Qualche anno fa il direttore del giornale in cui lavoravo mi convocò nel suo ufficio e mi chiese di intervistare Alessandro Borghese. “È un bel personaggio, bravo cuoco, popolarissimo, sempre sorridente e positivo”.
Tutto vero, per carità. Di cuochi famosi ne avevo già intervistati a decine, ormai era una mia specialità. Ma proprio quello mi doveva capitare? Uscendo dall’ufficio del direttore incrociai due colleghe, tra le più simpatiche e carine. “Grane in vista?”, mi chiesero. Spiegai: “Mi tocca intervistare Borghese”. Le ragazze spensero i sorrisi e mi guardarono con un’espressione indimenticabile, un misto di disgusto, riprovazione, compassione. “Devi intervistare Alessandro Borghese e non sei contento?”.
Lì capii che Borghese non si tocca. Mai. Mi era antipatico per pura e profonda invidia. Non tutti abbiamo come mamma Barbara Bouchet, un sex symbol dei filmetti erotici con cui sono cresciuti quelli della mia età. Non tutti siamo alti un metro e 89 e tantomeno siamo nati a San Francisco. Non tutti abbiamo quello smagliante sorriso a 42 denti che allunga la coda delle ammiratrici alla porta, né la sua abilità ai fornelli. Insomma, invidia pura, per mille motivi.
L’intervista partì piano, con domande e risposte non proprio sconvolgenti. Parlammo molto di un suo fortunato programma tv che si chiama ‘Quattro ristoranti’ e che mette a confronto quattro locali premiando il migliore. Un programma finto e dal copione già scritto, secondo qualche malalingua. Borghese non accetta sospetti: “In tv metto la faccia, e metto anche le garanzie di una produzione seria, limpida e veritiera”.
Piano piano, chiacchierando, mi resi conto che quel cuoco bellone, perfetto per la tv, non era poi così insopportabile e superficiale come lo avevo immaginato. Parla di sé con spirito e ironia: “Sono un entusiasta un po’ cazzaro. In che percentuali? Settanta trenta”.
La mattina si alza presto, perché, oltre al suo ristorante milanese e agli impegni televisivi, ci sono anche i doveri di padre, una figlia da accompagnare a scuola o a equitazione, e tanto altro. “Spesso cucino per le bambine: coniglio, pollo, agnello, broccoli, rape. Metto tutto sotto vuoto in vasetti di piccole porzioni. Il mio piatto del cuore? I paccheri con i pomodorini del piennolo. E poi il cacio e pepe che mi piace mangiare, oltre che cucinare”.
Borghese è nato in California nel 1976. Suo padre, Luigi Borghese, era un imprenditore e produttore cinematografico napoletano, morto nel 2016. Lo chef è sposato dal 2009 con Wilma Oliverio che lavora con lui e gli ha dato due bambine, Arizona e Alexandra.
È un cuoco versatile, di forti radici mediterranee, con molte importanti esperienze all’estero e in Italia. Ha lavorato qualche anno sulle navi da crociera. Dal 2004 a oggi ha al suo attivo una ventina di trasmissioni televisive su diverse emittenti. Borghese ha un ristorante in via Belisario a Milano (‘AB, il lusso della semplicità’) un pastificio, la società di catering e consulenze ‘AB normal’, un sito ufficiale e diversi attivissimi canali social.
Ha pubblicato quattro libri e un cofanetto (doppio cd con un volumetto) in cui affianca grande musica e ricette. Insomma, a 45 anni ne ha già fatte di tutti i colori. Eppure non se la tira, parla di sé con entusiasmo ma anche con umiltà, attento a misurare i toni e gli aggettivi. Non racconta balle, non parla male di nessuno ma ti fa sempre capire come la pensa. Va a finire che, chiacchiera dopo chiacchiera, mi diventa quasi simpatico.
Certi ristoratori dovrebbero tenere la sua foto nel portafoglio, come un santino di Padre Pio. E magari qualcuno lo fa davvero, perché può bastare una puntata di “Quattro ristoranti” per trasformare una trattoria per pochi intimi in un locale di improvviso successo, in cui non trovi un tavolo nemmeno se sei Draghi o se telefoni dieci giorni prima. I miracolati sono tanti, in tutta Italia, isole comprese.
Alessandro Borghese non risparmia energie: è cuoco di tradizione e di innovazione, imprenditore, testimonial, conduttore e autore. Ama il pollo e lo champagne e tratta la cucina come un eterno gioco. Ha un sorriso accattivante, e non sbaglia un programma. Come si fa a non invidiare un tipo così? Ma le persone che ci invidiano non fanno altro che confermare le nostre capacità, diceva Oscar Wilde. Difficile dargli torto.