno 2015 sono esposte le opere di Medardo Rosso) CIMA offre la possibilità a dei selezionati studenti d’arte di espandere la loro conoscenza dell’arte moderna, con borse di studio per venire a New York e immergersi nel lavoro dell’artista esposto quell’anno. Si tratta generalmente di dottorandi in storia dell’arte che, al CIMA, oltre ad avere l’opportunità di approfondire i loro studi, fungono anche da guide per le visite delle mostre che sono solo su prenotazione, per garantire un’esperienza diversa rispetto a musei e gallerie tradizionali. Quando siamo andati a visitare CIMA, i due borsisti per quel semestre erano Chiara Fabi e Francesco Guzzetti che ci hanno guidato in un approfondito e affascinante percorso alla scoperta delle opere di Medardo Rosso di cui sono esposte sculture, disegni e fotografie.
“I borsisti – ci ha spiegato Laura Mattioli – possono essere giovani che vengono da tutto il mondo che qui lavorano insieme e affrontano gli artisti con diverse metodologie e punti di vista. Cerchiamo quindi di esporre artisti che permettano un approccio interdisciplinare. Qui le opere sono presentate come punto di partenza per nuovi studi, quindi con un approccio più libero e creativo, quasi impertinente”.
Alle origini del CIMA c’è una storia di famiglia. Laura Mattioli è infatti la figlia del collezionista d’arte Gianni Mattioli che raccolse la maggior parte delle opere durante la prima metà del Ventesimo secolo. Iniziò la sua collezione come gesto di rifiuto rispetto alla violenza della Seconda Guerra Mondiale, nella convinzione che l’arte potesse rendere l’uomo meno bestiale, come ci ha spiegato sua figlia nella nostra video intervista (qui sopra). Da quell’iniziale collezione nasce l’impegno di Laura Mattioli nell’arte e il desiderio di espandere la conoscenza degli artisti moderni italiani oltre i confini nazionali.
Un momento della visita a Center for Italian Modern Art (CIMA)
CIMA è stato concepito così come luogo di ritrovo, una “casa”, come ci ha detto Laura Mattioli, pensata per condividere l’arte italiana: “Questo luogo si presenta più come una casa che come un museo, una casa per opere d’arte che, in effetti, per la maggior parte del secolo scorso hanno avuto questa dimensione domestica perché erano realizzate per un collezionismo privato. Ma soprattutto l’idea è di offrire una dimensione di fruizione delle opere più tranquilla, diretta e personale di quanto può accadere in istituzioni più rigide”.
L’obiettivo è di arrivare a parlare agli americani ma anche a quegli italiani che conoscono poco l’arte di casa propria: “Vorrei che fosse un’istituzione aperta, un punto di incontro per tutti con una funzione educativa ad ampio raggio. È importante anche per la comunità italiana riscoprire le proprie radici culturali”. In questa missione, ci ha spiegatao Laura Mattioli, una formazione italiana è utile, ma si deve comunque avere uno sguardo aperto all’esterno: “Dobbiamo essere in relazione con la società americana. Una delle cose più positive di questo paese è che accoglie tutti con grande senso di uguaglianza. Questa grande parità tra tutte le provenienze dà una grande vitalità al paese e se vogliamo condividere qualcosa, dobbiamo condividerlo con gli italiani e italoamericani ma anche con tutti gli altri”.
Respiro internazionale – High Line Art
Se CIMA è la casa dell’arte italiana, c’è uno spazio a New York dove italiana è la persona che sceglie le opere, mentre i non molti artisti italiani che riescono a raggiungere questa importante vetrina sono inseriti in un ambito dal respiro decisamente internazionale. È la High Line, il famoso parco ricavato dalla ferrovia sopraelevata nel West Side di Manhattan, il cui programma d’arte, istituito nel 2009, è curato da Cecilia Alemani. Il programma presenta una grande varietà di opere d’arte e include mostre, spettacoli e proiezioni video.
