Che cos’è un finocchio? L’autorevole dizionario Treccani risponde così: “Finòcchio, sostantivo maschile, dal latino fenŭcŭlum. Erba delle ombrellifere”, eccetera eccetera. Ma attenzione: finocchio ha anche un altro significato, molto volgare, diffuso soprattutto nel Nord Italia: “omosessuale maschio”. Il sinonimo, nel Sud, è ‘ricchione’, tanto per restare nell’ampio serbatoio delle ingiurie omofobe.
Insomma, c’è finocchio e finocchio, e conviene stare molto attenti a non confondersi perché, ad esempio, se qualcuno tesse le lodi dei finocchi gratinati, non è detto che stia lanciando un invito ad arrostire qualche gay. Ne sa qualcosa Daniele Voltini, un ristoratore bolognese che gestisce una bella trattoria a Marano, appena fuori dalla città emiliana. La sua storia è l’ultima prova del difficile rapporto tra la ristorazione e il magico mondo del web. Il fatto: qualche settimana fa, Voltini commentò una ricetta di finocchi cotti, pubblicata da una collega su un gruppo Facebook molto amato dai ghiottoni: “Bel piatto, ma proprio i finocchi dovevi prendere?”. Voltini, che è uomo tranquillo, nemico di volgarità e doppi sensi, alludeva al fatto che tante verdure si adattano a certe preparazioni molto meglio del finocchio, che è fibroso e acquoso. Insomma, il suo era un puro e semplice parere tecnico. La mannaia di Facebook e dei suoi solerti censori è però scattata in pochi minuti: commento rimosso, “perché viola i nostri standard in materia di incitamento all’odio”. Addirittura.
Il ristoratore non credeva ai suoi occhi leggendo la severa comunicazione online. Ma un algoritmo, si sa, può rivelarsi più ottuso del censore più ottuso. Così Voltini ha esposto pacatamente le sue ragioni e ha rapidamente ottenuto soddisfazione: Facebook si è scusata per l’errore e ha ripristinato l’innocente frasetta. L’incresciosa storiella, naturalmente, è stata raccontata da giornali e tv.
La gaffe di Facebook è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di incomprensioni e difficoltà nel rapporto tra ristoranti e internet. La trincea in cui il conflitto è sempre stato cruento si chiama TripAdvisor. Lo conoscono tutti. È il più importante portale web di viaggi. Pubblica oltre 150 milioni di recensioni degli utenti su hotel, ristoranti e attrazioni turistiche di tutto il mondo. Per ogni località è disponibile una graduatoria di tutti i ristoranti e degli alberghi, in ordine di valutazione. È una meravigliosa macchina da guerra che, almeno apparentemente, somiglia a un trionfo della democrazia in Rete: chiunque può esprimere un’opinione su qualsiasi locale.

Il problema è che quella opinione può essere espressa anche senza mettere piede nel locale in questione, elogiandolo o stroncandolo. E tutto questo si può anche fare in forma anonima. In uno studio di qualche anno fa, l’istituto di ricerche americano Gartner calcolò che le recensioni false sarebbero il 10-14% del totale. Hotel, ristoranti e pizzerie, musei, monumenti e luoghi di interesse turistico sono recensiti con un voto (da uno a cinque palline verdi) e un giudizio più o meno argomentato che, teoricamente, passa al vaglio dei responsabili del portale. È evidente che una manciata di pareri critici sul web può danneggiare pesantemente un albergo, una pizzeria, un ristorante. Di conseguenza proliferano agenzie, organizzatissime o scalcagnate, che da anni vendono pacchetti di giudizi positivi o negativi, per promuovere l’attività di un locale o anche per colpire un fastidioso concorrente. In qualche caso viene offerto pure il servizio di cancellazione delle recensioni più severe, perfino con la clausola ‘soddisfatti o rimborsati’.
Diffamazione, falso e concorrenza sleale sono sempre in agguato anche se, ovviamente, la grande maggioranza delle opinioni espresse è genuina. Non sempre è documentata e attendibile, ma questo è un altro discorso. Il sito del Gufetto verde si difende sostenendo di avere attivato un robusto (si fa per dire) sistema mondiale di controlli e sanzioni. Intanto le denunce dilagano, spuntano class actions non solo in Italia, ma Tripadvisor resta un successo planetario. Difendersi dai furbetti delle false recensioni non è facile. Vecchia e buona regola è fidarsi solo degli autori di molti giudizi e di quelli che ci mettono la faccia, anche se questo non basta. Quasi mai i ristoranti e gli alberghi migliori sono in testa alle sue graduatorie, ma Tripadvisor è come l’oroscopo: non ci si crede però lo si va a leggere, sperando che almeno una volta ci azzecchi.
Molti locali, non solo in Italia, hanno avviato da anni iniziative di protesta e di boicottaggio del sito, con risultati modesti. È più che comprensibile l’irritazione di certi ristoratori nei confronti dei falsi recensori. Noi clienti dovremmo invece avere una certa riconoscenza nei confronti di TripAdvisor, se non altro per le perle di comicità involontaria che ci regala da anni. Cito a caso. “I tre antipasti erano ottimi entrambi”. “Non è la prima volta che faccio una recinzione positiva di questo locale”. Strafalcioni madornali, ma anche divertenti botta e risposta. Un cliente di una trattoria fiorentina critica il conto, la qualità del cibo, i prezzi delle bevande: “Lasciatelo dire a me che sono italiano ma ho girato il mondo e vivo a Londra”. Replica del ristoratore: “È un classico caso di fuga del cervello. Dalla sua sede naturale”. Magistrale.
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