“I limoni, le erbe aromatiche e i pomodori non si trovano solo qui, ma qui sono diversi”. Alfonso Iaccarino, classe 1947, è orgoglioso dei profumi della sua terra. Siamo a Punta Campanella, un dito di campagna e di roccia proteso verso il mare, proprio di fronte a Capri. Su questo promontorio si spalmano gli otto ettari di frutteti e di orti di Alfonso. Qui nasce e cresce quasi tutto ciò che serve al suo leggendario ristorante, il relais Don Alfonso 1890 di Sant’Agata sui Due Golfi. Siamo all’ingresso della Costiera Amalfitana. La tenuta si chiama Le Peracciole, agricoltura rigorosamente biologica. In questi giorni Alfonso raccoglie broccoli, verze, carote. Ma la meraviglia di questo angolo di Mediterraneo si sprigionerà con forza in altre stagioni, quando il profumo degli agrumi si farà intenso, penetrante, sorprendente. “I polli li alleviamo noi – spiega il patriarca – Ci mettono un anno per diventare adulti. Certi allevamenti offrono polli di tre chili cresciuti in 60 giorni”.
Don Alfonso è un pezzo di storia dell’eccellenza italiana. Tre stelle Michelin dal 1997 al 2001, ridotte poi a due, per motivi che ancora sfuggono non solo ai proprietari. Da anni Iaccarino se n’è fatto una ragione: “Siamo sempre stati apprezzati all’estero più che in Italia”. Ogni tanto Don Alfonso continua a spuntare in prestigiose graduatorie internazionali, spesso precedendo Massimo Bottura, Niko Romito e altri mostri sacri dell’italianità. Da tanti anni una sua società prende e lascia la gestione di grandi ristoranti in tutto il mondo: Roma, Saint Louis, Macao, la Mamounia di Marrakech.
Il locale di famiglia con i connotati attuali nacque nel 1973, da una scommessa impegnativa di Alfonso e della moglie Livia, sposi a vent’anni. Livia è una signora d’altri tempi che tanti ospiti italiani e americani ricordano per la premurosa gentilezza e per un limoncello inarrivabile. I primi anni non furono facili. Il menù, curato e costoso, fece scappare via una bella fetta di clientela tradizionale. “Per far quadrare i conti decisi a malincuore di vendere la splendida Alfetta che mio padre mi aveva appena regalato”, ricorda Alfonso. Poi, lentamente, arrivarono il successo e i clienti celebri: la regina Elisabetta, Gore Vidal, Julia Roberts, tanti campioni di ogni sport. Il mix tra raffinatezza europea, gusto per i dettagli e calore napoletano ha fatto miracoli.
Il ristorante-relais è ancora magnifico, soprattutto grazie ai due figli di Alfonso e Livia. Ernesto è lo chef, preciso e pignolo come il padre. Assaggia tutto quello che fa, anche nelle sere in cui i piatti da preparare sono più di 400. Mario è il maître. Se la cava molto bene con cinque lingue. Agli spaghetti con vongole e zucchine e a tanti altri tradizionali cavalli di battaglia si sono aggiunti piatti divenuti ormai classici: il Vesuvio di rigatoni, la ricciola affumicata, il maialino con pelle croccante, una commovente sfogliatella. Semplicità, precisione, intensità di aromi sono i pilastri di una saporosa cucina del Sud, supportata da un’imponente cantina. Cinquanta persone sono costantemente al lavoro per quasi altrettanti coperti. È doloroso fermare una macchina del genere a causa delle regole anti pandemia, ma questa è purtroppo la situazione attuale.
Alfonso è un monumento, un simbolo, non solo da queste parti. Se non fosse esistito lui, probabilmente non esisterebbero grandi cuochi come Gennaro Esposito, Antonino Cannavacciuolo, Nino Di Costanzo. O forse non sarebbero così grandi. Ciascuno di loro parla del maestro con un rispetto sacrale, anche perché il cognome Iaccarino racconta una secolare storia di passione, qualità, ospitalità, grande cucina.
Il relais-ristorante di Sant’Agata è un vertice della qualità italiana, come pochissimi altri. Lo aprì il nonno, un altro Alfonso Iaccarino, che trovò una buona vita in patria dopo averla cercata altrove. Aveva 14 anni quando giunse a New York alla stessa maniera di tanti altri italiani, setacciati, visitati e schedati a Ellis Island come vitelli d’importazione. Alfonso preferì tornare ben presto a Sant’Agata, su quel picco che domina il Golfo di Sorrento da una parte e l’Amalfitana dall’altra. “Tutto il lontano era in una pace solenne, nell’immobilità di uno scenario”, scrisse un poeta innamorato di quei panorami. Con un socio tedesco folgorato dalla bellezza della zona, Alfonso senior aprì la Pensione Iaccarino. Nei ritagli di tempo fece 11 figli. Una parte delle stanze originarie è il nucleo più antico del relais di oggi. C’è anche una suite intitolata a Salvatore Di Giacomo, il bibliotecario che fece grande la poesia e la canzone napoletana. Per molto tempo, fra gli anni Venti e Trenta del Novecento, Di Giacomo trascorse le vacanze a Sant’Agata, sempre nella stessa camera. Nonno Alfonso si appassionò a lui prima ancora di averlo come fedele cliente. Accadde una sera, quando nella sala da pranzo della pensione il grande Enrico Caruso cantò ‘Era de maggio’, un capolavoro firmato Di Giacomo.
È passato tanto tempo, ma la magia del luogo non è cambiata. Ad Alfonso piace guardare il tramonto dal suo giardino o dai frutteti, da solo o con i suoi amati cani. Cita spesso una frase di Oscar Wilde: “Adoro i piaceri semplici, sono l’ultimo rifugio della gente complicata”.