Cecilia Alemani incontra gli studenti sulla High Line
Prima dell’intervista gli studenti si fermano a fotografare la High Line dalla strada
Nata a Milano, dove ha studiato filosofia, Cecilia Alemani ha vissuto poi a Parigi, ma è a Londra che è nata la sua passione per l’arte contemporanea. Nel 2003 si è trasferita a New York per un master in studi curatoriali per l’arte contemporenea e nella Grande Mela ha iniziato a organizzare diverse mostre ed eventi artistici. “L’America – ci dice la curatrice, che incontriamo in uno dei punti più scenografici della High Line – ha una cultura che premia chi è bravo e ha voglia di fare, mentre l’Italia è ancora invischiata in una cultura un po’ diversa”.
Secondo Cecilia Alemani l’America vede l’arte nel suo valore commerciale e come mestiere, al contrario dell’Italia che intende l’arte in termini di avanzamento culturale. E mentre l’America è tra le prime a sostenere la scena artistica contemporanea, i musei italiani non hanno fondi e rimangono indietro. “Per quanto l’arte contemporanea italiana sia interessante, in Italia mancano una struttura e un sistema come quelli che ci sono qui. I musei sono in una situazione disperata, ci sono pochissime fondazioni non profit e mancano spazi laboratorio dove gli artisti possano lavorare e far vedere le proprie opere fuori dalle gallerie commerciali. Per questo motivo un artista che decida di restare in Italia ha meno possibilità di crescere e farsi notare rispetto a chi sceglie di andare all’estero”.
Una conferma la troviamo proprio nel programma d’arte della High Line: “Abbiamo avuto tre artisti italiani – ci dice ancora Cecilia Alemani – Paola Pivi, Maurizio Cattelan e Alessandro Pessoli e, stranamente, o forse no, sono tutti artisti italiani che non vivono in Italia”.
Un’opera di Paola Pivi esposta all’interno del programma High Line Art. Foto: courtesy High Line Art
Come direttrice del programma High Line Art, il lavoro di Cecilia Alemani consiste nello scegliere e selezionare gli artisti da mettere in mostra lungo il percorso della sopraelevata. Va alla ricerca di talenti a New York e nel mondo, viaggia moltissimo, visita le biennali internazionali, incontra i potenziali artisti e commissiona pezzi adatti alla High Line. Il suo è uno sguardo internazionale: “Non credo nell’italianità nell’arte. L’arte è una dottrina e un linguaggio universale in cui le etichette nazionali non funzionano più. Infatti pochi artisti italiani parlano di Italia nel loro lavoro, non è quasi mai fonte d’ispirazione”.
Forse è poprio attraverso quel linguaggio universale che l’arte italiana contemporanea potrà uscire dai confini nazionali. Grazie all’incontro con queste due grandi professioniste, abbiamo capito che l’arte non è solo quadri e sculture, ma racconta una storia. E dietro l’arte contemporanea italiana c’è la storia contemporanea dell’Italia. La presenza negli Stati Uniti di organizzazioni come CIMA e di professionisti dell’arte come Laura Mattioli e Cecilia Alemani crea un connessione tra Italia e Stati Uniti che prima o poi dovrà portare i suoi frutti e far scoprire agli americani che esiste anche un’Italia contemporanea la cui storia merita di essere esplorata.
Il team che ha animato il progetto Business Italian Style: Enza Antenos-Conforti (Montclair S.U.), Maurita Cardone (La VOCE), Teresa Fiore (Inserra Chair), Giuseppe Malpasso (ArtMotion) e gli studenti Jarrett Strenner e Omar Portilla
Questa è una delle quattro puntate della serie Business Italian Style, un progetto di: The Inserra Chair in Italian & Italian American Studies all’interno del programma di italiano della Montclair State University (NJ), La VOCE di New York e ArtMotion, all’interno del corso ITAL321 Business Italian di Enza Antenos e del corso ITAL385 Cooperative Education di Teresa Fiore. Ogni puntata è dedicata a un diverso settore del made in Italy: design, arte, cibo e moda. Le interviste sono state realizzate da gruppi di studenti del corso di Business Italian. Riprese e montaggio video sono a cura di Jarrett Strenner e Omar Portilla.
Prima puntata: L’Italia prende forma a New York.