Vino, cibo, prodotti del territorio e paesaggio sono ingredienti fondamentali per raccontare storia, tradizioni e cultura di un luogo e farlo conoscere. Quando avviene la contaminazioni tra luoghi diversi del mondo, attraverso professionisti de settore, ecco che nascono connubi inaspettati.
L’occasione è stata il festival Gastronomix, evento concertato tra il Consorzio Vini Docg Caluso, Carema e Canavese, presieduto da Caterina Andorno, e da quello della Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, con la regia del Progetto Vino di Collisioni, coordinato da Ian D’Agata, che dal 18 al 23 febbraio ha portato tra il Canavese e l’Astigiano alcuni dei migliori chef e sommelier da Ungheria, Norvegia, Olanda, Scandinavia, Svezia tra degustazioni, laboratori e cene a cura di grandi chef europei aperte al pubblico.
Il castello di Costigliole è diventato scenario di una serie di workshop con ospiti internazionali altamente qualificati alla scoperta delle varie denominazioni tutelate dal Consorzio (che ha sede proprio nel maniero) dalla padrona di casa, la più conosciuta Barbera d’Asti a Grignolino, Ruchè, Albarossa, Albugnano.

Insomma, dalle colline piemontesi ai fiordi, Ciò significava tanta tecnica, francese, curiosità verso quella che allora era il movimento della cucina molecolare e la ricomparsa orgogliosa di alghe, licheni, carne di renna e bacche per un mix di ingredienti locali, tradizionali e poveri, trattati secondo le regole dell’alta cucina che hanno influenzato il nuovo modo di fare cucina, ricominciando ad usare erbe di campo, fiori edibili sperimentare tecniche di cucina internazionali e a promuovere l’uso di ingredienti locali (selvaggina, pesce affumicato, bacche come nella cucina svedese e danese).
«Combinare il meglio della cucina nordica con influenze esterne» fa parte del Manifesto stilato nel 2004, dal ristoratore danese Claus Meyer insieme a un gruppo di chef del movimento «New Nordic», e dopo 15 anni la cucina nordica è abbastanza matura da aprirsi finalmente alle contaminazioni.
Gli ospiti
Nomi importanti come Christopher Haatuft, Chef norvegese fondatore della cucina neo-fiordica che incarna la vera essenza della cucina norvegese: “nostalgica, sostenibile,creativa, gustosa e spiritosa”. Christopher è nato a Bergene ma ha madre americana. Una doppia cittadinanza che gli ha permesso di trascorrere due anni negli Stati Uniti in ristorante come il Per Se, Alinea e Blue Hill a Stone Barns, nello stato di New York e, negli anni successivi, completare la sua formazione in europa.

Poi Marianne Lumb, chef inglese reduce da Master Chef Uk, che nel suo ristorante di Notting Hill a Londra ha soddisfatto star quali Sophie Ellis Bextor, Pink Floyd, Jude Law e ha prestato servizio come chef privato per personaggi famosi come sir Elton John; la superstar della cucina danese Jeppe Foldager, medaglia d’argento al Bocuse d’Or; Maximilian Kindel, Chef presso il Ristorante due Stelle Michelin FACIL di Berlino.
Dalla Svezia Gunnar Forssell, decano della cucina svedese, medaglia d’oro presso l’Accademia di Gastronomia di Stoccolma, e Karl Ljung, vincitore del premio Chef Of The Year.
Presente inoltre Charlie Tayler, chef 26enne londinese di cui si è occupato recentemente il Financial Times.

A guidare la manifestazione è stato Ian D’Agata, direttore creativo del Progetto Wine & Food di Collisioni, nonché di Indigena, il festival che si tiene annualmente a Barolo, e direttore scientifico del corso 3iC, che ha illustrato agli ospiti i segreti della cucina di Piemonte, con le sue materie prime e la sua tradizione gastronomica in abbinamento ai grandi vini del territorio.
Ogni chef ha raccontato il suo percorso, la sua formazione e la sua filosofia in cucina. Joe Barza, chef libanese presentatore del programma televisivo Top Chef in Medio Oriente; Charlie Tayler, chef londinese di cui si è occupato recentemente il Financial Times che ha ripercorso la sua carriera, ai tempi in cui essere chef significava scontrarsi con pregiudizi sociali ha spiegato: “Quando ho cominciato la figura di chi cucina non era per niente da vip come quella di oggi . anche per questo ho lavorato e viaggiato in ogni parte del mondo per provare, assaggiare, conoscere, sperimentare e poi ho sentito il bisogno di tornare alle radici, riconoscendo al mio paese una ricchezza culturale e gastronomica che meritava di essere raccontata attraverso i piatti”.

C’è invece chi, come L’ungherese Adam Pohner ha raccontato “l’impoverimento della cultura enogastronomia durante il comunismo, dove la povertà e la carenza di materie prime rendevano l’atto di alimentarsi come pura necessità di sopravvivenza, nulla di più.. “
“Gastronomix punta molto sulla cucina nordica, – commenta lo chef svedese Gunnar Forssell, – che ha una storia di povertà di materie prime resa ricca dalla tecnica e dalla storia: sono maestri delle fermentazioni, riescono a tirare fuori piatti interessanti con le rape, i cavoli. Oggi abbiamo il dovere di rilanciare certi prodotti, come da voi un cardo gobbo di Nizza: se, un tempo, la cucina locale era vista come statica e si faceva molto affidamento sulle proteine animali, oggi siamo chiamati a trattare con lo stesso rispetto la carne rossa piemontese e un broccolo. Negli ultimi dieci anni si è sviluppato e chiuso un capitolo della cucina molto estetico, adesso ci si sta concentrando sull’etica: è la prima volta che visito Asti e Costigliole ma da 18 anni porto a Torino la cucina svedese. Nel mio paese per lungo tempo, a causa del monopolio e del rigido controllo sugli alcolici, si andava nei ristoranti solamente per bere, non esisteva una cultura del buon cibo. sono gli chef, oggi, che hanno il compito, soprattutto in Svezia, di educare il cliente ad apprezzare la buona cucina, i prodotti e i grandi vini come quelli del Piemonte”

L’unico rimpianto degli chef arrivati in questa occasione nel Monferrato? Non potersi cimentare subito con le nuove ricette apprese durante i laboratori: “La bagna cauda di Mariuccia Boria, la crema di cardo Gobbo alle castagne di Enrico Trova, il piatto con (barbabuc, acciughe salate, nocciola e tartufo nero) utilizzato dallo chef Costa nella preparazione dell’antipasto. O i ravioli di fonduta di raschera al burro piemontese preparata da Palluda, ed il ricco il piatto di Ferretto (cubo di sottopaletta) preparato con la Barbera d’Asti…” raccontano “ ma acqusite le ricette, le proporremo nei nostri ristoranti!”

L’evento è stato un modo per scambiarsi esperienze, approfondire la cultura del vino e del food, conoscere in profondità i grandi prodotti artigianali italiani, mescolare tradizioni e, magari, inventare nuove collaborazioni che possano oltrepassare i confini nazionali. Insomma, creare collisioni enogastronomiche e melting pot culturale.